Oltre i tabù della guerra in Croazia
Il film "Crnci – I Neri’ è uno dei casi cinematografici degli ultimi anni. Una storia, raccontata in un lungo flash back, ambientata verso la fine della guerra in Croazia, nel 1995. A Rovereto una delle "tappe" della rassegna cinematografica Al cuore dei conflitti, promossa da Osservatorio Balcani e Caucaso, Lab80 e Peacereporter
Secondo appuntamento, domani 5 aprile, con la rassegna cinematografica "Al cuore dei conflitti" nell’ambito del programma del Nuovo Cineforum di Rovereto. Il ciclo in sette pellicole, promosso per il secondo anno dalla Federazione Italiana Cineforum in collaborazione con Lab80, Osservatorio Balcani e Caucaso e Peacereporter, propone, dopo “Honeymoons” del serbo Goran Paskaljević, una pellicola croata.
“Crnci – I neri” (2009), coregia di Goran Dević e Zvonimir Jurić, è stato uno dei casi cinematografici degli ultimi anni. Una storia, raccontata in un lungo flash back, ambientata alla fine della guerra in Croazia e che tocca un tabù della storia recente croata. Il film ha ricevuto numerosi premi tra i quali a Pula/Pola in Croazia (miglior film e miglior attore non protagonista), al film festival di Cottbus in Germania (miglior regia) e il premio Crossing Europe a Linz.
Dopo che è stato siglato il cessate il fuoco, al termine dell’operazione Oluja (Tempesta), l’unità speciale dell’esercito chiamata Crnci (i neri), cui sono sempre stati affidati i lavori sporchi, sta per essere sciolta. Ma il comandante Ivo (Vedi Ivo Gregurević), che ha appena perso tre dei suoi uomini nel corso di un’azione, vuole, prima di sciogliere l’unità, recuperare i corpi dei caduti nel bosco e far esplodere una diga per vendicarsi con il nemico. I sopravvissuti della squadra vengono mandati in azione, ognuno con i propri traumi, i propri dubbi e le proprie zone oscure: uno di loro è tossicodipendente, un altro ancora disperato per la separazione dalla moglie e così via. Troveranno il vero nemico, dove meno se lo aspettano, in se stessi, costretti ad affrontare le paure e il passato.
Dević e Jurić raccontano la vicenda utilizzando lo stile del thriller, con contaminazioni da horror psicologico. Anziché fare l’ennesimo film d’autore sul conflitto i due registi croati – entrambi noti per i loro cortometraggi e documentari – scelgono la strada del film di genere, più adatto a richiamare l’attenzione di un pubblico distratto, stanco o disinteressato a un certo tipo di pellicole o più sensibile a storie di tensioni e adrenalina. Dal punto di vista della pellicola di genere si può dunque dire che i registi abbiano raggiunto lo scopo: in 75 minuti di pellicola, il minimo indispensabile, riescono a trasferire al pubblico sensazioni fisiche e sensoriali. Riescono a far percepire il caldo torrido e l’umidità, i forti odori del bosco e realizzano un ottimo lavoro sul sonoro, tutto volto a rendere più angosciosa l’atmosfera e quasi claustrofobica sebbene la maggior parte delle scene siano girate in esterno.
Un obiettivo che forse non è stato completamente raggiunto, dal punto di vista della denuncia della guerra da parte dei registi, è quello di far prendere coscienza dei dilemmi di chi combatte e dei drammi profondi di cui una guerra è portatrice. Questo messaggio viene prevaricato dai tratti caratteriali dei singoli personaggi e, nel racconto, dalla semplificazione dei loro problemi cadendo nei luoghi comuni del soldato.
Ciò non toglie il grande merito dei registi di riuscire a stimolare il pubblico dei giovanissimi a confrontarsi sullo schermo con fatti scomodi o rimossi. Molto bravi gli interpreti, tra i quali alcuni dei migliori talenti delle ultime generazioni di attori della ex Jugoslavia, come Emir Hadžihafizbegović, Rakan Rushaidat, Krešimir Mikić e Niksa Butijer.