Oluja 25 anni dopo

Venticinque anni dopo l’azione militare denominata Tempesta (Oluja) per la prima volta alle celebrazioni a Knin ci sarà anche Boris Milošević, deputato del Partito Democratico Indipendente Serbo (SDSS) e vice-Primo ministro. Un fatto che può far sperare

04/08/2020, Giovanni Vale - Zagabria

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Vesna Teršelič (foto Medija centar Beograd )

Un quarto di secolo fa, l’Operazione Tempesta (Oluja) sanciva per la Croazia la vittoria nella sua guerra d’indipendenza, costringendo circa 200mila serbi a lasciare la propria terra. Ancora oggi, l’anniversario di quell’operazione divide e suscita polemiche, tra chi festeggia e chi ricorda un dramma. Quest’anno, però, pare esserci una novità positiva in programma. Ne abbiamo parlato con Vesna Teršelič, storica direttrice di Documenta – Centar za suočavanje s prošlošću (Centro per il confronto con il passato).

Qual è la novità nelle commemorazioni di quest’anno?

Giovedì scorso, il premier Andrej Plenković ha annunciato che quest’anno, alle celebrazioni di Oluja a Knin, parteciperà anche Boris Milošević, deputato del Partito Democratico Indipendente Serbo (SDSS) e vice-Primo ministro. Al tempo stesso, il prossimo 24 o 25 agosto, il ministro dei Veterani Tomo Medved si recherà a Grubori, per commemorare un massacro di civili serbi commesso dall’esercito croato. Si tratta di un villaggio fantasma, dove nel 1995 i soldati dell’unità croata ATJ Lučko uccisero 6 civili di età compresa tra i 14 e 90 anni, un crimine accertato ma su cui pesa ancora il silenzio dei colpevoli e dei testimoni. Si tratta di una novità perché, fino ad oggi, la narrativa del governo e delle istituzioni, su Oluja, ha sempre insistito solo sulla vittoria, sulla riconquista del territorio occupato, senza menzionare i crimini commessi.

È un fatto che fa ben sperare?

Diciamo che è un motivo per essere moderatamente ottimisti. Non è mai successo prima che un ministro partecipasse ad una commemorazione delle vittime dell’operazione Tempesta. A Grubori la gente è stata uccisa, le case incendiate e oggi la vegetazione è cresciuta dappertutto. È perfino difficile arrivarci… Insomma, quello che mi dà speranza è che questa è una prima crepa nella retorica della vittoria, dei festeggiamenti a Knin. Per anni, le associazioni come noi e chi si occupa di fare luce sui crimini di guerra hanno chiesto al governo che si menzionassero anche le vittime, che si affiancasse alla celebrazione della vittoria anche l’ammissione dei crimini commessi. E ora, finalmente, il governo lo ha fatto.

Perché il governo Plenković lo ha fatto, a suo avviso?

Perché si tratta di un nuovo governo, che ha già alle spalle una legislatura di collaborazione con il Partito Democratico Indipendente Serbo e con le altre minoranze e che ha vinto bene alle ultime elezioni. Insomma, è un esecutivo che può permettersi di rischiare qualcosa. E noi ovviamente insisteremo perché si continui su questa strada e si lavori per creare un clima di fiducia e di pace.

È possibile che questa novità apra ad un nuovo dialogo con Belgrado su Oluja?

Lo spero, ma va detto che purtroppo abbiamo perso alcune opportunità che non si ripresenteranno. Non si può riparare tutto. Siamo arrivati ad un punto in cui si commemora Oluja e le sue vittime anche al di fuori dei confini croati. Personalmente, avrei preferito che ci fosse, in Croazia, la maturità necessaria a commemorare qui entrambe le cose. E penso che anche l’Unione europea abbia una parte di responsabilità in questo, perché quando si è deciso cosa fare con le celebrazioni (e sono passati molti governi e non solo a guida HDZ), si è visto che le istituzioni croate ignoravano apertamente le vittime. Questo ha portato la Serbia e la Republika Srpska ad organizzare una propria giornata di ricordo e questo, secondo me, è un punto di non ritorno.

Queste commemorazioni sono ovviamente molto diverse.

Certo. E io dubito fortemente che si arrivi un giorno ad un’unica narrazione condivisa su Oluja, perché le interpretazioni sono troppo distanti, anche quando si parte dagli stessi dati. Ad ogni modo, oggi abbiamo commemorazioni in tre luoghi diversi. In Serbia e nella Republika Srpska, le vittime sono politicizzate (non che qui non avvenga, intendiamoci) e senza che il loro status sia regolato. Non c’è in realtà l’interesse di tutelarle. In Croazia, gli invalidi di guerra – siano essi civili o militari – sono riconosciuti, ma si tratta comunque solo di un sottoinsieme all’interno del gruppo più grande delle vittime di guerra.

Sul numero delle vittime e degli esuli, qual è la situazione?

Ci furono sicuramente centinaia di vittime civili, ma le ricerche vanno avanti. Noi insistiamo perché il cosiddetto “Centro memoriale di documentazione sulla Guerra patriottica” (MCDR ) pubblichi i suoi dati, in modo che noi possiamo poi controllarli con missioni sul campo. Svolgiamo due attività complementari ed è ora che si confrontino i dati. In Croazia, direi, non c’è più nessuno che neghi l’esistenza di vittime civili durante e dopo l’operazione Tempesta, ma non c’è unanimità sul loro numero. La narrazione ufficiale parla di una quarantina di vittime, quelle confermate nei tribunali (con i processi a Gotovina ecc.), ma siamo certi che ci siano state invece centinaia di vittime civili. Per quanto riguarda chi lasciò la Croazia in seguito all’operazione, i nostri dati parlano di 150–200mila persone. In Serbia, il dato citato più spesso è di 250mila. Purtroppo, si è persa l’occasione per confermare il numero esatto all’epoca.

Oluja fu un’operazione di pulizia etnica?

Anche qui, ci sono diversi punti di vista. In Serbia e all’interno della minoranza serba in Croazia si parla di pulizia etnica. Io sostengo che la pulizia etnica fu sicuramente una conseguenza dell’operazione, ma non sono d’accordo che questa sia stata l’obiettivo fin dall’inizio. In Serbia, poi, si contesta la legittimità stessa dell’operazione, mentre mi sembra che la minoranza serba in Croazia non lo faccia. Io ritengo che Oluja sia stata un’operazione assolutamente legittima. Il governo croato cercava allora di recuperare un territorio occupato e di riportarlo sotto il controllo costituzionale. Dal 1991, molte persone – perlopiù croate – furono espulse da quel territorio e il rispetto dei diritti umani all’interno della cosiddetta Repubblica Serba di Krajina, tra il 1991 e il 1995, è stato duramente criticato da più parti (si poteva facilmente essere uccisi per molto poco). Quindi, l’operazione Tempesta fu legittima, ma rimangono inaccettabili i civili uccisi e i villaggi incendiati.

Torniamo alle commemorazioni di quest’anno, un membro della minoranza serba è appena diventato vice-premier. Cosa può significare questo nei prossimi anni?

All’epoca del governo di Ivo Sanader, avevamo Slobodan Uzelac [un altro esponente dell’SDSS, ndr.] come vice-premier. Fu un’esperienza positiva e negativa al tempo stesso. Ciò detto, Boris Milošević può certamente fare molto. Ha un ruolo operativo, in una posizione chiave per la preparazione delle leggi. Inoltre, va ricordato che Milošević rappresenta non solo il partito serbo ma tutte le minoranze, quindi può contribuire ad un miglior dialogo tra la maggioranza e le minoranze nazionali, non solo tra croati e serbi. Le possibilità ci sono insomma, vedremo i risultati a fine mandato.

La società croata è pronta a fare i conti con la complessità di questa storia?

Io credo nel potere della curiosità e nel potere di porre delle domande. Se non sarà questa generazione di giornalisti, di studenti e di ricercatori a porre i quesiti giusti, sarà quella successiva. Perché parliamo di crimini ben noti, su cui c’è già una buona base di ricerca. Inoltre, quando lavoriamo nelle scuole, vedo che i giovani croati, anche quando conoscono solo versione ufficiale dei fatti (va ricordato che qui la “versione ufficiale” è stata codificata in una legge ad hoc!), sono pronti ad ascoltare nuove informazioni e a fare domande. Infine, aggiungerei che un ruolo attivo deve averlo anche l’Unione europea, perché alla questione dei crimini di guerra, delle commemorazioni e della rilettura del passato, è legato anche il tema dello sviluppo della democrazia, qui come altrove nella regione. Quando la Croazia era candidata all’adesione, c’era un vero interesse da parte della Commissione europea per come i crimini venivano trattati nel discorso pubblico. Ora quell’interesse è svanito. È un peccato perché si tratta di una questione europea, anche per la presenza nella regione di contingenti europei negli anni Novanta, come quello olandese a Srebrenica e quello danese a Dvor, durante l’operazione Oluja. Insomma, fermo restando la responsabilità dei governi locali e ovviamente dei singoli colpevoli dei crimini, c’è una responsabilità condivisa in questa storia e deve perciò esserci un impegno comune, che coinvolga tutti, nel decidere cosa racconteremo alle prossime generazioni.

Dibattito pubblico

Il 6 agosto Jelena Đureinović del Centro per il diritto umanitario parlerà dell’Operazione Tempesta nel contesto delle culture e della politica della memoria in Croazia e Serbia con Vjeran Pavlaković dell’Università di Rijeka e Sven Milekić dell’Università di Maynooth in Irlanda. La conversazione si concentrerà sull’analisi delle celebrazioni di quest’anno in entrambi i paesi. La discussione sarà introdotta dalla coordinatrice di RECOM e fondatrice del Centro per il diritto umanitario, Nataša Kandić.
È possibile seguire la discussione sul canale Facebook e Youtube della rete di riconciliazione RECOM giovedì 6 agosto alle 12.00. La registrazione audio della conversazione sarà inoltre pubblicata come podcast di Cultura della memoria sul sito web: www.kulturesecanja.org .

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