Olimpiadi: il sogno infranto degli atleti kosovari

Non è un problema recente. Per gli atleti kosovari è impossibile difendere i colori della propria bandiera. E’ accaduto anche alla judoka Majlinda Kelmendi, alle olimpiadi di Londra. "Ma a Rio 2016 gareggerò per il Kosovo"

06/08/2012, Jacopo Corsini -

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Londra 2012

Il Presidente bielorusso Lukashenko, cui venne rifiutato sia il visto per recarsi in Gran Bretagna sia l’accreditamento dal Comitato Olimpico Internazionale, già prima dell’inizio dei giochi sentenziò: “non sono sport ma politica, sporca politica”.

Anche se siamo distanti dalla tensione politica internazionale che aleggiava su Mosca ’80 o Los Angeles ’84, l’edizione di quest’anno ha sollevato non poche polemiche nella regione dei Balcani Occidentali, in particolare Kosovo e Serbia, a causa della decisione di non far partecipare gli atleti kosovari all’interno di una rappresentanza nazionale kosovara.

Il veto di Divac

Il Presidente del Comitato Olimpico serbo ed ex stella internazionale del basket, Vlade Divac, si pronunciò in merito già nel marzo scorso quando disse chiaramente che se gli atleti kosovari, di etnia albanese o serba, avessero voluto partecipare ai giochi olimpici di Londra lo avrebbero potuto fare solo ed esclusivamente all’interno della delegazione serba.

Di diversa opinione fu invece il Parlamento di Strasburgo che pochi giorni dopo, il 29 marzo, adottò una Risoluzione in cui chiese ufficialmente l’inizio dei negoziati di adesione con la Serbia, che già da un anno aveva ottenuto lo status di paese candidato, e allo stesso tempo sollecitava Belgrado perché desse nuovo impulso ai negoziati diretti con Pristina, bloccati ormai da alcune settimane (e ancora oggi non ripresi); nello stesso documento fece appello al Comitato Olimpico Internazionale affinché lasciasse partecipare atleti kosovari sotto la propria bandiera.

A maggio la questione venne portata a Losanna, sede del Comitato, il quale sentenziò che, secondo lo statuto, per poter partecipare ai giochi olimpici uno stato deve essere riconosciuto dalla Comunità internazionale, cioè dalle Nazioni Unite. E il Kosovo, ad oggi riconosciuto ufficialmente da 91 Paesi, deve fare i conti con l’opposizione della Serbia sostenuta dalla protettrice Russia che detiene il potere di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza.

Non solo le olimpiadi

In questi giorni a Londra solo un’atleta kosovara, la famosa judoka Majlinda Kelmendi, ha preso parte ufficialmente alle olimpiadi sfilando all’interno della rappresentativa di Tirana. Medaglia d’oro ai campionati mondiali junior di Parigi di tre anni fa, negli ultimi mesi la giovane atleta nata nel maggio del 1991, si è dovuta scontrare con le resistenze del Comitato il quale, oltre a negarle la possibilità di gareggiare sotto la propria bandiera nazionale, le ha proibito anche quella di gareggiare come atleta indipendente sotto la bandiera olimpica, a differenza di quanto è stato concesso a quattro altri atleti provenienti dal neonato Stato del Sud-Sudan e dalle ex Antille olandesi. Senza possibilità di rappresentare ufficialmente il proprio Paese, Majlinda si è ritrovata così costretta a partecipare all’interno della delegazione albanese. E’ scesa sul tatami nella categoria del judo femminile dei 52 kg.

La non partecipazione ai giochi olimpici di Londra è solo il più clamoroso dei tanti dinieghi che Pristina si è vista presentare in campo sportivo. L’isolamento internazionale in questo campo è generalizzato e neppure il recente accordo con Belgrado sul famoso “asterisco”  sembra sia stato sufficiente. L’accordo, raggiunto nel febbraio scorso, consentiva la partecipazione del Kosovo ad eventi internazionali a patto che il nome fosse seguito da un asterisco che rimandasse ad una nota a piè di pagina in cui si menzionava la Risoluzione 1244 e il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia.

È evidente come l’isolamento internazionale di Pristina in ambito sportivo abbia anche ricadute politiche: molti atleti di etnia albanese sono stati allenati e sono cresciuti in Kosovo e successivamente “dati” alla vicina Albania per poter competere in eventi internazionali con la conseguenza che si stanno facendo sempre più numerose le richieste di una maggiore integrazione, quando non una vera e propria fusione, delle federazioni sportive kosovare con quelle albanesi.

Arrivederci a Rio

Nel frattempo, i sogni di Majlinda di dedicare una medaglia olimpica al proprio Paese sono stati infranti sul tatami: arrivata tra le 16 atlete di finale dopo aver battuto la finlandese Jaana Sundberg, si è dovuta arrendere alla judoka delle Mauritius, Christianne Legentil. Nonostante questo, la ventunenne kosovaro-albanese ha affermato che continuerà la battaglia per realizzare il sogno di gareggiare, alle prossime olimpiadi di Rio de Janerio, con la bandiera kosovara cucita sul proprio kimono.

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