Per il diritto europeo all’aborto

Il diritto all’aborto è garantito in Slovenia fin dalla Carta costituzionale di paese indipendente dalla Federazione Jugoslava. Un diritto che è rimasto intoccato nel paese e che la leader dell’Istituto 8 marzo Nika Kovač, con la campagna “My voice, my choice”, vuole si assicuri in tutta l’Ue 

02/10/2025, Stefano Lusa -

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© Longfin Media/Shutterstock

I Padri della Patria non capivano. La Slovenia stava veleggiando in acque agitate verso la proclamazione della sua indipendenza. In parlamento bisognava approvare una serie di atti formali per poter procedere. Il tempo scarseggiava e bisognava far presto. La discussione sulla nuova costituzione, però, era serrata e non accennava a spegnersi. I Padri della Patria stavano perdendo la pazienza. Loro avevano un obiettivo chiaro ed impellente, ma gli altri non mollavano la presa su questioni che erano marginali per chi voleva portare la Slovenia il prima possibile fuori dal pantano jugoslavo.

La sinistra liberale non voleva sentire ragioni: chiedeva garanzie per le minoranze e desiderava che fossero ben definiti i diritti dei cittadini. Alla fine, ne uscì una bella costituzione, per alcuni bellissima, su cui la politica nazionale ha messo sempre mano con reverente timore.

Tra i tanti diritti anche quello che stabilisce la libera scelta in materia di procreazione. In parole povere significa che il diritto all’aborto nel paese è garantito e cementato nella Carta costituzionale. Quando negli anni Novanta la destra cercò di porre dei limiti si scontrò contro un argine insormontabile e si trovò di fronte a pittoresche manifestazioni di piazza, dove si diede ad intendere che la questione non poteva essere messa più in discussione.

In Slovenia si può ricorrere all’aborto con facilità e senza spese. L’intervento è senza restrizioni entro la decima settimana dal concepimento. Fino alla ventiduesima settimana, è consentito previa autorizzazione di una commissione composta da due medici e un assistente sociale. Passato questo periodo l’aborto è possibile solo in casi eccezionali, quando ci sono gravi malformazioni fetali o quando la vita della donna è in pericolo. Nonostante la facilità di accedere all’interruzione di gravidanza il numero di aborti è in costante calo. Il suo tasso, se paragonato a quello del resto dei paesi europei, è basso.

Le donne slovene, tradizionalmente libere ed indipendenti, non fanno mistero di essere molto orgogliose dei loro diritti e non mancano di ribadire di non voler rinunciare a decidere in perfetta autonomia sul loro corpo. Significativamente anche la first lady americana, Melania Trump, nata e cresciuta in Slovenia, nella sua autobiografia ha ribadito una simile tesi. Una posizione non proprio in linea con quelle antiabortiste di molti esponenti del Partito repubblicano, di cui suo marito è leader indiscusso.

Se Melania, come al solito, esprime le sue idee in punta di piedi, riuscendo comunque a far rumore, un’altra donna slovena non manca di far sentire forte la sua voce. È Nika Kovač, combattiva leader dell’Istituto 8 marzo , una ONG nota per le sue battaglie a favore dell’acqua pubblica in Slovenia, impegnata in prima linea nella lotta contro le diseguaglianze e in quelle sui diritti di genere. Per nulla intimorita da un’impresa riuscita solo a pochi, ha fatto partire lo scorso anno la campagna “My voice, my choice ”, una iniziativa dei Cittadini dell’Unione Europea in cui era necessario raccogliere un milione di firme per portare la sua proposta all’attenzione della Commissione Europea.

Nika Kovač consegna le firme © foto Črt Piksi
concessa da My Voice My Choice

L’obiettivo dichiarato era quello di rendere l’aborto accessibile e disponibile a tutte le donne dell’Unione europea, indipendentemente dal paese in cui vivono a alla legislazione nazionale. I diritti non sono uguali per tutti e l’aborto non è accessibile allo stesso modo per tutte le donne europee. In Polonia l’interruzione di gravidanza è consentita solo in casi eccezionali e i medici non si arrischiano a procedere per paura di incorrere in guai giudiziari, mettendo anche a repentaglio la vita delle gestanti. A Malta chi decide di interrompere la gravidanza rischia il carcere. Da altre parti l’aborto formalmente è consentito, ma intoppi burocratici, tempi di attesa e l’assenza di medici disposti a eseguire l’intervento rischiano di farlo diventare possibile solo sulla carta.

Raccogliere un milione di firme in tutta Europa, superando almeno di sette paesi una soglia stabilita, non è una impresa facile. Alla fine, i cittadini che hanno sottoscritto la petizione sono stati oltre 1.200.000. Meglio abbondare, si sono detti nell’organizzazione, per evitare che eventuali firme non valide facessero fallire l’iniziativa.

Agli inizi di settembre Nika Kovač, accompagnata da un folto gruppo di attivisti, ha bussato alla porta della Commissione Europea per portare le scatole con la documentazione. Adesso a Palazzo Berlaymont avranno tempo fino a marzo per esprimersi sulla proposta . A Bruxelles, assieme alla Kovač, c’era anche la nota pop star croata Severina, che ha invitato la presidente della commissione Ursula von der Leyen a mettersi dalla parte giusta della storia.

Se l’iniziativa verrà accolta, le leggi dei singoli paesi non cambieranno e il diritto all’aborto non sarà esteso da Bruxelles a tutti gli stati membri. Ognuno continuerà a decidere per sé, ma semplicemente l’Unione europea, grazie ad un meccanismo finanziario, consentirà di rendere accessibile altrove l’aborto a quelle donne che non possono ricorrervi nel proprio paese. Un modo efficace per ribadire che tutti i cittadini dell’Unione hanno gli stessi diritti, al di là del paese di residenza e del censo ed anche una bella maniera per riaffermare quel diritto alla libertà individuale su cui si fondano i valori dell’Unione Europea.

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