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Per una critica spietata dell’esistente. L’attualità di Praxis
La filosofia e la teoria sociale sviluppatesi attorno alla rivista ‘Praxis’, sono state per decenni i punti fermi, celebrati o contestati, di quello che veniva descritto come il ‘socialismo dal volto umano’ jugoslavo. Una tradizione che, pur trasformandosi, arriva sino ai giorni nostri
Il primo numero della rivista Praxis, pubblicato dall’Associazione di Filosofia Croata e voce di un gruppo di studiosi del marxismo critico, esce nel 1964, trentasette anni dopo la pubblicazione del primo e unico numero di un’altra rivista di filosofia croata: la Rivista di filosofia e psicologia. Ugualmente, a trentasette anni dall’ultimo numero di Praxis, a metà ottobre di quest’anno, la Fondazione Rosa Luxemburg per l’Europa sud-orientale, con sede a Belgrado, ha organizzato una conferenza dedicata all’attualità del pensiero filosofico che anima la rivista, titolato “Praxis: La critica e il socialismo umanista”.
Nel bellissimo paesaggio dell’arcipelago curzolano, di fronte alla penisola di Pelješac, reso ancora più suggestivo da una bora che lasciava senza fiato, per tre giorni si sono svolti lavori intensi nello stesso luogo storico della Scuola estiva – la Casa della cultura del Comune di Korčula.
Il giorno prima l’inizio dei lavori ci siamo ritrovati. Organizzatori, relatori, ospiti e pochi curiosi, da varie provenienze: Croazia, Serbia, Bosnia, Slovenia, Polonia, molti dalla Germania (le lingue ufficiali erano il tedesco e il cosiddetto ‘bhs’ -bosniaco, croato e serbo), qualcuno dall’Italia.
Dei fondatori della rivista Praxis c’era solo Zaga Golubović, molti tra i presenti erano i "prassisti" più giovani: Božidar Jakšić, Gajo Sekulić, Nebojša Popov, Adnan Hodžić e Lino Veljak. Non sono arrivati invece Predrag Matvejević e il politologo tedesco Iring Fetscher; l’assenza di alcuni dei ‘giovani della vecchia generazione’ (Žarko Puhovski) ha sollecitato varie interpretazioni, come spesso succede nei circoli intellettuali e accademici. Quasi assente la stampa, tranne qualche giornalista di media alternativi.
Il sottotitolo della conferenza indicava l’occasione come ‘un luogo per la memoria e per l’attualità’: la maggior parte delle relazioni è stata presentata dalla nuova generazione di docenti universitari e ricercatori. Il confronto critico però non è stato proposto in una dimensione inter-generazionale: il racconto dei ‘testimoni’ dell’edizione originaria è stato inserito in una cornice d’elaborazione critica della memoria stessa.
Nell’atrio, di fronte alla sala in cui si svolgevano i lavori, è stata allestita una mostra con manifesti e facsimili delle pagine più significative della rivista; su un tavolo erano disposte le copertine di tutti i numeri pubblicati nel corso del suo decennio di vita, mentre un monitor proiettava un breve documentario sui lavori della Scuola: immagini rare, raccolte e montate dal regista Rajko Grlić, figlio del filosofo Danko, uno dei fondatori di ‘Praxis’.
Fuori programma venivano presentati anche il film ‘Scritti giovanili’ (‘Rani radovi’) di Želimir Žilnik, (Orso d’oro a Berlino nel 1969), e il recente documentario ‘Intervista a Andrija Krešić’ (filosofo fondatore della rivista, pensionato da quarant’anni e oggi ospite di una casa di riposo a Belgrado) di Rastko Popov. Sempre in tema cinematografico, ha avuto luogo una sessione serale, assai vivace, presente Žilnik, sul fenomeno dell’ "onda nera" nella cinematografia jugoslava.
Tuttavia, colpiva il fatto che non si respirasse un’aria nostalgica, neanche tra chi c’era stato anche allora. Non mi sembra ciò fosse dovuto esclusivamente alla frattura con il mondo di prima, inflitta in primis dai conflitti etnonazionalisti: in fondo, forse lo spirito critico, così fortemente voluto dai filosofi, dai sociologi e dagli antropologi prassisti, si è preservato proprio nel distacco che non permette facili sentimentalismi.
La rivista Praxis e la Scuola estiva di Curzola
La scuola estiva di Curzola (Korčula) e la filosofia e la teoria sociale sviluppatesi attorno alla rivista ‘Praxis’, sono state per decenni i punti fermi, celebrati o contestati, di quello che veniva descritto come il ‘socialismo dal volto umano’ jugoslavo. L’istituzione della Scuola estiva nel 1963 e la fondazione della rivista nel 1964 sono due eventi inseparabili e non soltanto perché creati in contemporanea da un gruppo di filosofi e teorici sociali di Zagabria e Belgrado, ma anche di Sarajevo e Lubiana, tra cui spiccano i nomi di Gajo Petrović, Rudi Supek, Branko Bošnjak, Predrag Vranicki, Milan Kangrga, Zagorka Pešić Golubović, Mihajlo Marković.
Sia la rivista sia la Scuola estiva avrebbero smesso di esistere nel 1974, senza essere ufficialmente proibite o liquidate con un processo politico: semplicemente vennero loro tagliati i fondi, necessari all’organizzazione di un’arena pubblica ormai diventata internazionale e alla pubblicazione di saggi critici – che, va precisato, non erano solo di stampo marxista, e vivevano della Scuola, in cui erano presentati e discussi da un anno all’altro a fine agosto.
Il ‘marxismo creativo’ e ‘l’umanesimo socialista’ furono fondamentali punti di partenza nella ‘critica spietata di tutto l’esistente’, attorno ad essi si svilupparono diversi modi di pensare l’attualità sociale dell’epoca: il sistema jugoslavo, la critica del marxismo dogmatico dei regimi di tipo sovietico, il dialogo con il marxismo occidentale, il pensiero critico propriamente detto. Più volte parteciparono alla Scuola Herbert Marcuse, Ernst Bloch, Erich Fromm, Agnes Heller, Henri Lefevbre, Karel Kosik, Leszek Kołakowski, un giovane Jürgen Habermas; tra gli italiani Lelio Basso, Ernesto Baroni, Umberto Cerroni, Lucio Lombardo Radice, Enzo Paci e molti altri.
Video reportage sull’incontro a Korčula
I dieci anni, dal 1964 al 1974, in cui fu pubblicata la rivista, sono forse il periodo più significativo nella storia della Jugoslavia socialista. In quel decennio la sfera pubblica jugoslava ha avuto un’apertura inedita rispetto ad altri regimi di socialismo reale e perfino una chance storica di istituire quel modello socialista umanista di cui la nomenclatura comunista già si vantava senza fondamento. Il periodo fu segnato da una forte crescita economica, dai movimenti alternativi studenteschi e femministi, dallo scontento della ‘classe operaia’, manifestatosi con la massima visibilità in numerosi scioperi, che non potevano essere nascosti all’opinione pubblica. Sono anche gli anni in cui una parte dei politici e degli intellettuali croati sollevò la ‘questione nazionale’, ma soprattutto il pensiero critico filosofico e sociologico degli e delle intellettuali di tutto il paese raggiunse una qualità ed un’effervescenza inediti.
Tuttavia, invece di cogliere quest’occasione e procedere verso una maggiore democratizzazione e liberalizzazione del paese, coerentemente con la rottura con Stalin del 1948 e con l’esperimento innovativo d’autogestione ormai inserito nella sfera economica (e che poco dopo sarebbe stato introdotto in altre sfere della politica e della società), Tito e gli oligarchi della Lega dei comunisti optarono per la repressione contro queste voci autonome. Invece di una democrazia dei cittadini, fu scelta, con la Costituzione del 1974, una decentralizzazione politica che dette più potere alle oligarchie comuniste delle singole repubbliche, portatrici tuttavia di interessi dei gruppi nazionali; finché il sistema di autogestione non finì per essere trasformato in un efficace dispositivo di controllo politico capillare. Non vi è alcun dubbio che tali scelte avrebbero avuto un peso notevole nel successivo susseguirsi di eventi che sarebbero sfociati nella distruzione violenta della Jugoslavia, attraverso le guerre jugoslave, che ancora oggi non si possono considerare del tutto concluse.
L’attualità del pensiero di Praxis
Presenterò qui alcuni spunti significativi emersi nella parte formale della conferenza, e mi scuso se ne tralascerò idee e interventi importanti. Merita invece un’analisi a parte lo spazio informale che questa cornice ha creato per un dialogo tra i partecipanti più giovani, compensando distanze sociali tra i cittadini delle diverse repubbliche, distanze spropositatamente aumentate nell’ultimo ventennio.
Nelle parole introduttive alla prima sessione, Bruno Kanzleiter e Petar Milat, da parte degli organizzatori, hanno voluto indicare la direzione auspicabile per iniziare il dialogo: il significato storico di ‘Praxis’ in quanto modo di pensare il mondo, ma anche in quanto rapporto pratico del filosofo nei confronti del proprio mondo, e la sua attualità per le nuove generazioni. Una domanda diretta rivolta ai relatori è stata: tutto ciò che si era creato attorno alla rivista era stato una più intensa collaborazione degli intellettuali jugoslavi, oppure un’anomalia? Sottintesa a questa formulazione c’era la questione del ruolo e della responsabilità degli e delle intellettuali, attrici e attori allora come oggi, in un momento turbolento per le società ex jugoslave che a loro volta si collocano all’interno di una cornice più ampia, quella della profonda crisi teorica, politica, economica e culturale che attraversa, almeno da qualche decennio, l’alternativa socialista.
La prima a intervenire è stata Zaga Golubović: minuta, avanti con gli anni, distrutta dal viaggio in pullman di venti ore del giorno prima in compagnia degli altri belgradesi. Con voce giovane e forte, non solo nella cadenza, ma soprattutto nella freschezza del pensiero, ha citato Castoriadis sulla necessità di una lettura critica e creativa di Marx, ha definito la nascita del gruppo ‘Praxis’ come il risultato di un’intensa e sempre più ampia collaborazione intellettuale nelle università jugoslave dell’epoca.
L’idea che animava il gruppo era proprio il tentativo di aprire le vie del pensiero da un marxismo definito sterile, dogmatico e autoritario non solo verso un marxismo creativo, ma anche verso altre direzioni filosofiche. La prosecuzione delle idee di Praxis tra generazioni, nella sua visione, sta in tre principi ispiratori: la libertà dell’individuo in quanto condizione della libertà di tutti; la critica di tutto l’esistente, attualizzata nel pensiero derridiano della verità senza fine; la critica non solo teorica, ma anche della prassi politica e sociale: la critica come prassi intellettuale. La sfida lanciata da Golubović riguarda la ricerca delle alternative sia al materialismo ‘volgare’ e all’economismo, sia al neoliberalismo estremo, tornando all’ideale di una società più umana accresciuti o appesantiti da un bagaglio d’esperienza storica, pensando questa nuova società, nello stesso tempo, come plurale e intersoggettiva.
La chiave dell’analisi di quest’esperienza storica tra violenza e libertà è da cercare, per Popov, nel paradosso di un socialismo jugoslavo che si distingueva positivamente dal resto del mondo socialista e della sua fine sanguinosa e caotica – scontro tra ‘un praxis emancipatore e una prassi anti-emancipazione’. La repressione messa in moto dalla seconda metà degli anni sessanta ha provocato, secondo Popov, un’onda sempre più estesa di repressione che ha liquidato, una dopo l’altra, tutte le fondamenta di agire autonomo. I primi ‘capri espiatori’ furono gli studenti nel ’68, i movimenti operai, e anche la rivista ‘Praxis’ e la Scuola estiva ‘scomparirono, affogarono’, senza che il regime utilizzasse la forza bruta. La prassi della violenza innescata in questo periodo è la stessa che ha continuato, in altre vesti, a spazzare via ogni alternativa ‘non idonea’, prima all’esterno e poi all’interno dei gruppi al potere, fino all’esplodere nei nazionalismi degli anni ’90.
Quello che Popov definisce ‘un praxis emancipatore’ per Jakšić è da rintracciare non solo nell’opera critica degli intellettuali attorno alla rivista. E’ la produzione culturale dell’epoca, ‘la scena culturale in tutta la sua ampiezza’ – il lavoro creativo nel cinema, nella letteratura, nelle belle arti, in architettura – a creare quell’ampia comunità intellettuale e internazionale che ha contraddistinto quel decennio. Jakšić ha voluto avvertire che lo spazio culturale e sociale dei popoli jugoslavi è contrassegnato da una cultura di discontinuità in cui ad ogni generazione ‘spetta la lotta per la conquista degli spazi di creazione culturale’.
In tal senso Gajo Sekulić definisce la Scuola estiva di Korčula ‘un’officina di un’università aperta’ basata su un processo continuo di studio il cui strumento privilegiato fu il dibattito critico. L’orientamento socialista ma anche liberale dei prassisti evidentemente non poteva essere tollerato a lungo dal regime, precisamente perché i tre campi –antifascismo, socialismo e marxismo – erano un terreno che il regime condivideva. Questa condivisione per Sekulić rappresenta non solo il motivo per cui al regime fu necessario distruggere quei ‘centri di pensiero critico’, ma attualizza una considerazione storica sul significato di ‘Praxis’. La critica dei prassisti non era stata sufficientemente radicale? O viceversa, era stata fin troppo vicina al marxismo dogmatico? Oppure, come ha sostenuto Gal Kirn nel secondo panel, una visione troppo astratta dell’individuo non ha mai permesso lo sviluppo di una vera teoria politica tra i prassisti – troppo lontana la loro nozione di ‘proletariato’ dalla reale ‘classe operaia’?
Nella prospettiva del ‘nuovo contesto attuale’ simbolicamente rappresentato dalla caduta del muro di Berlino, il metodo critico della scuola ‘Praxis’, per Veljak, è decisamente attuale: ‘Non esistono indirizzi privilegiati immuni alla riconsiderazione critica’. La libertà non è un destino certo, ha voluto sottolineare: la libertà di pensiero e dell’agire di ogni individuo, gruppo, comunità, è un traguardo per il quale bisogna combattere. La generazione dei prassisti a cui Veljak appartiene – i più giovani (di cui fa parte marginalmente anche Zoran Djindjić, il premier serbo assassinato nel 2003) – ha dovuto porsi domande difficili, come quella se i loro professori non fossero comunque degli opportunisti politici? O revisionisti borghesi? Veljak ha voluto interpretare ‘Praxis’ nella sua anima plurale ed eterogenea, interdisciplinare e discorsiva, che più volte indirizzava i suoi membri verso discussioni e spaccature interne, sempre attorno alle questioni politiche più importanti. Queste spaccature, più volte discusse nei tre giorni di lavori, riguardano anche la pesante piaga del supporto che alcuni membri del gruppo, come Mihajlo Marković e Ljubomir Tadić, diedero al regime nazionalista di Slobodan Milošević.
E’ assai difficile rendere onore ai numerosi interventi contenuti nei tre giorni di lavori. Abbozzo quindi in grandi linee i temi presentati e discussi in seguito.
Il tema della cultura è stato centrale nell’organizzazione dell’incontro, come oggetto di riflessione del primo panel, ma anche come filone trasversale di tutti gli interventi. Tuttavia, il quesito più significativo affrontato da prospettive diverse – filosofiche, politologiche, sociologiche, antropologiche – è stato il seguente: che cosa significa oggi essere di sinistra, agire essendo di sinistra?
Dal punto di vista più strettamente filosofico i temi sono stati: il contesto e i potenziali critici della sinistra attuale (Ankica Čakardić), il soggetto della prassi universale (Ozren Pupovac) e le controversie di un’ontologia della rivoluzione (Thomas Seibert). Di uguaglianza e libertà si è parlato attraverso l’analisi del nesso tra marxismo e anarchismo (Hrvoje Jurić) e nella dimensione dei movimenti anti-autoritari (Michael Koltan). In seguito è stata proposta un’analisi critica del modo in cui i teorici di ‘Praxis’ hanno affrontato i fenomeni della burocrazia e del nazionalismo alla luce dell’ultimo ventennio ex jugoslavo (Darko Suvin, Ana Dević e Luka Bogdanić).
I panel dell’ultimo giorno della conferenza sono stati particolarmente interessanti: gli autori hanno tentato di ricostruire le relazioni tra la scuola di Praxis e altre scuole e direzioni del marxismo critico est-europeo ed occidentale: la Scuola di Budapest (Mathias Köhler), i marxisti polacchi degli anni ’60 (Katarzyna Bielińska), l’alienazione e il socialismo moderno negli ultimi anni della Repubblica Democratica Tedesca (Thomas Flierl), la sinistra francese (Dušan Marković), la Scuola di Francoforte (Nenad Stefanov).
Le presentazioni e le discussioni di numerose sessioni hanno prodotto molto materiale di approfondimento che sarà elaborato successivamente in una pubblicazione. Gli organizzatori della conferenza, molti dei quali hanno presentato relazioni – Boris Kanzleiter, Vladimir Jeremić, Petar Milat, Elfride Müller, Thomas Flierl e Krunoslav Stojanović – hanno reso possibile la qualità elevata e il clima sereno della conferenza: il che non era per niente scontato visto il tema e il luogo.
Allora cos’è mancato? Ho avuto l’impressione che l’oggetto in questione, la filosofia e la teoria di ‘Praxis’, sia stato cristallizzato in quel decennio di vita della rivista e della Scuola estiva di Curzola: analizzato in quanto tale, è finito, concluso, appartiene a una storia ormai remota. Ma in realtà i filosofi, i sociologi, gli antropologi che si riconoscevano all’epoca in questo modo di pensare hanno continuato a lavorare anche dopo la fine della rivista – e molti stanno ancora lavorando, sia teoricamente, sia prendendo posizioni politiche coraggiose in tempi per niente facili.
Io appartengo a quella generazione di mezzo che ha concluso gli studi universitari negli anni ’80. Nei manuali di ‘Difesa popolare e auto-protezione civile’ su cui abbiamo studiato – era un insegnamento obbligatorio, insieme a quello di marxismo, per tutti i corsi di laurea – si leggeva che i ‘nemici del popolo’ erano i filosofi della rivista ‘Praxis’, insieme agli anarco-liberali del gruppo belgradese: la stessa pattumiera in cui finivano “nazionalisti, borghesi, tecno-burocrati, agenti sovietici e del Vaticano”. Nella stanza accanto, la filosofia e la sociologia si studiavano invece dai libri e dai manuali scritti da Petrović, Bošnjak, Pejović, l’estetica di Grlić, la storia del marxismo di Vranicki. Fu una delle manifestazioni della schizofrenia del socialismo jugoslavo.
Oltre a questo tipo d’esperienza, vi è anche quella dei movimenti democratici di fine anni ’80 e il breve periodo precedente i conflitti bellici nella primavera del 1991. Nel corso della conferenza si è forse parlato più dei pochi dissidenti del pensiero critico che hanno abbracciato il nazionalismo, che dell’impegno di molti del gruppo ‘Praxis’, alcuni presenti alla conferenza, o del ruolo dei movimenti giovanili e femministi di fine anni ’80, nel contrastare le nuove forme politiche (post)totalitarie che hanno pervaso le società ex jugoslave nel periodo della transizione (quasi)democratica. Un impegno evidentemente fallito, se non nella dimensione di cui parlava Jakšić: rimanere al margine salvaguardando la dignità, come ha fatto la rivista Republika di Belgrado e altri luoghi di azione civica sul territorio ex jugoslavo nell’ultimo ventennio.
L’ispirazione per immaginare nuovi modelli di azione teorica e pratica ‘di sinistra’ andrebbe forse ricercata in un’analisi ‘critica e spietata’ dei motivi di questo fallimento: perché abbiamo fallito nel fermare la spirale di violenza dei primi anni novanta?
* Tatjana Sekulić è ricercatrice in Sociologia presso la Facoltà di Scienze della Formazione, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Si occupa principalmente di processi di integrazione e allargamento dell’UE in una prospettiva policentrica; di migrazioni e società inter-culturali; di nuove guerre e conflitti contemporanei; di transizione democratica dei regimi post-totalitari e di nuove forme di totalitarismo; di alterità, diritti umani e lotte per il riconoscimento in relazione alle discriminazioni di genere; processi di armonizzazione delle Università europee.
Bibliografia di approfondimento:
Bianchini S., La questione jugoslava, Giunti, Firenze 1999.
Bogdanić L., Praxis. Storia di una rivista eretica nella Jugoslavia di Tito, Aracne editrice, Roma 2010.
Flego G. (ed.), Zbilja i kritika. Posvećeno Gaji Petroviću, Antibarbarus, Zagreb 2001.
McBride W.L., From Yugoslav Praxis to Global Pathos. Anti-Hegemonic Post-post-Marxist Essays, Rowman & Littlefield Publishers Inc., Lanham-Boulder-New York-Oxford 2001.
Popov N. (ed.), Sloboda i nasilje, Res publica, Beograd 2003.
Sekulić T., Violenza etnica. I Balcani tra etnonazionalismo e democrazia, Carocci, Roma 2002.