Per lavorare al futuro, non serve lo status

Ad Melkert è vice segretario generale dell’Onu. Però della questione dello status preferisce non parlare. Per concentrarsi su altro. L’impasse delle Nazioni Unite in Kosovo in quest’intervista della nostra corrispondente

13/07/2007, Alma Lama - Pristina

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Ad Melkert

Ad Melkert, associated administrator dell’UNDP e vice segretario generale dell’Onu, nei giorni scorsi ha visitato il Kosovo per valutare sul terreno la situazione dei ritorni, incontrando alcuni serbi ed albanesi tornati nelle loro case dopo la fine del conflitto. A livello politico, Melkert ha parlato dell’importanza di una soluzione rapida nella definizione dello status, che però, sostiene il vice segretario dell’Onu, non è l’unico problema serio da risolvere per garantire un futuro migliore alla regione.

Lei è venuto in Kosovo come rappresentante dell’UNDP. Qui, però, la questione vissuta con maggiore ansia è quella della definizione dello status. La sua visita ha a che fare anche con gli sviluppi di questo processo?

Le Nazioni Unite sono una struttura molto complessa. Al momento si discute abbondantemente della definizione dello status, e io spero che questo porti presto a risultati concreti, ma il dialogo deve avvenire all’interno del Consiglio di Sicurezza. Allo stesso tempo, altri programmi dell’Onu, come UNDP e UNICEF, stanno lavorando per aiutare chi ritorna nelle proprie case, per creare infrastrutture e opportunità di lavoro, e in generale la possibilità di un futuro migliore. Questo è il motivo per cui sono qui, insieme ai miei colleghi, per discutere insieme ai rappresentanti del Kosovo quali passi intraprendere per andare in questa direzione.

Quali sono le sue impressioni sulla gente e le condizioni di vita in Kosovo al termine della sua visita?

Ho visto delle cose positive: ad esempio le persone che ho visitato, che sono riuscite a tornare nelle proprie case, e che oggi stanno ricostruendo la propria vita. Da parte loro ho percepito un forte segnale di tolleranza, una reale volontà di voler vivere accanto ai propri vicini, serbi o albanesi che fossero, e credo sia molto importante riportare questo segnale alla comunità internazionale. Naturalmente, c’è ancora moltissimo da fare. In particolare è necessario creare lavoro per i giovani, ed è anche per questo che sarebbe importante avere presto chiarezza sul futuro status della regione.

Ci sono già state quattro proposte di definizione, dello status, rigettate dal Consiglio per l’opposizione della Russia. Lei pensa che un ulteriore tentativo di giungere ad una decisione sullo status del Kosovo possa passare?

Sono in molti a sperare in una soluzione rapida di questo processo. Questo sarebbe particolarmente importante per far sì che gli investitori internazionali possano cominciare a operare in Kosovo, e perché l’Unione Europea possa davvero iniziare ad integrarlo all’interno delle strutture della cooperazione europea. Per questo, lo ribadisco, sarebbe importante avere una decisione in tempi rapidi.

Quanto rapidi?

Il prima possibile. La discussione è portata avanti in modo molto serio, e sono in molti a spingere verso questa direzione. Per questo sono ottimista, e credo che per portare a termine il processo non sarà necessario moltissimo tempo.

Che tipo di conseguenze potrebbe avere una proclamazione unilaterale di indipendenza, nel caso in cui una nuova risoluzione non dovesse passare in Consiglio di Sicurezza?

E’ necessario cercare di elaborare una soluzione che sia davvero basata sul consenso, cosa importante nelle relazioni internazionali e in special modo per le Nazioni Unite. Al momento c’è un serio sforzo di giungere a questo tipo di risultato, quindi credo che ci sia ancora spazio per l’ottimismo, per sperare in uno sviluppo consensuale.

Crede necessari ulteriori negoziati tra Pristina e Belgrado, anche alla luce degli sforzi di Ahtissari, che non hanno portato a risultati concreti?

Il lavoro fatto da Ahtisaari è una buona base di partenza per creare qualcosa di nuovo, anche se bisogna sempre essere pronti a migliorare. Perché si possa guardare davvero al futuro, c’è bisogno però che tutte le comunità del Kosovo comincino a lavorare insieme. E questo dipende soltanto da chi vive qui.

C’è davvero qualcuno, alle Nazioni Unite, che spera che serbi e albanesi possano trovare un linguaggio comune sul tema dello status?

Questa possibilità è alla base del rapporto Ahtissari. Al momento, credo, ci sono negoziati molto seri su solide basi. Il segretario generale dell’ Onu ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di analizzare la questione, sottolineando che ci sono adesso elementi sufficienti per arrivare a una nuova risoluzione. Spero che le cose vadano in questa direzione.

L’opposizione della Russia in Consiglio di Sicurezza al piano di Ahtisaari, è stata una sorpresa all’interno dell’Onu?

Io non faccio parte del Consiglio di Sicurezza. Come UNDP stiamo facendo il massimo per aiutare il Kosovo e i suoi abitanti.

Qual’è il suo giudizio su un’eventuale soluzione della questione status al di fuori del Consiglio di Sicurezza?

Dal mio punto di vista, la cosa più importante è che non stiamo aspettando passivamente i risultati dei negoziati in Consiglio, ma che lavoriamo già con tutti gli abitanti del Kosovo e con le altre organizzazioni internazionali presenti per investire in un futuro sociale ed economico che possa garantire la convivenza. Per far questo non dobbiamo aspettare le decisioni sullo status. La definizione di questo processo sarà di aiuto, ma non è l’unica cosa importate.

Pensa che ulteriori negoziati, e un ulteriore ritardo, siano d’aiuto per il Kosovo?

Ripeto, dobbiamo aspettare che il Consiglio di Sicurezza porti a termine il lavoro di discussione. E’ ormai chiaro che la comunità internazionale vuole chiarezza sulla questione kosovara, e credo che questo sia percepito anche dalla maggior parte degli abitanti del Kosovo. Speriamo, quindi, che tutti usino la necessaria saggezza in questo processo.

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