Pochi e sopravvalutati: i film dei Balcani al Festival di Venezia
Si è chiusa lo scorso 10 settembre l’edizione 2011 del Festival di Venezia. Poca attenzione per i film dell’Europa del sud-est. Se non per il greco “Alpeis – Alpi” di Yorgos Lanthimos, Premio Osella per la migliore sceneggiatura
Un altro premio alla Grecia alla Mostra del cinema di Venezia. Dopo la Coppa Volpi di miglior attrice ad Ariane Lebed lo scorso anno per “Attenberg” (mai distribuito in Italia), è stata la volta del Premio Osella per la migliore sceneggiatura ad “Alpeis – Alpi” di Yorgos Lanthimos.
La 68° edizione del festival più antico del mondo ha offerto una selezione di gran livello, a cominciare da “Faust” del russo Aleksander Sokurov vincitore “all’unanimità” del Leone d’oro. Un film parlato in tedesco, visivamente di grande impatto, sulla figura archetipa dell’uomo che per ambizione e per soddisfare i piaceri vende l’anima al diavolo.
Pochi Balcani
Detto del premio a “Terraferma” di Emanuele Crialese e di quelli all’Oriente, in particolare al toccante “A Simple Life” di Ann Hui e alla sua attrice Deannie Yip, c’è da registrare che ancora una volta Venezia ha dedicato poca attenzione all’Europa del sud-est.
Al di là del film di Lanthimos c’era solo, inserita tra le proiezioni del Premio Lux 2011 (i dieci film europei più significativi dell’annata, tra i quali “Habemus Papam” di Nanni Moretti e “Morgen” del romeno Marian Crisan), la sua connazionale Athina Rachel Tsangari con “Attenberg”, premiato un anno fa.
Un lavoro sopravvalutato?
Nel lavoro della giuria (presidente il regista de “Il cigno nero” Darren Aronofsky, tra i componenti anche Mario Martone e Alba Rohrwacher) nel complesso condivisibile, “Alpeis” è forse il caso della sopravvalutazione di un lavoro.
Si tratta del terzo lungometraggio di Lanthimos dopo “Kinetta” (2005) e “Kynodontas” (2009, vincitore di “Un certain regard” di Cannes, premiato a Sarajevo e nominato all’Oscar come miglior film straniero). Un film a suo modo coerente nel criticare la famiglia, le gerarchie e il potere, ma troppo programmatico e a tesi.
Non c’è una vera trama, la storia è fatta di episodi collegati tra loro da ellissi temporali e logiche.
Sostituirsi
Tutto ruota attorno al gruppo degli Alpi, un’organizzazione rigida che prende il nome da una catena montuosa “insostituibile” e i cui membri devono chiamarsi come le cime: il capo è Monte Bianco e via via gli altri, proibito assumere soprannomi con significato generico.
Il compito che si danno è quello di sostituirsi: offrono alle famiglie di defunti il servizio a pagamento di rimpiazzare i congiunti scomparsi. Un modo per alleviare il dolore e il lutto prendendone il posto in situazioni quotidiane e anche intime, senza però “in nessun caso affezionarsi” ai clienti, come recitano le 15 regole stringenti della loro organizzazione.
Inventori e componenti del gruppo sono un’infermiera, un paramedico, una ginnasta e il suo allenatore.
Una indossa gli abiti di una giovane tennista morta in un incidente, l’altra sostituisce una moglie in un rapporto sessuale. Solo l’infermiera non riesce a rispettare il regolamento e finisce travolta dalla situazione.
Il meccanismo chiuso, quasi concentrazionario, ricorda da vicino “Kynodontas” (dove le figlie erano chiuse dal padre dentro una villa come metafora della dittatura), con il quale questo film condivide la programmaticità, la freddezza e la radicalità delle scelte.
Ma anche l’idea di “rinominare” le cose: nel film precedente venivano cambiati i nomi degli oggetti per creare un mondo lontano, esterno alle mura di casa.
Tra il comico macabro di alcune (poche) situazioni e l’angoscia di altre, “Alpi” è un film che spiazza lo spettatore, lo sfida e lo irrita. Lanthimos possiede un’autorialità che sottolinea anche troppo, con inquadrature molto (e inutilmente) giocate sui fuori fuoco e sulle immagini sbilanciate.