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Nessuna sorpresa, purtroppo. La proposta di Ahtisaari non contribuisce a ”sparigliare le carte” e sembra prigioniera di quello stesso orizzonte culturale che negli anni ’90 non impedì la guerra. Un commento

05/02/2007, Davide Sighele, Luka Zanoni -

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Un pacchetto del quale, in gran parte, si conosceva già il contenuto. La proposta per lo status futuro del Kosovo, resa pubblica venerdì scorso dall’inviato Onu Martti Ahtisaari, ha presentato poche sorprese, come poco sorprendenti sono state le reazioni delle due principali parti in causa: il rifiuto di Belgrado e la soddisfazione di Pristina.

La Serbia ufficiale non può certo accettare senza batter ciglio ciò che si profila senza equivoci come l’indipendenza del Kosovo. Pur con le dovute differenze sia il presidente Tadic che il premier uscente Kostunica hanno bocciato la proposta dell’inviato dell’Onu, rimandando ulteriori commenti e soluzioni alternative ad un incontro dei capigruppo parlamentari previsto per oggi, dove, al cospetto di Tadic, si discuterà il documento.

Non va dimenticata tra l’altro la possibile strumentalizzazione ad uso tutto interno della questione Kosovo: a Belgrado si sta formando un nuovo governo ed è partito il braccio di ferro per le poltrone. Il no secco di Kostunica e la piattaforma che lo stesso ha fatto circolare la settimana prima che venisse reso noto il piano di Ahtisaari sembra infatti, oltre ad un monito ai paesi che potrebbero sottoscrivere l’indipendenza del Kosovo, una sorta di ammiccamento ai radicali di Nikolic.

Dal canto suo Pristina si riserva di leggere attentamente la proposta di soluzione dello status, tuttavia i primi segnali da parte dei kosovaro-albanesi, salvo qualche eccezione (Albin Kurti e il suo Vetevendosje), indicano che il piano è stato accolto positivamente. Reazione abbastanza scontata dal momento che la prospettiva, pur con un ruolo forte della comunità internazionale, è quella del distacco da Belgrado, benché la parola indipendenza non compaia esplicitamente nel testo.

Quindi purtroppo, niente sorprese. Purtroppo perché questa proposta si limita a una troppo realistica fotografia del reale. Si formalizza il distacco da Belgrado, nei fatti già verità, si riconoscono – seppur indirettamente – le "doppie istituzioni" che sono state create dalla Serbia in tutte le aree a maggioranza serba, si condisce il tutto con della buona retorica sui diritti umani e con vantaggi fiscali alla Chiesa Ortodossa in Kosovo.

Questa proposta inoltre potrebbe aprire la strada ad un superamento "de facto" della Risoluzione 1244 attraverso riconoscimenti bilaterali dell’indipendenza del Kosovo. E’ invece necessario continuare quanto più possibile su di una dimensione multilaterale, e quindi passare per una nuova risoluzione in seno al Consiglio di Sicurezza Onu, per evitare possibili scenari caotici sul piano regionale e nel sistema delle relazioni internazionali.

Altro spettro che aleggia in questi giorni nell’area è quello del ”mostruoso” impianto istituzionale della Bosnia di Dayton. Certamente fonte d’ispirazione: il Kosovo diverrà un semi-protettorato internazionale, vigilato da una forza internazionale (NATO), con un alto rappresentante dotato di poteri simili a quelli "di Bonn". Certo, nel caso del Kosovo non avranno questa denominazione ma la sostanza potrebbe essere la stessa. Il Rappresentate civile internazionale (ICR) avrà infatti specifici poteri per implementare con successo il piano sullo status, compresa l’autorità di annullare le decisioni o le leggi adottate dalle autorità kosovare e sanzionare o rimuovere i funzionari le cui azioni, a giudizio dell’ICR, non sono in accordo con lo spirito del piano.

Differenza invece sta nel fatto che la comunità internazionale non propone una costituzione ex novo per il Kosovo, come invece fu per la Bosnia Erzegovina. La costituzione verrà approvata dai 2/3 del parlamento durane la cosiddetta fase di transizione, ossia i 120 giorni dall’entrata in vigore del piano. Infine nel caso del Kosovo, come per la Bosnia Erzegovina, non c’è una scadenza del mandato internazionale.

In buona sostanza, la proposta del finlandese Ahtisaari appare prigioniera di quello stesso orizzonte culturale che negli anni ’90 del secolo scorso non impedì la guerra, incapace di uscire dal paradigma "sovranità-autodeterminazione". E dunque incapace di sparigliare le carte in tavola.

Una prospettiva transnazionale – come quella di un Kosovo, prima regione europea – poteva e ancora potrebbe aprire una vera prospettiva europea per il Kosovo. Ora ci si augura che il "pacchetto" di Ahtisaari possa essere scartato, guardato e discusso: che si creino cioé effettive condizioni affinché Pristina e Belgrado su di esso negozino. Illusorio infatti ritenere che ciò che piomba dall’alto possa essere durevole.

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