Pristina, è qui la festa?

Deluso chi si aspettava grandi manifestazioni di piazza in Kosovo dopo il pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia. La soddisfazione non manca, ma a Pristina l’attenzione è concentrata anche sul caso Haradinaj e sugli ultimi arresti eccellenti per corruzione

27/07/2010, Veton Kasapolli - Pristina

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Pristina - Mario Salzano

A poche ore dal pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia sulla legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo, davanti al Grand Hotel, in pieno centro a Pristina, una troupe televisiva internazionale aspettava in vano segni di festeggiamento popolare nelle strade della città. “Ma dov’è la gente?”, chiedeva frustrato il cameraman, non riuscendo a nascondere l’evidente delusione.

Festeggiamenti “alla kosovara” ci sono stati, ma sporadici. In pochi sono scesi in strada per danzare al ritmo dei tamburi, o sono saliti in macchina per attraversare la città strombazzando, con i passeggeri che sventolavano bandiere dai finestrini. Guardando attentamente le targhe, però, era evidente che per la maggior parte si trattava di albanesi della diaspora, che probabilmente si erano persi la festa “originale” del 17 febbraio 2008, giorno della dichiarazione di indipendenza.

“Sono molto felice di questa decisione. Felice per il Kosovo. Oggi è un altro giorno importante, questa è una grande vittoria”, ci ha detto Sokol B., 39 anni, che vive da anni in Svizzera.

Per molti, però, la decisione della Corte, più che una vittoria per il Kosovo rappresenta una sconfitta per la Serbia. E’ stata Belgrado a volere un “parere consultivo” dall’Aja, chiedendo ai giudici se “la dichiarazione di indipendenza di Pristina è in linea con il diritto internazionale”.

Il quotidiano Express ha titolato “Hvala Srbijo” (“Grazie, Serbia”, in serbo N.d.T.) per ringraziare sarcasticamente Belgrado di aver indirettamente rafforzato la legittimità dell’indipendenza di Pristina. Nell’articolo si mette in risalto che la frenetica attività del ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremić, che lo ha portato a percorrere migliaia di chilometri per supportare la causa di Belgrado, è risultata in un “nulla di fatto”.

Tra i commenti dei lettori della testata on-line, quello postato da Ngucakeqi recita: “Vuk è andato incontro a una disfatta totale. Ma dobbiamo essergli grati per la sua testarda insistenza, che ha fatto si che la questione kosovara venisse chiusa con il sigillo del diritto internazionale”.

Albin Kurti, leader del movimento Vetevendosje (Autodeterminazione) ha definito il verdetto della Corte Internazionale come una seria sconfitta per la Serbia, da cui però Belgrado proverà comunque a riprendersi. Secondo il movimento, la Serbia cambierà ora la sua strategia, non puntando più soltanto a nuovi negoziati sullo status finale del Kosovo, ma spingendo ad acuire le sue divisioni interne, come in Bosnia Erzegovina. Secondo Kurti, il Kosovo dovrebbe quindi puntare soprattutto all’unità interna.

Il pronunciamento della Corte Internazionale è arrivato a quasi due anni da quando, nell’ottobre 2008, la questione venne posta ai giudici dell’Aja. Dando lettura del pronunciamento, il presidente della Corte, Hisashi Owada, si è dilungato per più di un’ora nello spiegare il mandato della corte e la natura del pronunciamento.

Per molti spettatori kosovari, incollati davanti alla tv per assistere in diretta all’evento, il risultato è stato piuttosto frustrante. “Non ho capito nulla di quanto è stato detto, se non che la dichiarazione di indipendenza è legale”, ha confessato Zana A. di Pristina.

Anche il primo ministro Hashim Thaci ha assistito al pronunciamento dal piccolo schermo, ma dagli Stati Uniti, dove si trova in visita. Thaci ha accolto con favore la decisione della Corte, ribadendo che il Kosovo continuerà a funzionare come stato indipendente e sovrano. In questi giorni è poi arrivata conferma che la diplomazia Usa sosterrà le iniziative di Pristina per ottenere nuovi riconoscimenti.

Il ministero degli Esteri kosovaro invierà lettere a più di 120 stati, chiedendo loro di riconoscere il Kosovo. Alle missive, naturalmente, sarà allegata una copia del “parere consultivo” della Corte Internazionale.

I giudici dell’Aja hanno espresso un parere favorevole al Kosovo oltre le aspettative. Oltre a non violare i principi del diritto internazionale, infatti, secondo la Corte la dichiarazione di indipendenza non si pone nemmeno in contrasto con la risoluzione 1244 dell’Onu, che dopo il conflitto armato del 1999 istituiva in Kosovo l’amministrazione temporanea delle Nazioni Unite (Unmik).

Al momento della dichiarazione di indipendenza l’Unmik stessa aveva il potere di annullare ogni decisione presa dal governo kosovaro. Secondo la Corte, però, la dichiarazione non è stata formulata dalle istituzioni kosovare provvisorie, ma dai politici in quanto “rappresentanti del popolo del Kosovo”.

Commentando il pronunciamento su Facebook, Vertopi F. scrive “C’è anche un ‘parere consultivo’ sul muro che divide Israele dalla Palestina, che la Corte definisce unanimemente illegale. Eppure è ancora lì. State certi che la Serbia continuerà la sua offensiva diplomatica contro il Kosovo”.

Anche Kujtim K., assistente universitario di diritto, ha affidato alla sua pagina Facebook le sue riflessioni sulla necessità di mantenere un approccio equilibrato. “Bisogna leggere il testo del pronunciamento prima di arrivare alle conclusioni. In Kosovo, però, l’euforia è fin troppo spesso una malattia collettiva”.

I politici kosovari hanno chiesto alla Serbia di tenere un approccio costruttivo. Il presidente Fatmir Sejdiu e il presidente del Parlamento Jakup Krasniqi hanno invitato Belgrado a riconoscere il paese, rafforzando lo spirito di cooperazione nella regione per lavorare insieme a costruire un futuro migliore per i propri cittadini.

Anche se il riconoscimento dovesse rimanere lontano, la speranza è che il pronunciamento della Corte crei il contesto in cui la diplomazia europea possa costringere le due parti al tavolo negoziale per poter discutere questioni tecniche di reciproco interesse.

Mentre la diplomazia è impegnata a trovare un linguaggio comune per affrontare le dispute internazionali, in questi giorni in Kosovo si parla di legge e legalità anche in relazione ad altri eventi, sia interni che internazionali.

Pochi giorni prima del pronunciamento della Corte Internazionale, un altro tribunale con sede all’Aja, quello internazionale per i crimini nell’ex-Jugoslavia (Tpi) ha ordinato la parziale riapertura del processo contro l’ex premier kosovaro Ramush Haradinaj. Alla base della decisione, le intimidazioni subite dai testimoni nel corso del primo processo, che portò all’assoluzione di Haradinaj, accusato tra l’altro di crimini di guerra, per mancanza di prove.

Nel frattempo, un’operazione congiunta della missione Eulex e della polizia kosovara ha portato all’arresto di vari alti funzionari a Pristina, tra cui il governatore della Banca centrale Hashim Rexhepi, accusato di corruzione, evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco. Ad aprile azioni raid della polizia avevano toccato il ministero dei Trasporti, in cerca di prove su presunte irregolarità nei bandi di gara sulla nuova autostrada, e l’azienda delle Telecomunicazioni, dove sospetti si concentrano sulle licenze telefoniche.

La vicenda di Haradinaj, che ha colpito l’orgoglio dei “combattenti per la libertà” del Kosovo potrebbe aver irretito, almeno in parte, i kosovari dal festeggiare nelle strade il pronunciamento della Corte Internazionale.

Forse, per vederli di nuovo danzare nelle strade, bisognerà aspettare l’esito dei processi per corruzione. Se “alti papaveri” dovessero finalmente finire dietro alle sbarre per i reati commessi, allora, chissà, le troupe straniere potrebbero di nuovo filmare caroselli di macchine e bandiere al vento nel centro di Pristina.

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