Olivera Lakić: perché ho rinunciato alla scorta
Da tempo Olivera Lakić, giornalista investigativa del quotidiano montenegrino Vijesti era sotto scorta. Dopo però essersi resa conto che le istituzioni lavorano contro di lei e non a suo favore ha rinunciato al programma di protezione. In un’intensa lettera spiega le sue ragioni
Originariamente pubblicato da Vijesti il 5 ottobre 2014 (titolo orig. Država me izdala. Neću da budem dio farse )
La giornalista del quotidiano montenegrino Vijesti Olivera Lakić, dopo essersi rivolta al ministero dell’Interno, chiedendo di essere informata sulle attività svolte dalla sua scorta e sulle motivazioni per le quali rientra ancora nel programma di protezione, e dopo non aver ottenuto risposta alcuna, ha deciso di rifiutare la scorta che le era stata accordata.
Olivera Lakić era stata messa sotto scorta della polizia nel marzo 2012, dopo che era stata aggredita fisicamente da uno sconosciuto davanti a casa. Nel processo che ne è seguito il Tribunale di Podgorica ha emesso una sentenza di condanna il 20 luglio 2012, a carico di Ivan Bušković, residente a Podgorica.
Di fronte allo stesso tribunale sono ora a processo anche gli amici di Bušković, rei di aver fornito un falso alibi. In corso vi è anche un procedimento a carico dell’ex capo della sicurezza dell’allora direttore della polizia Veselin Veljović, Milenko Rabrenović, accusato di aver minacciato Olivera Lakić e la sua famiglia. Si attende inoltre una sentenza nel processo contro Milan Grgurović, accusato di aver dichiarato il falso in merito al reato per cui ora è sotto processo Rabrenović.
Quella che segue è la spiegazione della giornalista di Vijesti sul perché ha rifiutato la scorta:
Se si dà la scorta ad un giornalista, gli si toglie la libertà e in quanto giornalista è finito. Vani sono tutti i suoi sforzi per ritornare ad una vita normale e lavorare, semplicemente è impossibile. La scorta della polizia ha senso solo quando chi è responsabile della vostra sicurezza, in primis come cittadino, mentre siete in quella sorta di prigionia fa di tutto per eliminare il pericolo che vi minaccia. Ma nel mio caso non è andata così.
La maggior parte di quelli che avevano il compito di proteggermi e far luce su tutti quei casi – mentre io ero praticamente rinchiusa tra 4 mura – hanno trascorso il loro tempo in compagnia di vari ipocriti e trafficoni dei centri di potere, formali e informali, sostenuti anche, con mia grande sorpresa, da alcuni colleghi dei media. Hanno lavorato con dovizia al mio discredito sia come essere umano che come giornalista, hanno ostacolato le indagini e hanno cercato di spaventarmi ulteriormente. In questi ambienti io sono marchiata come nemico dello stato, giornalista manovrata che lavora per interessi altrui, e non nell’interesse della propria professione. Nessuno di questi ha ancora avuto il coraggio di dirlo in pubblico e di argomentare i danni che mi hanno fatto come donna e come giornalista.
So bene dove si sono fatte, e si continuano a fare, queste cose, ma non ho nessuno a cui rivolgermi per chiedere aiuto e farmi proteggere. Tutte le porte per me sono chiuse ormai da tempo.
Nel momento in cui ho preso coscienza che prendo in giro me stessa se faccio conto sulle istituzioni statali e quando è diventato chiaro che loro lavorano direttamente e palesemente contro di me, ho rifiutato che mi proteggessero fisicamente. Non volevo più partecipare a quella farsa e darle la legittimità che ha ottenuto in pubblico facendo vedere quel che fanno quei poveracci, ma io so che non fanno niente tranne fare il possibile per danneggiare la mia salute e la mia integrità.
Ho chiesto mille volte una spiegazione sul perché sono sotto scorta, fino a quando sarebbe durata e a che punto sono le indagini che, a quanto dicono, stanno conducendo. Il ministro dell’Interno mi ha detto, a dicembre dello scorso anno, che l’Agenzia per la sicurezza statale ha redatto e consegnato un’analisi sullo stato della situazione. Ma nonostante la rassicurazione che mi avrebbero fatto sapere nel giro di qualche giorno se sono ancora minacciata o no, non si sono più fatti sentire.
Amareggiata da questo atteggiamento della polizia, mi sono rivolta alla fine dello scorso luglio al Difensore dei diritti e delle libertà umane, proprio perché non sapevo più a chi rivolgermi. Ma anche lui mi ha ignorata, cosa che mi ha ulteriormente delusa.
Ecco perché all’inizio di settembre, del tutto impotente nella lotta per cercare di ritrovare la mia libertà, ma anche la mia sicurezza, ho rifiutato la scorta della polizia e di questo ho informato prontamente il capo dello Stato, il governo e il parlamento. Ho detto loro chiaramente e senza equivoci che sono loro i responsabili della mia situazione perché occupano le posizioni di comando nelle istituzioni che hanno come compito principale la protezione e la garanzia dei diritti delle persone. Per questo quel giorno ho affidato tutta la responsabilità della mia persona e della mia famiglia nelle loro mani.
Deludente è il fatto che dal giorno in cui mi sono tolta la scorta nessuno ha detto alcunché, nessuno mi ha rivolto la parola e spiegato come è possibile che adesso, che la scorta la elimino io stessa, sembra non mi serva più. Vuol dire forse che avevo ragione io e che per tutti questi anni hanno limitato la mia libertà perché qualcuno aveva l’intenzione di mettermi a tacere e spaventarmi? Il mio stato mi ha sfruttata e tradita?
Qualcuno dovrà pur rispondermi, prima o poi. E rispondere in modo professionale e secondo la legge. Non permetterò mai a nessuno di giocare con la sicurezza e la tranquillità della mia famiglia. Così come non la passerà liscia chi senza vergogna gioca con la mia integrità morale e professionale.