Open Balkan: tanta retorica, poca sostanza

Open Balkan è ben lungi dall’essere una vera e propria organizzazione internazionale e un’effettiva unione doganale tra i Balcani occidentali. Nonostante i proclami dei promotori, ad oggi non è stato fatto alcun passo concreto in tale direzione

23/06/2022, Relja Radović -

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Aleksandar Vučić, Zoran Zaev e Edi Rama durante uno degli incontri di Open Balkan

(Originariamente pubblicato da Balkan Insight , il 16 giugno 2022)

Si è tenuto lo scorso 8 giugno a Ohrid, in Macedonia del Nord, un incontro dei rappresentanti dell’iniziativa Open Balkan. Nel corso del vertice i leader di Albania, Macedonia del Nord e Serbia hanno firmato una serie di accordi, più precisamente un accordo sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio e tre memorandum di intesa riguardanti diversi settori.

Gli accordi sottoscritti lo scorso 8 giugno, così come quelli firmati in occasione dei due vertici precedenti organizzati a luglio e a dicembre del 2021, si prefiggono di contribuire all’integrazione economica della regione dei Balcani, ispirandosi al modello di integrazione economica dell’Unione europea, in attesa che i paesi aderenti all’iniziativa diventino membri a pieno titolo dell’UE.

Tuttavia, Open Balkan è ancora ben lungi dal poter essere considerata una vera e propria organizzazione internazionale e un’effettiva unione doganale, figuriamoci paragonarla ad un’Unione europea in miniatura. Nonostante tutti i proclami dei promotori dell’iniziativa sulla volontà di contribuire all’integrazione economica e alla creazione di un mercato unico nei Balcani occidentali, ad oggi non è stato fatto alcun passo concreto in tale direzione.

Uno degli aspetti problematici riguarda la scarsa chiarezza sugli obiettivi dell’iniziativa e sulle modalità con cui si intende raggiungerli.

Finora l’attenzione dell’opinione pubblica si è focalizzata sulle dichiarazioni dei leader politici coinvolti nell’iniziativa, mentre le analisi del contenuto degli accordi sottoscritti sono state poche, per non dire inesistenti. Nulla di cui stupirsi, considerando la scarsa trasparenza che caratterizza, sin dall’inizio, l’iniziativa Open Balkan. L’opinione pubblica non solo si è vista negare la possibilità di partecipare a dibattiti sui contenuti degli accordi elaborati nell’ambito dell’iniziativa, ma ancora oggi risulta difficile prendere visione degli accordi sottoscritti nella loro versione integrale.

Inoltre, i promotori dell’iniziativa continuano a fare false promesse. Al termine del vertice tenutosi il 29 luglio 2021 a Skopje, i leader di Albania, Macedonia del Nord e Serbia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta , palesando grandi ambizioni. “Il nostro obiettivo è semplice: creare un mercato unico, senza frontiere”, si legge nella dichiarazione firmata dai tre leader.

Il governo serbo ha annunciato che il memorandum di intesa sul libero accesso al mercato del lavoro, sottoscritto dai tre leader in occasione dell’incontro di Skopje, “permetterà […] di creare un mercato unico del lavoro”.

Durante l’incontro dello scorso 8 giugno Olivér Várhelyi, Commissario dell’UE all’Allargamento, ha ribadito che l’iniziativa Open Balkan “si basa su quattro libertà” (riferendosi alla libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone sancita dalla normativa dell’UE).

Quelli di “mercato unico” e “quattro libertà” sono concetti ben noti nell’ambito del diritto commerciale internazionale e della politica economica. Tuttavia, gli accordi firmati nell’ambito dell’iniziativa Open Balkan non hanno nulla a che vedere con la creazione del mercato unico, né tanto meno con la libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone.

Il 21 dicembre 2021 i tre paesi hanno firmato un accordo sulle condizioni per il libero accesso al mercato del lavoro nei Balcani occidentali, da non confondere con il memorandum di intesa sulla stessa questione sottoscritto alcuni mesi prima.

Nonostante le promesse fatte prima della firma dell’accordo, questo documento non stabilisce i presupposti per la creazione di un mercato unico del lavoro e, nonostante il suo nome altisonante, non garantisce “il libero accesso al mercato del lavoro” nei Balcani occidentali. L’accordo prevede soltanto una semplificazione delle procedure amministrative riguardanti l’accesso al mercato del lavoro, una semplificazione peraltro formulata in modo assai maldestro.

L’accordo si apre affermando che i cittadini dei tre paesi “avranno il diritto di circolare, soggiornare e lavorare liberamente nel territorio di tutte le parti contraenti”, affermazione a cui però fanno seguito le disposizioni che si limitano a definire le condizioni e le procedure semplificate per il riconoscimento ai cittadini di uno dei paesi firmatari dell’accordo il diritto al lavoro in altri paesi firmatari, compreso il rilascio del relativo permesso di soggiorno temporaneo.

Quindi, l’accordo non sancisce il diritto di circolare, soggiornare e lavorare liberamente nel territorio di tutti gli stati firmatari, come invece annunciato nell’incipit del documento, bensì si limita a definire il diritto dei cittadini di un paese firmatario di lavorare in altri paesi aderenti all’accordo. Inoltre – e questo è l’aspetto più importante – le richieste di accesso al mercato del lavoro devono essere valutate individualmente dal paese ospitante. In caso di esito positivo della valutazione, al lavoratore viene rilasciato un permesso della durata massima di due anni, con possibilità di rinnovo. L’accordo prevede anche la possibilità di revocare il permesso per tutta una serie di motivi.

L’effettiva libertà di circolazione, soggiorno e partecipazione al mercato del lavoro – come quella sancita dalle norme UE – avrebbe invece consentito ai cittadini dei paesi aderenti all’iniziativa Open Balkan di entrare, soggiornare e lavorare nel territorio di tutti i paesi coinvolti senza alcun limite temporale e senza dover chiedere formalmente un permesso al paese ospitante.

È curioso notare come l’accordo del dicembre 2021 ricalchi sostanzialmente quello firmato nel 2019 a Novi Sad – dove i leader dei tre paesi si erano impegnati a facilitare la libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone sul modello di Schengen – senza però prevedere alcuna azione concreta verso il raggiungimento di tale obiettivo.

Anche l’accordo di cooperazione in materia di sanità veterinaria, prodotti fitosanitari e sicurezza di alimenti e mangimi, anch’esso sottoscritto il 21 dicembre 2021, non introduce novità spettacolari. Anzi, si tratta di un accordo – focalizzato sulle operazioni di importazione ed esportazione di animali vivi, alimenti sia di origine animale che non animale, mangimi, sottoprodotti di origine animale, piante e prodotti vegetali – che, invece di abrogare le regole previste dalle normative nazionali in materia di importazione ed esportazione di suddetti prodotti, prevede esplicitamente che tali regole rimangano in vigore.

L’accordo si limita a prevedere il riconoscimento reciproco, tra i paesi firmatari, dei rapporti di prova emessi da laboratori accreditati, introducendo inoltre alcune modifiche relative ai controlli previsti dalle leggi nazionali, controlli che non verranno più effettuati ai valichi di frontiera, bensì presso i punti di controllo doganale “nel posto più vicino ai punti di controllo frontalieri” (per piante e prodotti vegetali) o nel luogo di destinazione (per animali vivi, alimenti sia di origine animale che non animale, mangimi, sottoprodotti di origine animale).

Nell’accordo viene anche specificato con quali documenti debbano essere corredate le spedizioni e quali piante e prodotti vegetali richiedano certificati fitosanitari. Questo è sostanzialmente l’intero contenuto dell’accordo.

A differenza dell’accordo sull’accesso al mercato del lavoro, che non ha una durata limitata, l’accordo di cooperazione in materia di sanità veterinaria, prodotti fitosanitari e sicurezza di alimenti e mangimi è stato stipulato per un periodo di cinque anni, dopodiché dovrebbe rinnovarsi automaticamente ogni anno.

Tra tutti i documenti sottoscritti nell’ambito dell’iniziativa Open Balkan, i due accordi di cui sopra sono gli unici che sembrano finalizzati a regolamentare la circolazione delle merci e delle persone. Gli altri accordi sono focalizzati su questioni prettamente amministrative e burocratiche, riguardanti la gestione dei servizi di e-governement, il riconoscimento dei diplomi e la prevenzione delle catastrofi. A questi accordi va infine aggiunta tutta una serie di memorandum di intesa il cui contenuto non è mai stato reso pubblico.

Dall’analisi dei due accordi sottoscritti nel dicembre 2021 emerge chiaramente che ad oggi non è stato fatto nulla per facilitare effettivamente la libera circolazione delle merci e delle persone nei paesi aderenti all’iniziativa Open Balkan.

Occorre sottolineare che il principale problema legato a questa iniziativa riguarda la fiducia. Nessuno si aspetta che i paesi aderenti all’iniziativa creino un mercato comune da un giorno all’altro. Dovrebbero però essere in grado di chiamare le cose con il loro vero nome.

I paesi coinvolti nell’iniziativa Open Balkan non dovrebbero annunciare la creazione di un mercato unico prima di essere pronti ad affrontare tale sfida. Le azioni intraprese finora portano a pensare che i promotori di questa iniziativa non dispongano di capacità adeguate per rendere effettive le libertà che continuano a proclamare ad alta voce.

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