Perché la Storia continua a dividere Polonia e Ucraina
Il dibattito sui massacri di polacchi compiuti da ucraini durante la seconda guerra mondiale è sempre più acceso in Polonia. Divergenze e memorie asimmetriche rischiano di avvelenare le relazioni con l’Ucraina e complicare il suo avvicinamento all’UE

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Mappa storica nei pressi del memoriale dei massacri in Volinia a Domostawa, Polonia - foto F.Brusa
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato da MicroMega .)
La visita di Karol Nawrocki, il nuovo presidente della Polonia, al villaggio di Domostawa nel Voivodato della Precarpazia una manciata di ore prima dell’inizio delle elezioni presidenziali che lo hanno visto prevalere. Poi la decisione del Sejm, la Camera bassa della Polonia, di istituire una nuova festa nazionale l’11 luglio (“Giornata della memoria per i polacchi vittime del genocidio commesso dall’OUN-UPA nei territori orientali della Seconda Repubblica”).Infine, il film falsamente attribuito dall’intelligenza artificiale a Maria Andruchiw, un’attivista ucraina che vive in Polonia, che nega gli omicidi di polacchi avvenuti nel 1943 nella sua nativa Volinia.
Questi eventi segnalano un’intensificazione dei dibattiti sulle difficili relazioni storiche polacco-ucraine. In effetti, la campagna presidenziale dello scorso maggio in Polonia è stata piena di discussioni sulle relazioni con l’Ucraina. È tornata ad aumentare l’attenzione nei confronti dei massacri ucraini contro la popolazione polacca residente in Volinia e nelle aree indicate dalla storiografia polacca come Piccola Polonia (Małopolska Wschodnia) orientale durante la seconda guerra mondiale.
Alcuni candidati alla presidenza polacca hanno apertamente criticato l’Ucraina e gli ucraini odierni per attaccarsi come “parassiti” al sistema sociale polacco, distruggere l’agricoltura polacca, e trascinare in guerra la Polonia. Altri, come Sławomir Mentzen, candidato del partito di estrema destra Konfederacja, hanno concentrato i loro attacchi proprio sulla storia.
Anche il principale candidato della destra, Karol Nawrocki, del partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS), ha scelto di sposare la retorica di Mentzen, non solo firmando dichiarazioni contro l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e alla NATO, ma entrando più volte in aperta polemica con politici ucraini sul tema della Volinia. Vale la pena ricordare che Narwocki era il presidente dell’Istituto della Memoria Nazionale, principale “vivaio” del nazionalismo nelle istituzioni statali polacche.
Il ritorno del tema dei massacri della Volinia nel dibattito pubblico polacco può essere visto come una combinazione fra dispute storiche irrisolte, una legittima ricerca di giustizia da parte di comunità che subirono violenze, e una strumentalizzazione del passato da parte delle forze nazionaliste. Tutto questo viene “agitato” all’interno del contesto già di per sé complicato creato dall’invasione russa dell’Ucraina.
Una storia di violenze
Durante la Seconda guerra mondiale, tra il 1943 e il 1945, le forze nazionaliste ucraine –tra cui principalmente l’Esercito Insurrezionale Ucraino (Ukrains’ka Povstans’ka Armija, UPA) – uccisero decine di migliaia di polacchi etnici, molti dei quali donne e bambini. Secondo Jared McBride, autore del saggio Peasants into Perpetrators: The OUN-UPA and the Ethnic Cleansing of Volhynia, 1943–1944, le vittime furono circa 50.000–60.000.
Mentre la Polonia definisce questi eventi come genocidio, l’Ucraina continua a rifiutare tale termine. Alcuni storici ucraini, da parte loro, sottolineano la lunga storia delle politiche di polonizzazione portate avanti nei territori orientali della Seconda Repubblica Polacca nel periodo tra le due guerre mondiali, con cui si cercava di assimilare o marginalizzare ruteni e ucraini, alimentando l’odio tra le due comunità. Secondo lo storico statunitense Timothy Snyder “è indiscutibile che, oltre alle perdite dirette dell’Olocausto e della Seconda guerra mondiale, circa 50.000–100.000 polacchi e ucraini furono uccisi, e circa 1,5 milioni furono costretti a lasciare le loro case tra il 1943 e il 1947”.
Lo storico canadese John-Paul Himka ci spiega che “l’atteggiamento del governo polacco verso gli ucraini (e altre minoranze) si irrigidì sempre di più nel corso degli anni Trenta, sotto il governo dei cosiddetti ‘colonnelli’. “La repressione polacca alimentò il nazionalismo ucraino, e i nazionalisti ucraini cominciarono a desiderare l’uccisione di un gran numero di polacchi nei territori etnicamente ucraini, con l’idea di assimilare poi i superstiti,” racconta.
A suo avviso, un altro fattore importante fu il contesto generale, che vedeva un ampio ricorso alla violenza anche da parte dei vicini della Polonia, la Germania nazista e l’Unione Sovietica stalinista. “Dato questo contesto, l’universo morale all’interno della Polonia cambiò radicalmente”, sostiene Himka. “Sebbene gli sviluppi del periodo interbellico non abbiano determinato in modo univoco il tipo di violenza che ha investito Volinia e Galizia, hanno comunque stabilito alcuni parametri.”
Altri storici ucraini evidenziano anche casi di violenza etnica di ritorsione che si verificarono, sebbene su scala minore, contro civili ucraini negli stessi anni e nel primo dopoguerra. In particolare, l’Operazione Vistola (Akcja “Wisła”) lanciata dalle autorità comuniste polacche nel 1947 condusse alla deportazione di oltre 140.000 ucraini e persone di etnia lemko dal sud-est della Polonia ai cosiddetti “Territori Recuperati” (Ziemie Odzyskane) nel nord e ovest del paese, in precedenza appartenuti alla Germania. L’obiettivo delle deportazioni era eliminare la base di sostegno che rimaneva per l’UPA e sopprimere l’identità ucraina; l’Operazione Vistola è ricordata in Ucraina come un atto di repressione etnica e un trauma collettivo.
Richieste di giustizia e scontro di memorie
L’elezione di Karol Nawrocki alla presidenza della Polonia ha contribuito a portare ancora maggiore attenzione alle questioni della memoria e all’eredità dei massacri compiuti in Volinia durante la Seconda guerra mondiale. Nawrocki, uno storico di orientamento conservatore, ha fatto della “giustizia storica” un tema centrale della sua campagna elettorale.
Nelle sue prime dichiarazioni pubbliche da presidente eletto ha accolto con favore la continuazione della cooperazione con l’Ucraina, ma ha sottolineato che essa deve includere la risoluzione delle “questioni storiche in sospeso” – un chiaro riferimento alla lunga disputa sulle uccisioni dei polacchi in Volinia. Il Sejm polacco le ha ufficialmente dichiarate “genocidio” nel 2016, dopo anni di pressioni esercitate proprio dall’Istituto della Memoria Nazionale che era presieduto da Nawrocki.
Nel suo libro Memory Crash: Politics of History in and around Ukraine, 1980s–2010s, lo storico ucraino Georgiy Kasianov scrive: “A prescindere dall’orientamento politico di individui e partiti al potere, le élite governative di entrambi i paesi [Polonia e Ucraina, ndr] considerano come una priorità assoluta avere relazioni amichevoli e cooperative con il vicino. Polonia e Ucraina sono riuscite a trovare soluzioni reciprocamente accettabili in quasi ogni ambito, comprese le relazioni economiche, politiche e culturali. C’è solo un’eccezione: la sfera della memoria storica.”
Lo storico ucraino Yaroslav Hrytsak concorda, sostenendo che “il massacro della Volinia e l’UPA sono gli unici ostacoli reali alla riconciliazione polacco-ucraina”. “Abbiamo a che fare con miti nazionali molto asimmetrici”, ci spiega. “Negli ultimi dieci anni circa, il massacro della Volinia è diventato un mito centrale nella memoria storica polacca – un po’ come l’Olocausto per la memoria ebraica o l’Holodomor per quella ucraina. Al contrario, nella memoria storica ucraina la Volinia occupa un posto piuttosto marginale, e molti ucraini hanno solo una vaga idea di cosa sia realmente successo”.
“Sono certo che fino a poco tempo fa Zelensky sapesse molto poco, se non nulla, del massacro della Volinia”, aggiunge Hrytsak. “Gli ucraini non capiscono perché le élite polacche, che dovrebbero essere loro alleate, continuino a sollevare questa questione mentre l’Ucraina si trova in guerra contro la Russia. Sospettano che potrebbe essere il risultato di un’interferenza russa”.
Hrytsak ha personalmente organizzato o partecipato a diversi eventi volti a riconciliare polacchi e ucraini. Sebbene alcune di queste iniziative siano finite con successo, quelle dedicate specificamente alla Volinia sono state, a suo dire, dei “fallimenti spettacolari”. La sua amara esperienza lo porta a credere che le possibilità di conseguire una riconciliazione su queste vicende siano molto scarse, serviranno molto più tempo e impegno.
Tra scuse ufficiali e riesumazioni
Lo storico polacco Adam Leszczyński, la cui famiglia fu direttamente colpita dagli eventi in Volinia – suo nonno, da bambino, dovette nascondersi nella foresta dopo che tutta la sua famiglia era stata uccisa – offre una prospettiva personale netta sulla questione. “Conosciamo i fatti, e possiamo discutere sulla terminologia. Si è trattato chiaramente di un crimine di guerra, molto simile a una pulizia etnica. Il dibattito ora ruota attorno al fatto che si tratti o meno di genocidio. Rientra nella definizione legale più rigorosa? Alcuni dicono di sì, altri no… È un dibattito complesso,” ci dice.
“C’è stata una pressione enorme sull’Ucraina negli ultimi 10 o 15 anni affinché presentasse delle scuse. Zelensky lo ha fatto, forse con un po’ di riluttanza; anche uno dei suoi predecessori ha espresso rammarico. Ma ci sono voci in Polonia che sembrano aspettarsi che gli ucraini si scusino all’infinito”, rileva Leszczyński.
Negli ultimi mesi la questione della memoria delle violenze in Volinia è però giunta a un punto di svolta. Nel gennaio 2025 il governo ucraino ha revocato un divieto di fatto alle riesumazioni dei resti delle vittime che era in vigore dal 2017, permettendo di riprendere il lavoro di recupero dalle fosse comuni. La decisione è stata accolta in Polonia come una svolta attesa da tempo. Le prime esumazioni sono iniziate nell’aprile 2025 nell’ex villaggio polacco di Puzhnyky con il coinvolgimento di esperti di entrambe le nazionalità e dei parenti delle vittime.
“Vedo le riesumazioni come un passo positivo”, continua Adam Leszczyński. “È una questione di giustizia storica nei confronti delle comunità polacche che furono vittime di violenza e massacri, e lo Stato polacco ha il dovere di portare avanti il recupero e il riconoscimento dei corpi. È un obbligo umanitario, è semplicemente una cosa che va fatta – ma per molti anni gli ucraini, per loro ragioni, non erano molto disposti a collaborare. L’Ucraina è piuttosto riluttante ad ammettere che qualcosa di malvagio sia davvero successo in Volinia”.
Le ragioni del rinnovato interesse per la Volinia
C’è almeno un “terzo attore” che interferisce nelle relazioni tra Ucraina e Polonia: la Russia di Vladimir Putin. Inutile dire che la propaganda russa sfrutta spesso qualsiasi tema che possa deteriorare il rapporto tra l’Ucraina e i suoi alleati. Il tema dei massacri in Volinia è da anni al centro dell’attenzione russa, perché è un carburante perfetto per la propaganda anti-ucraina. Consente di presentare l’Ucraina come una “nazione di criminali” che “prima uccideva in Volinia e ora fa lo stesso nel Donbas”, benché i due contesti siano evidentemente del tutto scollegati.
Il tema dei crimini commessi dai nazionalisti ucraini in Volinia, Podolia, Polesia e nella regione di Leopoli dalla primavera del 1943 all’estate del 1944 è sempre stato presente nella sfera pubblica polacca, ma mai con tale intensità. Negli ultimi anni i circoli nazionalisti e la destra polacca in senso più ampio sono riusciti ad attirare maggiore attenzione su quei massacri.
Al di là della dimensione storica, la “Volinia” in senso lato è diventata una valvola di sfogo per sentimenti anti-ucraini contemporanei, che sono emersi con piena forza quando il mercato del lavoro in Polonia è stato aperto agli ucraini e con l’arrivo di un enorme numero di rifugiati dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina. I consueti stereotipi anti-immigrati secondo cui gli ucraini ruberebbero posti di lavoro, godrebbero di privilegi e disporrebbero di auto e beni costosi si sono intrecciati col difficile passato dei rapporti tra le due nazioni.
Hanno giocato un ruolo anche le cosiddette “comunità dei confini orientali” (środowiska kresowe), in particolare il sacerdote cattolico armeno Tadeusz Isakowicz-Zaleski. Sebbene marginale, questo movimento è stato piuttosto attivo nell’andare oltre i tradizionali ambienti dell’estrema destra e arrivando a pubblicare articoli sulla rivista di centro-sinistra Przegląd (vale la pena ricordare che Leszek Miller, ex primo ministro socialdemocratico, ha assunto una posizione apertamente scettica verso l’Ucraina, piena di risentimento storico).
Un altro fattore che ha alimentato il tema “voliniano” in senso ampio è stato lo spostamento verso destra del clima politico in Polonia. Già durante la presidenza del centrista Bronisław Komorowski (2010-2015) i massacri della Volinia furono da lui definiti come “un evento con le caratteristiche del genocidio”.
Il tema è infine approdato anche nella cultura popolare. Wojciech Smarzowski, un regista noto per i suoi film critici, ha realizzato un’opera dal titolo semplice e significativo: Wołyń, sebbene l’autore rifiuti ogni forma di revanscismo.
Una memoria parziale e selettiva
Un sondaggio dell’opinione pubblica polacca condotto nel 2023 dall’agenzia CBOS mostrava che, per quanto la maggioranza delle persone intervistate riconoscesse l’esistenza di divisioni fra Ucraina e Polonia per ragioni storiche, il 31% (di fronte al 23% di cinque anni prima) credeva nella possibilità di un’amichevole coesistenza fra le due nazioni, sgravata dal peso del passato, e il 78%
delle persone interpellate si diceva convinta della possibilità di una riconciliazione.
Un’indagine condotta l’anno successivo da parte del Centro Mieroszewski mostrava però che il 40% dei cittadini della Poloniaera convinto che ci fossero eventi storici per cui gli ucraini avrebbero dovuto sentirsi in colpa nei confronti dei polacchi ancora oggi.
La popolazione polacca riconosceva però di possedere una conoscenza piuttosto superficiale delle relazioni storiche fra il proprio paese e il vicino ucraino. Un terzo degli interpellati dal Centro Mieroszewski aveva solo “sentito parlare” delle violenze compiute dall’Esercito Insurrezionale Ucraino, e un altro terzo non sapeva proprio di cosa si trattasse. Appena il 25% degli interpellati sosteneva di avere una conoscenza approfondita dell’Operazione Vistola, e la maggioranza degli intervistati ammetteva di non aver mai sentito parlare dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, da cui nacque l’UPA.
Secondo questi sondaggi del 2023-2024, circa il 90% dei polacchi intervistati sosteneva di conoscere o perlomeno aver sentito parlare dei massacri in Volinia, contro il 59% che era stato rilevato nel 2008. Stando a un sondaggio condotto da SW Research nel settembre 2024, il 53% dei polacchi interpellati era convinto che l’eventuale ingresso dell’Ucraina nell’UE avrebbe dovuto essere subordinato all’accettazione da parte dell’Ucraina a procedere con le esumazioni delle vittime dei massacri in Volinia.
Una larga fetta della società polacca sembra assai suscettibile al mito di far parte di una nazione “eternamente offesa dagli stranieri”. Se i massacri avvenuti nelle regioni orientali sono ormai rilevanti nel dibattito pubblico in Polonia, poco o nulla vengono infatti discusse le pagine oscure della storia polacca in relazione alla popolazione ucraina. Si legge insomma il passato solo in chiave vittimistica, invece di riconoscere le responsabilità per gli episodi in cui furono i propri connazionali o le proprie istituzioni a svolgere il ruolo dei carnefici.
A questo proposito, oltre all’Operazione Vistola si può ricordare la distruzione delle chiese nella regione di Chełm durante il periodo fra le due guerre mondiali. Ogni 1° marzo in Polonia si celebra la Giornata nazionale della memoria dei soldati maledetti, che commemora i militanti delle organizzazioni clandestine anti-comuniste attive nel paese al termine della seconda guerra mondiale. Si tratta di un’iniziativa controversa, dal momento che mette sullo stesso piano reali vittime dello stalinismo con persone che invece portarono avanti attacchi contro minoranze etniche o contro i contadini che avevano beneficiato della riforma agraria. Fra i soggetti che furono colpiti c’erano ebrei, bielorussi, lituani, slovacchi e molti ucraini.
I paradigmi nazionali e i loro esiti paradossali
La riscoperta e l’attenzione nei confronti dei massacri in Volinia riflettono alcuni processi politici e culturali più ampi scatenati dalla caduta del socialismo. Come ebbe a notare allora il dissidente, storico e politico polacco Bronisław Geremek, “il ritorno della libertà portava con sé anche il ritorno del nazionalismo”. La storia di ciascun paese venne infatti spesso reinterpretata secondo un paradigma nazionale.
Ma nel caso degli eventi in Volinia le dinamiche non sono così lineari. Fra Ucraina e Polonia si registrò un momento di iniziale unità, che lasciò poi via via il passo a conflitti sulla memoria storica e identitaria. Un passaggio dalla riconciliazione alla “deconciliazione”, come lo definiscono gli storici polacchi e ucraini Tomasz Stryjek e Joanna Konieczna-Sałamatin.
Già negli anni Cinquanta il gruppo di intellettuali polacchi esuli che si riuniva attorno alla rivista con sede a Parigi Kultura aveva iniziato a spendersi affinché la Polonia rinunciasse a qualsiasi pretesa di reintegro dei territori che con la seconda guerra mondiale erano passati all’Ucraina e al resto dell’Unione Sovietica. Un’impostazione che venne fatta propria anche dal movimento di Solidarność: nel 1989 Adam Michnik, consigliere di Lech Wałęsa, prese parte al congresso fondativo del Movimento Nazionalista Ucraino (“Rukh”) e proclamò che il popolo polacco sarebbe stato a fianco di quello ucraino nella sua lotta per separarsi dall’Unione Sovietica.
Lo storico italiano Guido Crainz (che di recente ha pubblicato un libro dedicato proprio alle dispute di memoria nel continente, Ombre d’Europa) commenta: “La contrapposizione alla Russia aveva creato la possibilità che Ucraina e Polonia facessero fronte comune per liberarsi da Mosca, ma allo stesso tempo il medesimo processo rafforzava i movimenti nazionali dei due paesi, che a loro volta avrebbero gettato le basi per una rilettura della storia in ottica nazionalistica.
È chiaro che nei rapporti fra Varsavia e Kyiv non sorgono problemi nel caso in cui, per esempio, la seconda commemori l’Holodomor. Tuttavia, le tensioni emergono nel momento in cui l’Ucraina, pure in un’ottica di contrapposizione alla Russia, inizia a celebrare figure come Stepan Bandera il cui esercito, oltre ad aver collaborato coi nazisti, prese parte anche ai massacri in Volinia”.
C’è da dire però che le dispute tra Polonia e Ucraina emersero compiutamente solo a partire dagli anni Duemila, quando in entrambi i paesi andarono al governo forze politiche che sostenevano la necessità di promuovere una politica nazionale della memoria (il PiS in Polonia e Viktor Juščenko in Ucraina).
La dimensione europea
Nei primi anni Duemila anche l’Unione europea stava cominciando a sviluppare politiche della memoria, con l’intenzione di favorire il dialogo fra le memorie in paesi diversi. L’allargamento a est del 2004 iniziava a mettere in discussione il consenso rispetto alla Shoah e alla sconfitta del nazifascimo come eventi fondanti per l’integrazione europea, visto che i nuovi Stati membri insistevano sul riconoscimento dei crimini sovietici.
Il fallimento del referendum sulla Costituzione europea tenutosi in Francia nel 2005 instillò poi presso le élites europee la sensazione che la sola integrazione economica non fosse più sufficiente ma fosse invece necessario agire anche a livello identitario e culturale.
Anche la questione dei massacri in Volinia si intreccia con le politiche europee e non riguarda le sole relazioni bilaterali fra Ucraina e Polonia. Lo stesso presidente polacco Karol Nawrocki si è detto intenzionato a porre il veto sull’ingresso dell’Ucraina nell’UE qualora Kyiv non dovesse riconoscere le proprie responsabilità in quella tragedia o se non si dovesse procedere con le esumazioni.
Bruxelles dovrebbe giocare un ruolo in tutto questo? Secondo Guido Crainz, “qualche iniziativa di moral suasion da parte delle istituzioni europee nei confronti dei due Stati coinvolti potrebbe risultare utile per evitare che la controversia diventi estremamente polarizzata o che vengano prese decisioni eccessivamente problematiche (com’è accaduto, in passato, con la scelta di Kyiv di nominare Bandera eroe nazionale).
Allo stesso tempo, non va dimenticato che stiamo parlando di una disputa storica che non può essere risolta per decreto o per mezzo di voti parlamentari. Il compromesso politico è infatti l’opposto della riflessione critica sulla Storia e i diversi punti di vista dovrebbero dialogare attraverso l’approfondimento, la ricerca e l’analisi”.
Aline Sierp si è occupata estesamente di temi riguardanti la storia e la memoria in ottica europea. Secondo lei, “il modo in cui le nazioni guardano al proprio passato è di fatto un criterio per capire se un paese sia pronto o meno a diventare membro dell’Unione. Si tratta di una regola non scritta, ma viene discussa molto negli uffici delle istituzioni di Bruxelles”.
Prospettive e modelli per la riconciliazione
La presidenza Nawrocki in Polonia potrebbe segnare una svolta per quanto riguarda il conflitto delle memorie sui massacri in Volinia. Se alcuni sperano che il suo passato da direttore di un istituto dedicato alla memoria storica possa aiutare a strutturare in maniera positiva il dibattito, altri temono un inasprimento delle posizioni nazionalistiche. Fra i maggiori critici di Nawrocki c’è per esempio Volodymyr Viatrovych, ex direttore dell’Istituto per la Memoria Nazionale in Ucraina. Dal canto suo, Viatrovych è stato accusato di avere rimosso o minimizzato i crimini commessi dall’UPA nel corso della seconda guerra mondiale.
Secondo lo storico ucraino Georgiy Kasianov, “la riabilitazione dell’OUN-UPA è stata promossa anche nell’ottica di contrastare il comunismo, ovvero l’eredità sovietica, ovvero la Russia. In generale, sia in Polonia che in Ucraina sono le forze di destra, conservatrici e populiste le vere promotrici del conflitto, poiché sfruttano sistematicamente la politica della memoria ogni volta che torna loro utile. Non si tratta di un conflitto tra nazioni o popoli, ma tra segmenti ideologicamente affini all’interno di entrambe le società”.
Sia Yaroslav Hrytsak che Adam Leszczyński menzionano il percorso di riconciliazione franco-tedesco dopo la seconda guerra mondiale come un modello per la Polonia e l’Ucraina. Leszczyński menziona anche il processo di dialogo fra Polonia e Germania: “è necessario riconoscere che esistono responsabilità da entrambi i lati. Ma innanzitutto occorre stabilire i fatti. E i fatti da cui partire sono che dei cittadini polacchi sono stati uccisi.
Dopodiché, è giusto prendere in considerazione che anche gli ucraini, su scala minore, sono stati uccisi e che il movimento nazionalista ucraino era stato perseguitato nel periodo fra le due guerre. Così come, [riconoscere] che nel dopoguerra gli ucraini in Polonia erano cittadini di seconda classe”. Insomma, “bisogna ricostruire il quadro completo senza omissioni, così che a partire da quello le due parti possano ammettere le proprie responsabilità. Solo così si può chiudere la disputa storica e costruire la propria amicizia fra stati”.
Similmente, per John-Paul Himka, “l’unico modo per andare avanti è indagare e accertare tutto ciò che è successo, senza utilizzare categorie semplicistiche e manichee. Non ci sono esclusivamente ‘eroi’ o ‘cattivi’ in questa storia”. Naturalmente, nota Himka, è un compito difficile da portare avanti nel contesto bellico attuale – ma è l’unica via possibile per evitare che Ucraina e Polonia si ritrovino avviluppate in un perpetuo circolo vizioso di accuse, auto-vittimizzazioni e incomprensioni reciproche.
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Questo articolo è stato realizzato grazie ai network tematici di PULSE, un’iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.
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