Omicidio Ivanović, l’ombra lunga di un crimine irrisolto
Cinque anni fa veniva assassinato il politico serbo-kosovaro Oliver Ivanović, una figura molto importante per la comunità locale. Se il suo omicidio ha contribuito all’acuirsi delle tensioni in Kosovo, la sua soluzione potrebbe contribuire invece a migliorare le relazioni tra Pristina e Belgrado
(Originariamente pubblicato sul settimanale Novosti , il 19 gennaio 2023)
Nel bel mezzo della crisi che imperversava in Kosovo negli ultimi mesi del 2022, il premier kosovaro Albin Kurti ha dichiarato che la Serbia di oggi è fondata su tre omicidi, riferendosi all’omicidio di Ivan Stambolić, quello di Zoran Đinđić e quello di Oliver Ivanović. Poi qualche giorno fa, in un videomessaggio pubblicato in occasione del quinto anniversario dell’assassinio di Oliver Ivanović, Kurti si è rivolto all’opinione pubblica in lingua serba affermando: “Oliver Ivanović era dedito alla difesa degli interessi della sua città e della comunità a cui apparteneva, mantenendo un atteggiamento schietto e sincero, sempre tagliente su questioni importanti, ma al contempo rispettoso anche nei confronti delle persone con cui era in disaccordo”. Kurti ha poi assicurato che manterrà viva la memoria di Ivanović impegnandosi affinché il Kosovo resti una società multiculturale e multietnica.
In molti hanno reagito all’affermazione del premier kosovaro ricordando che nel 2019 Kurti aveva definito Ivanović un criminale di guerra. Nel 2016 Ivanović, accusato di aver commesso crimini di guerra nell’aprile 1999, era stato condannato a nove anni di reclusione, per poi essere rilasciato nel 2017 a seguito dell’annullamento della sentenza da parte della Corte d’appello di Pristina. Dopo l’assassinio di Ivanović, un suo ex compagno di partito, Marko Jakšić, ha dichiarato che Ivanović era stato condannato già al momento dell’arresto e che con gli spari di quel fatidico 16 gennaio 2018 era arrivato solo il colpo di grazia.
Quello che è certo è che l’omicidio di Ivanović ha contribuito all’acuirsi delle tensioni in Kosovo, culminate con la crisi a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi del 2022. Ci siamo chiesti molte volte come sarebbe stata la Serbia se Zoran Đinđić non fosse stato assassinato. A cinque anni di distanza dall’omicidio di Oliver Ivanović, sorge spontanea la domanda: come sarebbero oggi le relazioni tra Belgrado e Pristina e la situazione in Kosovo se Ivanović non fosse stato ucciso?
“Oliver era salito alla ribalta, come persona pubblica e uomo politico, in un momento estremamente critico, in cui lo stato serbo in Kosovo stava letteralmente cadendo a pezzi, imponendosi come una figura capace di portare nella giusta direzione una società ritrovatasi completamente disorientata, in una situazione di caos e distruzione totale”, spiega Milan Radonjić, autore del libro Oliver, kao brat za brata [Oliver, come fratello per fratello]. Radonjić sottolinea che oggi più che mai si sente la mancanza di una figura politica come Oliver Ivanović, “un autentico leader del popolo, un uomo di cui la gente si fidava”.
A Belgrado, sulla facciata di un edificio in quella che un tempo si chiamava via 29 novembre (oggi viale di Despot Stefan), campeggia un murales raffigurante Oliver Ivanović, accompagnato dalla scritta: “La vita in un clima di paura non è vita”. Con quei colpi di arma da fuoco che uccisero Ivanović venne instaurato un clima di paura. Lo conferma anche Aleksandar Ivanović, nipote di Oliver.
“Questo era lo scopo, inviare un messaggio a tutti quelli che si ribellano e si oppongono a qualsiasi forma di sopraffazione. Se una persona pubblica, un uomo stimato, come Oliver, poteva finire così, allora cosa possono aspettarsi le persone comuni?”, chiede polemicamente Aleksandar Ivanović, dicendosi convinto che gli organizzatori dell’omicidio abbiano contato sul fatto che l’intera vicenda ben presto sarebbe stata coperta dal velo dell’oblio.
Aleksandar Ivanović ricorda che quello di Oliver non è l’unico omicidio accaduto a Mitrovica nord ad oggi rimasto irrisolto. Il 16 gennaio 2014, quindi esattamente quattro anni prima dell’assassinio di Oliver, era stato ucciso il suo padrino, Dimitrije Janićijević, all’epoca dei fatti consigliere del consiglio comunale di Mitrovica nord, eletto tra le fila del Partito liberale indipendente (SLS). Le indagini, come nel caso dell’omicidio Ivanović, non hanno portato ad alcun risultato.
“Sono ormai cinque anni che Belgrado e Pristina giocano a scaricabarile, discutendo sulle ingerenze e su chi debba condurre le indagini [nel caso dell’omicidio Ivanović]. Mi addolora il fatto che la Serbia non sia disposta a fare chiarezza sulla vicenda”, afferma Aleksandar Ivanović.
Commentando la situazione in Kosovo, caratterizzata da costanti tensioni e crisi, culminate con il recente innalzamento del livello di allerta dell’esercito serbo, quello kosovaro e della Kfor, Aleksandar Ivanović spiega che tutte e tre le parti hanno fatto a gara nel dimostrare di essere capaci di controllare il territorio dal punto di vista dell’intelligence e della sicurezza e di prevenire qualsiasi incidente. “Allora io mi chiedo: dove sono i dati sull’omicidio di Oliver Ivanović raccolti dall’intelligence? Dove sono tutti quegli agenti sul campo, quelle videocamere e registrazioni? Com’è possibile che a distanza di cinque anni da un omicidio accaduto in centro città non si sappia ancora chi, come e perché lo abbia commesso? Chi ha pedinato Oliver? Chi lo ha ucciso?”, chiede il nipote di Oliver Ivanović, aggiungendo che al momento nessuna delle tre parti vuole che gli interrogativi di cui sopra vengano risolti.
Aleksandar Ivanović ritiene che i rappresentanti della comunità internazionale, pur disponendo di informazioni e prove sufficienti, le utilizzano come una sorta di bastone. “Non so però cosa accada a porte chiuse, chi subisca i colpi di quel bastone, venendo costretto a compiere certe azioni, mentre [la comunità internazionale] continua a tacere”, afferma Aleksandar Ivanović, dicendosi però convinto che un giorno avverrà una grande svolta nelle indagini sull’omicidio di suo zio.
Milan Radonjić, autore del libro Oliver, come fratello per fratello, ritiene che il caso Ivanović sia molto importante per il dialogo tra Pristina e Belgrado.
“Credo che, se si facesse chiarezza sull’omicidio di Oliver Ivanović, ciò potrebbe contribuire molto a risolvere definitivamente l’eterna questione del Kosovo. Altrimenti, sarà difficile instaurare qualsiasi rapporto di fiducia”, afferma Radonjić, sottolineando che dopo l’omicidio di Ivanović nel nord del Kosovo fu instaurato un sistema solo apparentemente controllato dal partito Srpska Lista.
“È un sistema che viene mantenuto in vita da obbedienti e burattini, da persone che ripetono le frasi imparate a memoria e agiscono esclusivamente seguendo gli ordini. Non vi è nessuno capace di pensare con la propria testa e di dire quello che pensa per il senso di responsabilità nei confronti della società in cui vive”, spiega Radonjić, dicendosi deluso del fatto che la Serbia non stia facendo pressione affinché vengano identificati i mandanti e gli autori dell’omicidio Ivanović.
Tra i possibili mandanti spiccano i nomi di Zvonko Veselinović e Milan Radoičić, vicepresidente della Srpska Lista. Questo partito è salito al potere nel nord del Kosovo poco dopo l’omicidio di Ivanović. Nell’atto di accusa formulato dalle autorità di Pristina, Veselinović e Radoičić vengono indicati come leader del gruppo criminale responsabile dell’omicidio.
“Per molto tempo il Kosovo è stato lasciato in un limbo, tutti sappiamo com’era la situazione e chi comandava”, spiega Radonjić, che nel suo libro parla anche dei legami tra Veselinović e Radoičić.
Anche Miroslav Ivanović, fratello di Oliver, spera che si faccia chiarezza sull’omicidio e sui mandanti, un passo che potrebbe contribuire a migliorare le relazioni tra Pristina e Belgrado oppure segnare il coronamento di un lungo processo di dialogo. “In entrambi i casi sarebbe il segnale di un forte risveglio, ossia del fatto che il popolo ha finalmente ritrovato il coraggio. C’è un vecchio detto che suona quasi banale: ‘Se oggi non parli, domani verranno a prendere anche te’. In questa semplice frase si nasconde una grande verità e tutti ne dobbiamo essere consapevoli”, conclude Miroslav Ivanović.