Obama per Cipro
Il neoeletto presidente americano Barack Obama ha espresso più di un parere sull’annosa questione di Cipro. Ancora prima che venisse eletto aveva dichiarato la necessità di una soluzione politica negoziata per l’isola divisa. Che sia la volta buona?
Non era mai successo che un presidente degli Stati Uniti parlasse di "occupazione militare turca a Cipro". Barack Obama l’ha fatto, per la precisione 20 giorni prima di essere eletto, rivolgendosi, insieme al suo vice Joe Biden, alla comunità grecoamericana, particolarmente numerosa a Chicago e dintorni, patria dell’allora candidato alla Casa Bianca.
Ma l’Obama pensiero riguardo all’isola di Afrodite si trova tuttora sul suo sito web. Eccolo: "Gli Stati Uniti devono favorire una soluzione politica negoziata per porre fine all’occupazione turca della parte nord di Cipro e sanare la tragica divisione dell’isola, aprendo la strada, al tempo stesso, alla prosperità e alla pace nell’intera regione. Solo questo accordo potrà dare ai ciprioti una base solida sulla quale costruire il proprio futuro dopo tanti anni di incertezza e lacerazione. Infine, contribuirà a migliorare le relazioni fra Grecia e Turchia, a irrobustire la democrazia turca, a ridurre il rischio di conflitto militare e a rimuovere il maggiore ostacolo all’ingresso di Ankara nell’Unione europea".
La ricetta di Obama e Biden per arrivare a un accordo fra turco-ciprioti e greco-ciprioti? "Crediamo fermamente che Cipro debba rimanere un unico stato sovrano nel quale ognuna delle due comunità sull’isola sia in grado di esercitare un’effettiva autorità politica tramite una federazione bizonale e bicomunitaria. Ci dovrà essere un consenso su temi delicati quali le proprietà confiscate, i rifugiati, il territorio, la sicurezza".
Parole che fanno un preciso e non vago riferimento, insomma, alle questioni "calde" sulle quali, dal 3 settembre, stanno trattando Dimitris Christofias, presidente della Repubblica di Cipro, a maggioranza grecocipriota e l’unica riconosciuta dall’Onu dopo l’invasione anatolica dell’isola del 1974, e Mehmet Ali Talat, leader dell’autoproclamato stato di Cipro nord, riconosciuto solo da Ankara.
"Ora aspettiamo che a questi propositi seguano fatti e soluzioni concreti", ha auspicato Christofias, congratulandosi per lettera con Barack Obama il giorno successivo alla sua vittoria, quando sulla poltrona dell’uomo più potente del Pianeta stava per sedersi ormai il politico che più di ogni altro in America di realtà e sensibilità multietniche ne sa qualcosa.
"La Sua elezione e il Suo potente invito al cambiamento hanno creato grandi aspettative non solo nel popolo americano, ma nell’umanità intera – ha proseguito Christofias – per questo motivo il mondo attende che gli Stati Uniti siano un partner determinante negli sforzi collettivi che stanno davanti a tutti noi, richiamandosi ai principi del diritto internazionale e rispettando la Carta delle Nazioni Unite. Le nostre due nazioni hanno in comune i valori e i principi da Lei costantemente ripetuti: rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, della democrazia e della legge – ha concluso Chistofias – sono gli stessi valori e principi a cui il popolo di Cipro ambisce attraverso un’isola riunificata senza forze militari di occupazione".
Il portavoce di Christofias, Stefanou, ha poi precisato che "se il diritto internazionale e le soluzioni Onu riguardo al ritiro delle truppe di Ankara dalla nostra isola saranno messe in atto, allora avremo la soluzione del problema cipriota, soluzione di cui trarranno beneficio sia i greco ciprioti sia i turco ciprioti".
Da parte sua, il leader di Cipro nord Mehmet Ali Talat ha dichiarato che l’elezione di Barack Obama segna un cambiamento importante per il mondo intero: "Un cambiamento che nessuno avrebbe neppure immaginato in passato. Spero che avrà un impatto positivo nella soluzione della questione cipriota. Cipro nord non ha nulla da temere dal nuovo presidente americano".
In questo angolo del Mediterraneo orientale spira quindi vento di fiducia. Anche se dal quotidiano ateniese "To Vima" arriva una riflessione scaramantica: "Non dimentichiamoci che quando fu eletto alla Casa Bianca il democratico Jimmy Carter a Nicosia suonarono le campane a festa, nella speranza che il nuovo leader avrebbe risolto la questione cipriota, come aveva promesso durante la campagna elettorale. Sono passati da allora 32 anni senza che sia successo nulla e, soprattutto, senza che la nota politica filoturca degli Stati Uniti sia cambiata".
Barack Obama, però, ha espresso opinioni precise sul legame fra la fine dell’occupazione militare di Ankara a Cipro e l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, come conseguenza del rafforzamento della democrazia nel Paese anatolico. Non solo: già in passato Obama ha difeso i diritti delle minoranze in Turchia e messo in guardia Ankara con azioni concrete. E’ stato uno dei 73 senatori che nel 2006 hanno firmato una lettera per l’allora presidente Bush, invitandolo a fare pressioni sulla Turchia per ripristinare i pieni diritti, incluse le proprietà, del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, a Istanbul. Sempre Obama aveva scritto una missiva personale al segretario di Stato Condoleeza Rice sullo stesso argomento. Che il "sogno americano" arrivato alla Casa Bianca diventi realtà anche per Cipro?