Orso d’oro, di nuovo sud-est Europa
Si è chiusa sabato sera la 63ma edizione del Festival di Berlino. I principali riconoscimenti andati a due film che vengono dal sud-est Europa. Una rassegna dal nostro inviato
Era nell’aria che il sudest Europa uscisse dalla 63° Berlinale con un premio importante, ma che Romania e Bosnia si portassero via i riconoscimenti principali ha superato tutte le aspettative. L’Orso d’oro, uno dei pochi allori che ancora mancava ai cineasti romeni, è andato a “Poziţia Copilului – Child’s Pose” di Calin Peter Netzer, che ha ricevuto pure il premio della critica Fipresci.
Orso d’argento e premio per il migliore attore sono andati a “Epizoda u životu berača željeza – An Episode in the Life of an Iron Picker” di Danis Tanović con Nazif Mujć, esordiente interprete sullo schermo di una vicenda realmente accadutagli. Un film che ha diviso, da una parte è piaciuto e ha emozionato molti, dall’altra qualcuno si è fermato agli aspetti superficiali, a un uomo che reinterpreta sé stesso. Senza pensare che reinterpretare è di per sé recitare e che i confini tra finzione e documentario sono cambiati se non saltati negli ultmi anni, uno dei veri effetti della rivoluzione digitale.
Così l’opera di Tanović è, oltre che espressione di rabbia civile contro le ingiustizie (“a volte le cose belle escono dalla rabbia, non sempre ma a volte capita” ha dichiarato ricevendo il premio), un lavoro anche teorico su ciò che può essere il cinema.
L’Orso d’oro
Solido film dentro i canoni (macchina a mano, piani sequenza, ottimi interpreti, dilemmi morali) della nuova scuola romena è “Poziţia Copilului”. Netzer, già autore di “Maria” (2003, premiato a Locarno) e “Medaglia d’onore” (2009, in concorso al Torino Film Festival) ha raccontato il rapporto tra una madre assillante e un figlio trentenne colpevole della morte di un bambino in un incidente stradale.
Cornelia (strepitosa interpretazione di Luminita Gheorgiu) è un ricco architetto di mezz’età, presentata con una lunga scena nella quale incontra amici esponenti della società bene e della classe politica. È un’altra delle madri invadenti e plagianti mostrate in tante pellicole romene, ma con una variazione: stavolta non siamo più in un ambiente popolare ma tra la borghesia affermatasi con la caduta del regime. Il contrasto sociale è evidente rispetto alla modesta famiglia del ragazzino morto, che vive in campagna.
Per salvare il poco reattivo e soffocato Barbu (Bogdan Dumitrescu), Cornelia prova a convincere i testimoni, a offrire denaro ai genitori della vittima, a trovare una soluzione personale. È una donna usa a muoversi tra le pieghe delle leggi, a volgere tutto verso il proprio interesse, incapace di vedere la giustizia e persino la realtà. La vicenda ha il suo apice nella visita della protagonista alla casa del morto, con il suo grottesco discorso nel quale tesse le lodi di suo figlio (ribaltando gli argomenti con i quali l’ha sempre criticato e demolito), tanto da far passare Barbu come la persona da compatire.
È però il giovane, all’ultimo, ad avere uno scatto di dignità e diventare adulto prendendo finalmente in mano la situazione. Una dura denuncia dell’invasiva corruzione, dove anche la polizia non ne esce bene.
Pochi fondi
“Oggi sarebbe più difficile fare film come questo perché la Romania ha ridotto i fondi per la produzione – ha denunciato sul palco d Berlino la produttrice Ada Solomon – Il nostro governo non ha ancora capito che importante biglietto da visita per il Paese sia il cinema. Oltre alla censura politica, c’è una censura ancora più pericolosa, la censura del mercato che mette ai margini film come questo. Dedichiamo il premio a coloro che ci hanno aiutato e soprattutto a coloro che non ci hanno aiutato che ci hanno resi ancora più forte e determinati”.
Un buon livello
La giuria presieduta da Wong Kar-Wai, che aveva inaugurato la rassegna con il sontuoso melodramma di arti marziali “The Grandmaster”, ha premiato quasi tutti i film migliori di un festival di buon livello. Tra i rimasti fuori dagli orsi (l’Italia, oro lo scorso anno con “Cesare deve morire” dei Taviani non era rappresentata in gara) il solido “Side Effects” di Steven Soderbergh e soprattutto il bergmaniano “Camille Claudel 1915” di Bruno Dumont, ma Berlino ha confermato la sua attenzione alle cinematografie considerate minori e ai temi sociali.
Migliore attrice la cilena Paulina Garcia per “Gloria” di Sebastian Lelio, forse la pellicola più applaudita. Anche qui un personaggio femminile molto determinato, ma in positivo, nella sua voglia di avere una vita sentimentale nonostante gli anni che passano e non accontentarsi di un uomo schiacciato dalla moglie precedente e dai figli.
Il premio per la miglior sceneggiatura è andato a “Pardé – Closed Curtains” degli iraniani Jafar Panahi e Kamboziya Partovi. Panahi, già Leone d’oro a Venezia con “Il cerchio”, è stato condannato due anni fa a non girare film e non uscire dal suo paese per ragioni politiche. Stavolta ha aggirato il divieto filmando tutto dentro una villa una storia metaforica e metacinematografica della quale è anche interprete.
La pecora sui muri
Il premio per il miglior contributo artistico è andato al direttore della fotografia Aziz Zhambakiyev per il kazako “Harmony Lessons” di Emir Baigazin, una delle poche scoperte della Berlinale, scelto anche dai lettori del Berliner Morgenpost. Una vicenda di bullismo e mafie in miniatura in una scuola della steppa, con la violenza pronta a esplodere, fortissime scene di tortura sui ragazzini, ma anche l’ironia surreale di quelle aree con una pecora che si arrampica sui muri per non essere uccisa.
Nelle sezioni collaterali molti film balcanici e caucasici si sono fatti notare: in particolare i greci “I kori – The Daughter” di Thanos Anastopoulos e “Sto lyko – To the Wolf” di Christina Koutsospyrou e Aran Hughes, i georgiani “A Fold in My Blanket” di Zaza Rusadze e “In Bloom” di Nana Ekvtimishvili e Simon Gross (premio C.I.C.A.E. dei distributori europei) e il serbo “Krugovi – Circles” di Srdan Golubović (premio della giuria Ecumenica per la sezione Forum). Da segnalare l’Orso di cristallo di “Generation” al cortometraggio animato serbo “Rabbitland” di Ana Nedeljković e Nikola Majdak e, tra i corti, il premio Daad al turco “Ashura” di Koken Ergun.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa.