Paura della guerra
Per la prima volta dopo Dayton in Bosnia Erzegovina si nomina la guerra. Nei negozi iniziano a scarseggiare la farina, lo zucchero e l’olio. La vera novità è che Bruxelles ufficialmente e severamente ha invitato Belgrado e Mosca a non immischiarsi negli affari interni della BiH
Alla fine della scorsa settimana nella maggior parte dei centri commerciali di Sarajevo era difficile trovare una bottiglia di olio o un chilogrammo di farina e di zucchero! I cittadini all’improvviso si sono lanciati in vero e proprio piccolo assalto ai negozi, con l’intento di riempire le case di scorte di generi alimentari di base. Molti affermano che ciò sia stato causato da un inatteso aumento incontrollato dei prezzi di questi prodotti. Tuttavia, non sono pochi quelli che affermano che sia tutto parte di un "pacchetto collegato": la paura della guerra ha innescato la catena di aumenti, e il presentimento di un ulteriore aumento ha costretto la gente ad acquisti incontrollati. Ad ogni modo, oggi a Sarajevo l’olio ha già raggiunto il doppio del prezzo che ha in Germania ma anche a questa cifra non se ne trova più.
Non si rammenta una situazione del genere dalla guerra ad oggi. Allo stesso tempo, il noto e carismatico professore della Facoltà di diritto di Sarajevo, Zdravko Grebo, in una lunga intervista rilasciata per il settimanale "Dani", spiega cosa pensava quando di recente ha dichiarato che la "Bosnia Erzegovina sta contando i suoi ultimi giorni". In modo dettagliato ha spiegato anche la possibilità che accada una nuova guerra. Attraverso le numerose trasmissioni politiche sui vari canali televisivi della BiH, nonché in molti commenti dei quotidiani e dei settimanali in vario modo si considera la (ir)realtà di una nuova guerra.
Gli argomenti pro o contro sono molti ma indiscutibile è il fatto che la guerra in BiH sia improvvisamente diventato il tema di cui ancora si parla. I media esteri, oltre al resto, riportano la notizia che Milorad Dodik, premier della Republika Srpska, già da tempo si sta informando sui costi di stampa delle schede per votare al referendum sull’indipendenza della RS. Il referendum non potrebbe passare tranquillamente. Mediante gli stessi canali è filtrata anche la notizia secondo la quale in BiH oggi ci sono "30.000 tonnellate di armi in eccedenza e che in mano ai privati si trova un enorme numero di fucili e pistole".
Questa, naturalmente, è solo una piccola porzione dell’atmosfera generale che regna in BiH. Sono sempre di più quelli che ripetono un vecchio detto popolare: "Chi è stato morso dai serpenti ha paura anche delle lucertole". Realisticamente, la situazione è molto più seria di quanto si possa interpretare dai detti popolari. Questa situazione ha il suo caposaldo, le sue radici e i suoi riflessi sia a livello locale che all’estero.
A livello locale l’irrequietezza totale dei cittadini è stata accesa dalla discussione di tre giorni all’interno delle due camere del parlamento della BiH. Se qualcuno fino ad oggi aveva coltivato un minimo di speranza che i deputati nel più alto organo legislativo dello stato potessero esseri in grado a fare i conti in modo responsabile con la crisi evidente che imperversa nel paese, si è sbagliato di grosso. Una tale incapacità, irresponsabilità, arroganza e un comportamento scandaloso rispetto ai propri elettori si sono visti raramente.
Dopo tre giorni di risse e di incapacità nel raggiungere una qualsiasi conclusione comune su come orientarsi verso il futuro, il parlamento si è sciolto lasciando ad un certo "gruppo di lavoro" il compito di formulare quelle conclusioni che non esistono. Se queste conclusioni dovessero mai esserci, è certo che su di esse lo stesso parlamento non si troverà d’accordo. Il premier della BiH Nikola Spiric ha dato le dimissioni su richiesta del suo capo di partito Milorad Dodik dopodiché ha fatto le valigie ed è andato a New York a tenere un discorso davanti al Consiglio di sicurezza dell’ONU. L’obiettivo delle dimissioni e l’obiettivo del discorso davanti all’ONU era di rinforzare la tesi secondo la quale la crisi in BiH è stata innescata da Miroslav Lajcak, l’Alto rappresentante della comunità internazionale, col suo insistere sulle misure per sbloccare il processo delle riforme in BiH.
Il massimo del cinismo riguardo a ciò lo si è sentito nei giorni scorsi quando gli uomini di Dodik al parlamento della BiH hanno iniziato a dichiarare: "se non ci fossero state le misure di Lajcak, non ci sarebbe stata nemmeno la crisi in BiH". Le misure di Lajcak, invece, erano rivolte a sbloccare l’annoso e pesante blocco dell’assurdo e inefficacie sistema in BiH che ha portato alla crisi.
Un’illustrazione delle attuali relazioni all’interno dello stato è la storia sulla lettera che il presidente della Presidenza della BiH (quindi nominalmente il capo dello stato) Zeljko Komsic ha inviato a Spiric a New York, all’indirizzo del Consiglio di sicurezza dell’ONU. In quella lettera Komsic dice che la visita di Spiric è "illegale" e che lui in quel luogo non può parlare a nome della BiH. Spiric, infatti, ha dato le dimissioni dalla funzione di premier e la Presidenza le ha accettate. Lui ritirerebbe le dimissioni, come sostengono sia lui che il suo capo Dodik, se Lajcak cancellasse o cambiasse radicalmente le sue misure. L’altro motivo di Komsic per la lettera inviata era che un discorso di un premier dimissionario non è stato accordato dalla Presidenza della BiH, mentre il capo di stato collettivo è l’unico incaricato della politica estera e di rappresentare il Paese all’estero.
Nikola Spiric, invece, ha tenuto il suo discorso al Consiglio di sicurezza e le informazioni che sono giunte a Sarajevo dicono che il suo diritto a parlare è stato sostenuto dall’ambasciatore russo all’ONU?! Ma che coincidenza, l’intera vicenda è accaduta mentre il ministro degli Affari Esteri russo Sergej Lavrov rilasciava una dichiarazione ai media nel suo Paese. Lavrov, fra l’altro, ha detto che le recenti misure dell’Alto rappresentante Lajcak sono "incaute e non meditate". Lavrov con ciò, commentando l’insolito lavoro diplomatico dell’Alto rappresentante, ha ripetuto la tesi sui motivi della crisi in BiH, ripetendo quanto detto da Dodik e dai suoi uomini: "Speriamo che la crisi innescata dalle attività poco meditate e incaute dell’Alto rappresentante Lajcak venga superata…".
Secondo l’interpretazione russa, la crisi in BiH è il frutto dell’attività dell’UE in BiH perché tutti i paesi dell’UE hanno dato il pieno appoggio al lavoro di Lajcak in questo Paese. Il giorno stesso è giunta con sorpresa la severa risposta da Bruxelles. Il Commissario europeo per l’allargamento Olli Rehn ha invitato i politici in BiH "a non ascoltare le voci che provengono da Belgrado e da Mosca!". Con ciò Rehn ha avvertito in tono molto severo Belgrado che "la Serbia non sarà in grado di compiere il suo percorso europeo se continuerà a immischiarsi negli affari interni della BiH". L’avvertimento è giunto solo pochi giorni dopo che Bruxelles e Belgrado avevano parafato l’Accordo di associazione e stabilizzazione.
Detto molto semplicemente, non si può più giocare a nascondino: l’UE in un modo mai visto fino ad ora si è opposta al fronte che sta seguendo Mosca nella politica regionale, con le sue filiali a Belgrado e a Banjaluka. L’ombra di una "soluzione strategica", che mette nello stesso pacchetto il Kosovo e la Republika Srpska, si è trasferita dal terreno dei disaccordi tattico-politici al terreno dei problemi strategici. La paura di una nuova guerra, però, non è solo questione dei summenzionati detti popolari sui serpenti e le lucertole. La cosa si è fatta seria e per far sì che finisca in bene, evidentemente, serve che si attivino le forze politiche e le altre forze che sanno andare oltre i modelli della Bosnia Erzegovina. Fino ad allora, il problema dell’olio, della farina e dello zucchero è il problema minore che ai bosniaci possa accadere. Se ci si limiterà a questo, dicono qui, andrebbe benissimo!