“Panagulis vive”, e la Grecia ribolle

Atene approva il bilancio 2013: nuovi tagli per convincere la "troika" UE-FMI-BCE a concedere l’ultima tranche del prestito-salvagente. Nel paese però si respira aria da scontro violento. E a turbare i sonni dei parlamentari arriva il sinistro avvertimento di Stathis Panagulis, deputato e ultimo rampollo di una dinastia di martiri

14/11/2012, Gilda Lyghounis -

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Atene, piazza Syntagma - mkhalili/flickr

“Pregate di essere giudicati da un tribunale speciale, colleghi che avete appena votato l’ennesimo pacchetto di sacrifici: ve lo auguro di cuore, perché altrimenti farete la stessa fine dell’ambasciatore americano in Libia pochi mesi fa”. Come dire: sarete linciati dal popolo greco infuriato.

A lanciare questo sinistro avvertimento dai seggi del Parlamento di Atene è stato, il 10 novembre, Stathis Panagoulis, deputato del maggiore partito d’opposizione, Syriza, mentre le finestre tremavano per gli slogan di 100mila manifestanti che avevano invaso il cuore della città contro l’approvazione dei nuovi tagli a pensioni, istruzione e sanità.

Questo terzo salasso, preteso dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale per concedere l’ultima tranche del megaprestito alla Grecia è stato, due giorni dopo, confermato con l’approvazione del bilancio statale da 167 deputati su 300: solo così Angela Merkel darà il via libera al versamento non solo dei 31,3 miliardi di euro del secondo trimestre 2012 che il governo greco ancora aspetta, ma anche (secondo indiscrezioni del quotidiano tedesco Bild di martedì 13 novembre) ai 5 miliardi e agli 8,3 miliardi del terzo e del quarto trimestre.

La protesta incombe

Se l’Eurogrouppo deciderà solo il 26 novembre la data esatta in cui i soldi arriveranno nelle tristemente vuote casse elleniche, la protesta popolare non accenna a calmarsi. Non ci sono fondi pubblici neppure per accendere i termosifoni nelle scuole della gelata Florina, cittadina fra i monti a nord della Grecia, dove è già scesa la prima neve. Mentre il mondo politico è ancora scosso dal macabro avvertimento di Panagulis riguardo al rischio di linciaggi.

Tanto che Simos Kedikoglou, portavoce della coalizione di governo formata dai conservatori, dai socialisti e dal partito di sinistra Dimar, ha subito chiesto ai riformisti estremisti di Syriza di radiare il loro deputato che, pur parlando a titolo personale, "fomenta un clima da guerra civile".

Ma chi è Stathis Panagoulis, novella Cassandra che turba i sonni dei deputati greci? Chi ha vissuto gli anni della dittatura dei colonnelli ricorda benissimo il suo cognome: Stathis è l’ultimo rampollo di una dinastia di martiri.

Martiri

Il fratello maggiore Ghiorgos, tenente dell’esercito, subito dopo il golpe del 21 aprile 1967, rifiutò di giurare fedeltà al regime militare: congedato con disonore, quel lontano agosto 1967 fuggì in Turchia cercando invano asilo politico presso l’ambasciata italiana, per poi attraversare Siria e Libano e arrivare infine in Israele dove voleva imbarcarsi per l’Italia. Invece fu arrestato dalla polizia israeliana e riconsegnato alle autorità greche. Ma una volta imbarcato ad Haifa sotto scorta israeliana, a novembre, il suo corpo non fu mai trovato: probabilmente l’accordo con Atene era di liberarsi dello scomodo tenente uccidendolo a bordo per poi buttarlo in mare aperto.

Il fratello più celebre è tuttavia quello di mezzo: Alekos. E’ il 13 agosto 1968 quando Alekos Panagoulis si nasconde con un detonatore fra le scogliere ai bordi della strada litoranea che passa per Varkiza, a due chilometri da Atene. Ha appena piazzato degli ordigni che però non si innescano al momento giusto al passaggio della limousine del presidente golpista a capo del regime militare, Georgios Papadopoulos.

Ci vuole poco a trovarlo e ad arrestarlo: Alekos rifiuta di rivelare i nomi dei complici dell’organizzazione "Resistenza greca" da lui fondata, così viene torturato fino al giorno del processo, il 3 novembre 1968, quando viene condannato a morte. La sua difesa al tribunale fa il giro del mondo: "Chiaro che accetto l’accusa. Non l’ho mai respinta, io, neppure durante gli interrogatori. Lo ripeto con orgoglio: sì, ho sistemato io gli esplosivi, ho fatto saltare io le due mine. Cioè allo scopo di uccidere colui che voi chiamate presidente. E mi dolgo solo di non esserci riuscito".

Un uomo

La riporta nel suo libro "Un uomo", a lui dedicato, Oriana Fallaci, che molti anni dopo, nel 1973, quando finalmente Panagoulis uscirà dalla tomba-carcere di due metri per tre in cui l’avevano rinchiuso e dove scrisse le sue poesie (pubblicate in Italia da Rizzoli con il titolo "Vi scrivo da un carcere in Grecia"), lo intervisterà, se ne innamorerà e diverrà la sua compagna.

Ma nel 1968 la Fallaci non è ancora entrata in scena: a consacrare Alekos come eroe nazionale sono le pressioni della comunità democratica da Parigi a New York, che inducono il regime a non farne un martire e a non fucilarlo. Un anno dopo Alekos riesce ad evadere, ma viene riacciuffato. Misteriosamente, una notte la sua cella prende fuoco: i militari volevano farlo fuori dando la colpa a una sigaretta, nel periodo in cui Alekos aveva iniziato uno sciopero della fame. Le torture continuano, a base di bastonate e scosse elettriche. Finché nel 1970 un gruppo di intellettuali francesi cercano di ottenerne la liberazione, ma il regime al posto di Panagulis rilascia un altro famoso prigioniero, il musicista che aveva messo in note le sue poesie: Mikis Theodorakis.

Solo negli ultimi mesi della dittatura, quando ormai la giunta indebolita cerca un riconoscimento internazionale, nel 1973 Panagulis esce di prigione grazie a un’amnistia.La sua immagine emaciata di quel giorno, il viso pallidissimo, la mano portata davanti agli occhi abbacinati dalla luce improvvisa del sole che per anni non aveva visto, resta scolpita nella memoria storica di ogni greco.

Per un breve periodo Alekos si rifugia a Firenze in casa della Fallaci, che aveva conosciuto il giorno successivo alla sua liberazione. Respira a fatica a causa delle ossa rotte da anni di bastonate durante le sevizie in carcere. Poi partecipa alle prime libere elezioni greche, dopo la fine della dittatura il 24 luglio 1974, e diventa deputato della progressista Unione di centro per continuare dal parlamento la sua caccia ai politici che avevano avuto connivenze con i golpisti: in particolare aveva raccolto prove contro l’allora ministro della Difesa Evanghelos Averoff, accolto dal governo conservatore di Kostantinos Karamanlis.

Questo gli costò la vita: Alekos è morto a meno di 40 anni in un misterioso incidente stradale, la notte fra il 30 aprile e il primo maggio 1975, sulla strada che da Atene porta in una manciata di chilometri nel sobborgo di Glyfada, sua città natale. I funerali, il 5 maggio, sono una manifestazione oceanica.

Panagulis vive

Ma torniamo al fratello minore Stathis, oggi in Parlamento fra i deputati di Syriza. Anche lui si è fatto qualche mese di prigione all’epoca dei colonnelli. Poi ha militato negli anni Ottanta fra le file del Pasok fondato da Andreas Papandreu, per distaccarsene quasi subito con un movimento proprio, su posizioni più a sinistra. Una vita all’opposizione, insomma: anche oggi, quando la crisi economica attanaglia la Grecia.

Le sue parole contro chi ha votato l’ennesimo pacchetto di sacrifici imposto dalla troica non sono passate inosservate: il cognome Panagulis è ancora un simbolo. "Panagulis Zei": "Panagulis vive" è stato uno slogan antifascista gridato da generazioni di manifestanti nelle strade di Atene.

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