Per una Macedonia in Europa
La disputa con la Grecia sul nome del Paese sta tenendo la Macedonia lontana dall’Unione da troppo tempo. Questa situazione rischia di produrre effetti negativi non solo per Skopje, ma anche per i suoi vicini europei. Il commento
La Repubblica di Macedonia (o ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, FYROM) è stata il primo Paese dei Balcani occidentali a firmare un Accordo di Associazione e Stabilizzazione (ASA), primo passo verso l’ingresso nell’Unione Europea, nell’aprile 2001. La Croazia, che diventerà a tutti gli effetti un membro dell’UE il primo luglio 2013, ha infatti firmato l’ASA solo alcuni mesi più tardi, nell’ottobre 2001.
Il Consiglio Europeo ha poi riconosciuto alla Macedonia, nel dicembre 2005, lo status di Paese candidato. Nell’ottobre 2009 la Commissione ha infine raccomandato al Consiglio di avviare negoziati di adesione con il Paese. Il Consiglio, tuttavia, non ha preso posizione rispetto alla proposta della Commissione. La ragione di questa (assenza) di decisione è nota: si tratta della lunga disputa con la Grecia sul nome del Paese candidato.
Il parlamento europeo
Recentemente, nell’aprile 2011, con una risoluzione approvata con 506 voti contro 44 e 44 astensioni, il parlamento europeo ha chiesto nuovamente ai Paesi dell’UE di avviare i negoziati d’adesione con la FYROM, esprimendo disappunto per il fatto che la disputa con la Grecia stia causando l’impasse.
Il parlamento europeo, naturalmente, non ha preso posizione sull’argomento. La Grecia la considera una questione centrale, e ha il diritto di difendere quello che ritiene essere un interesse nazionale. Tuttavia, sono convinto che un ulteriore ritardo nell’avvio dei negoziati di adesione a causa di una disputa bilaterale rappresenti una strategia di breve respiro, che danneggerà ulteriormente non solo le prospettive politiche ed economiche della Macedonia, ma anche la stabilità e la cooperazione nella regione.
C’è un ampio consenso sul fatto che la Macedonia soddisfi i criteri politici per avviare i negoziati. Le elezioni anticipate del 2008 (causate dal veto greco all’ingresso della Macedonia nella Nato) furono segnate da violenti incidenti e irregolarità, ma quelle presidenziali del 2009 e le nuove elezioni politiche anticipate del 2011 sono state giudicate libere e corrette da parte degli osservatori.
Il modello macedone
Bisogna sottolineare che, nonostante problemi e imperfezioni, il modello multiculturale politico e sociale realizzato nel Paese sta funzionando, e garantisce alle diverse comunità etniche l’accesso ai diritti politici e culturali. D’altro canto, proprio l’assenza di una chiara prospettiva europea rappresenta un forte fattore di “turbolenza” nella politica macedone.
Credo che l’avvio di negoziati, nel dare obiettivi europei credibili all’élite politica, faciliterebbe anche il diffondersi di un atteggiamento più responsabile, anche sulla questione del nome. Lo stallo attuale, infatti, sta causando un’evidente regressione. Il governo di Nikola Gruevski, che inizialmente era concentrato su di un’agenda di sviluppo economico, a causa della crisi – ma anche per la frustrazione accumulata nel percorso di integrazione europeo – si è rivolto sempre più verso una retorica di tipo nazionalista, che è sfociata nella criticatissima “campagna di antichizzazione”, e nell’edificazione di statue a Alessandro Magno e a Filippo il Macedone.
La carota dell’integrazione
Un’altra questione centrale è l’economia. Il Paese non sta andando bene, e deve affrontare problemi strutturali da molto tempo. Tuttavia, secondo il Rapporto 2010 della Commissione Europea, “la FYROM sarebbe in grado nel medio termine di affrontare la competizione e le forze di mercato all’interno dell’Unione, se solo mettesse in pratica con vigore il suo programma di riforme per ridurre la significativa debolezza strutturale.”
L’avvio dei negoziati potrebbe costituire l’incentivo per ricondurre la questione delle riforme economiche al centro dell’agenda politica macedone. In molti casi, la carota dell’integrazione europea ha consentito alle élite locali di introdurre riforme impopolari ma necessarie. Non capisco perché questo non potrebbe essere il caso anche della Macedonia.
Una Macedonia isolata e senza speranze non si sta avvicinando, ma si sta allontanando dagli standard europei. I timori che senza l’UE il Paese è condannato a dividersi su linee etniche sono probabilmente esagerati. D’altro canto, però, senza l’avvio dei negoziati di adesione, la Macedonia è privata di un autorevole sostegno per aumentare il ritmo delle riforme e raggiungere una situazione accettabile di sviluppo economico. Una Macedonia debole e instabile non è una buona notizia per l’UE, ma non lo è specialmente per i suoi vicini europei: la Grecia, e naturalmente anche la Bulgaria.