Offensiva turca nel nord dell’Iraq
Non si è fatta attendere la risposta del governo turco dopo gli attacchi sanguinosi degli indipendentisti curdi del Pkk. Più di diecimila militari dell’esercito sono entrati nel nord dell’Iraq per colpire obiettivi del gruppo indipendentista. L’operazione militare gode dell’appoggio di gran parte dell’opinione pubblica turca e dei partiti presenti in parlamento. Sostegno quasi unanime anche da parte della comunità internazionale
Dopo l’attacco degli indipendentisti curdi del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) di mercoledì mattina a Çukurca nella provincia orientale di Hakkari al confine con l’Iraq, dove hanno perso la vita 24 soldati, la risposta del governo turco non si è fatta attendere. “La nostra vendetta sarà grande” aveva dichiarato il Presidente della Repubblica Abdullah Gül dopo l’attentato e, ieri, nella giornata di lutto nazionale per i soldati caduti, più di dieci mila militari dell’esercito turco sono entrati nel nord dell’Iraq per colpire obiettivi del Pkk facendo, solo nelle prime ore dell’offensiva, più di venti vittime.
La reazione
Con un dettagliato comunicato in 14 punti, sono state le forze armate turche a dare per prime la notizia che ieri 22 battaglioni dell’esercito si trovavano in territorio iracheno, e con il sostegno degli F-16 e degli elicotteri dell’aviazione stavano combattendo contro i militanti del Pkk. Un intervento militare di terra di cui in Turchia si parlava già da tempo, almeno da quando, a inizio agosto, gli attentati contro i soldati turchi nel sud-est del Paese si sono fatti via via più frequenti e violenti dopo la fine del cessate il fuoco unilaterale proclamato dal leader del Pkk Abdullah Öcalan, in occasione delle elezioni politiche del 12 giugno.
Questa nuova recrudescenza del conflitto ha dato il via a un’escalation di violenza che ha spinto le autorità turche ad autorizzare l’aviazione a bombardare, tra il 17 e il 22 agosto, i campi del Pkk nel nord dell’Iraq. Non è ancora chiaro quanto tempo i soldati turchi rimarranno sul territorio iracheno, interrogato sulla durata dell’intervento dai giornalisti durante la conferenza stampa organizzata ieri pomeriggio Erdoğan si è limitato a dichiarare che: “L’obiettivo è arrivare a una soluzione definitiva del problema”.
La notizia dell’attentato, mercoledì mattina (19 ottobre), ha spinto il parlamento turco a sospendere il dibattito sulle modifiche costituzionali e convocare una seduta straordinaria per discutere delle misure da adottare per contrastare gli attacchi del Pkk. In parlamento il Movimento d’azione nazionalista (Mhp) di Devlet Bahçeli ha criticato duramente l’approccio alla questione curda del governo Erdoğan, considerato troppo morbido. Mentre il segretario del Partito repubblicano del popolo (CHP), il principale movimento di opposizione, Kemal Kılıçdaroğlu ha chiesto le dimissioni del primo ministro accusandolo di “essere il primo responsabile per la morte dei soldati”. Tuttavia dopo la decisione delle forze armate, avvallata dal governo, di dare il via a un’operazione militare di terra, maggioranza e opposizione hanno serrato i ranghi e Bahçeli, da sempre strenuo oppositore del governo, ha telefonato al primo ministro complimentandosi per aver autorizzato l’intervento.
Unica voce fuori dal coro quella del filo-curdo Partito della democrazia e della pace (BDP), “Diciamo basta alla guerra e alle vittime che porta con sé, ci siamo stancati delle dichiarazioni sempre uguali dei governi che si sono succeduti negli ultimi 25 anni che non hanno fatto altro che alimentare logiche di guerra senza riuscire a trovare una soluzione del conflitto. Ci appelliamo sia al governo che al Pkk perché senza aspettare un minuto di più depongano le armi e fermino questa guerra.” Recita il comunicato diffuso ieri e sottoscritto dai leader del partito Selahattin Demirtaş e Gultan Kışanak.
Quest’approccio non sembra tuttavia aver convinto la maggioranza dei cittadini turchi che in questi giorni, sull’onda dell’emozione causata dai funerali dei soldati caduti, hanno dato vita a cortei spontanei in molte città del Paese. Migliaia di persone sventolando bandiere turche hanno manifestato scandendo slogan nazionalisti come “sia maledetto il Pkk”, “i martiri non muoiono, il paese non si divide”. Inoltre, militanti di estrema destra che volevano entrare nelle sedi del filo-curdo BDP per issare al loro interno bandiere turche si sono scontrati con la polizia schierata a difesa delle sedi del partito ad Ankara, Bursa e Balıkesir.
L’appoggio internazionale
Se sul fronte interno l’operazione militare nel nord dell’Iraq gode dell’appoggio di gran parte dell’opinione pubblica turca e dei partiti presenti in parlamento, anche a livello internazionale il governo turco ha ricevuto un sostegno quasi unanime da parte della comunità internazionale. Il Presidente americano Barak Obama ha dichiarato: “Condanniamo questo brutale attentato t[]istico. Il Pkk deve mettere fine alla sua azione t[]istica”. L’Alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione europea Catherine Ashton, dal canto suo, ha dichiarato: “Ho appreso con orrore dei vergognosi attentati t[]istici, condanno con forza quanto accaduto. Voglio sottolineare ancora una volta come l’UE stia con decisione a fianco della Turchia nella sua lotta contro il t[]ismo” .
Anche le autorità irachene, che nelle scorse settimane si erano mostrate abbastanza scettiche rispetto a un possibile intervento militare turco contro le basi del Pkk sul loro territorio, hanno dato il loro appoggio all’operazione. “Stiamo dalla parte della Turchia. Questo attentato non deve per nessun motivo incrinare il rapporto tra turchi e curdi” ha detto a Erdoğan Masud Barzani Presidente del Governo autonomo del Kurdistan iracheno in una conversazione telefonica. Infine la visita ad Ankara del ministro degli Esteri iraniano Salihi prevista per oggi sembra indicare che anche Teheran è disponibile a cercare con la Turchia una strategia comune per combattere gli indipendentisti curdi attivi, tra l’altro, anche nell’est della Repubblica islamica dell’Iran.
Speranza nella nuova costituzione
Rimane comunque da valutare se l’opzione militare rappresenti davvero la soluzione più efficace per porre fine a un conflitto che vede contrapposti esercito turco e militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan dal 1984 e che ha causato più di 40mila vittime. Secondo Can Dundar, giornalista televisivo e editorialista del quotidiano Milliyet non è così: “Sulle montagne ci sono ancora 5mila militanti armati e con il passare del tempo cresce la loro capacità d’azione. E’ sotto gli occhi di tutti che la soluzione non va cercata sulle montagne ma ad Ankara”.
E riferendosi alla recente istituzione di una commissione incaricata di redigere la bozza di una nuova costituzione Dundar aggiunge: “Per la prima volta ad Ankara si è intrapreso un percorso che potrebbe portare ad un cessate il fuoco definitivo e si discute di inserire nella costituzione un nuovo concetto di cittadinanza che consentirebbe di superare un sentimento di ingiustizia che è terreno fertile per il t[]ismo. Scrivere una costituzione che comprenda l’interesse collettivo porta con sé la speranza di una stagione di pace. Se vogliamo mettere fine alla sofferenza, da un lato dobbiamo sbarrare la strada che porta in montagna e dall’altro dobbiamo credere in questo tentativo di raggiungere la pace con la stessa forza con cui abbiamo creduto per anni in una soluzione militare del conflitto”, conclude il giornalista.