Nucleare in Bulgaria, tempo di scelte
Mentre dal Giappone continuano ad arrivare drammatiche notizie sulla crisi atomica di Fukushima, in Bulgaria viene di nuovo messo in discussione il progetto della centrale di Belene, contestato per ragioni economiche e politiche, ma anche per il rischio sismico del sito
Mentre il Giappone lotta con l’incubo nucleare, seguito al devastante tsunami che ha colpito il paese venerdì 11 marzo, la crisi in corso nella centrale nipponica di Fukushima riapre in tutto il mondo, Europa compresa, il dibattito sull’energia atomica.
La questione nucleare torna di prima attualità anche in Bulgaria, dove i piani per dotare il paese di una seconda centrale atomica a Belene, lungo il corso del Danubio, si trascinano ormai da quattro decenni. Non è escluso che la catastrofe giapponese, le cui dimensioni restano tutte da definire, potrebbe segnare l’abbandono definitivo di un progetto travagliato e contestato a livello economico, politico e di sicurezza.
Nuove verifiche
“E’ necessario riesaminare la costruzione della centrale nucleare bulgara di Belene”, ha dichiarato il commissario Ue all’energia Gunther Oettinger, dopo la riunione speciale dell’Ue del 15 marzo, in cui è stato raggiunto un accordo sulla necessità di realizzare “stress test” per verificare il livello di sicurezza delle centrali nucleari europee. Oettinger ha fatto esplicito riferimento a Belene in un’intervista alla radio tedesca Deutschlandfunk, chiedendo nuove verifiche tecnologiche e geologiche sul sito, ritenuto dai critici a sensibile rischio sismico.
L’Ue, dopo aver richiesto ed ottenuto nel 2007 da Sofia la chiusura di due dei quattro reattori dell’unica centrale nucleare attiva in Bulgaria, quella di Kozloduy, considerati insicuri ed obsoleti, ha dato il via libera di principio al progetto Belene nel 2008. Secondo Petko Kovachev, direttore dell’Istituto per una politica verde, la decisione prevede però ulteriori studi in caso di reale inizio dei lavori, anche e soprattutto sulla pericolosità sismica dell’area. La richiesta di Oettinger sarebbe quindi del tutto giustificata.
Per i sostenitori del progetto, come l’ex direttore della centrale di Kozloduy Ivan Ivanov, le condizioni verificatesi in Giappone (in particolare il rischio tsunami) non possono ripetersi in Bulgaria, e la futura centrale di Belene risponderebbe a tutti i più moderni criteri di sicurezza. Argomenti che non convincono i critici. “C’è bisogno di decisioni adeguate. Dobbiamo fermare i lavori a Belene”, ha dichiarato ai media Albena Simeonova, della coalizione “BeleNe” (No a Belene).
Secondo Martin Dimitrov, leader dell’Unione delle Forze Democratiche, movimento politico conservatore da sempre contrario alla centrale, all’opinione pubblica bulgara verrebbe addirittura nascosto un dossier realizzato nel 1990 dall’Accademia delle scienze bulgara, dal quale emergerebbe l’alta pericolosità dell’area di Belene.
Tempo di scelte
Il disastro di Fukushima arriva in una fase delicata per le prospettive di sviluppo energetico del paese, legate alla costruzione della centrale di Belene. In queste settimane doveva infatti delinearsi la decisione definitiva sulla costruzione della centrale, almeno a quanto previsto dal memorandum raggiunto a Sofia a fine novembre 2010 tra la società di stato russa “Rosatom”, che dovrebbe costruire la centrale e la NEK, la compagnia nazionale elettrica bulgara.
Il memorandum, arrivato poco dopo una visita in Bulgaria del premier russo Vladimir Putin, e che non avrebbe valore vincolante, prevedeva la costituzione entro quattro mesi di una società russo-bulgara che avrebbe dovuto incaricarsi della gestione del progetto e della raccolta dei fondi necessari alla costruzione. Al momento, però, tutto resta bloccato.
E’ soprattutto il governo bulgaro a mostrare dubbi e ripensamenti sull’accordo, mentre la controparte russa spinge sull’acceleratore, e comincia a mostrare evidenti segni di nervosismo. Uno dei motivi centrali di disaccordo tra le parti è il costo previsto del progetto, che dovrebbe aggirarsi intorno ai 6,3 miliardi di euro, ritenuto troppo alto dal governo di Sofia. Oggetto di discussione è poi la reale convenienza economica della centrale, considerati i costi di realizzazione e le dimensioni ridotte del mercato bulgaro.
Ancora più importante, però, è il dibattito fortemente politicizzato sull’opportunità per la Bulgaria di sviluppare progetti energetici che legano in profondità il paese alla Russia. Oltre a Belene, altre due grandi infrastrutture futuribili per il paese, il gasdotto “South Stream” e l’oleodotto “Burgas-Alexandroupolis” renderebbero ancora più forte lo squilibrio delle relazioni energetiche (e politiche) tra Sofia e Mosca. Un rischio ritenuto insostenibile soprattutto dai partiti di destra, ma malvisto anche dalle parti di Bruxelles.
Proprio per superare le diffidenze europee, al momento della firma del memorandum da parte russa era stato garantito l’ingresso di due società occidentali, la finlandese Fortum e la francese Altran, che però deterrebbero una quota del tutto simbolica (l’1% a testa) nell’affare. Secondo il premier Boyko Borisov, che dalla sua elezione ha tenuto un atteggiamento altalenante sulla questione, anche la tedesca Siemens, indicata come subappaltata nel progetto Belene, avrebbe sicuramente acquisito parte della proprietà, ma a tutt’oggi non si hanno notizie ufficiali a riguardo.
In queste settimane, in cerca di proposte alternative, il ministro dell’Energia bulgaro Traycho Traykov, ha riesumato l’ipotesi, più volte ventilata a livello non ufficiale, di dotare la centrale di Kozloduy di un settimo reattore, rinunciando allo stesso tempo alla costruzione di Belene (per la quale i reattori previsti sono due). Questo permetterebbe di dimezzare i costi, e di evitare quote di produzione che non hanno al momento un mercato. Il sito di Kozloduy, tra l’altro, viene in generale considerato più sicuro rispetto a Belene. “Rosatom” ha però già espresso parere contrario, anche perché “dispiegare il reattore a Kozloduy piuttosto che a Belene farebbe lievitare considerevolmente i costi”.
Un progetto travagliato
Non è la prima volta che il progetto Belene sembra arrivato ad un vicolo cieco, nonostante sia già costato ai contribuenti bulgari circa un miliardo di euro. Il progetto, che vide la posa della prima pietra nel 1987, è stato bloccato a inizio anni ’90 con la caduta del regime comunista. La costruzione venne rilanciata nel 2008 dal governo socialista, anche grazie al coinvolgimento della società tedesca RWE, che avrebbe dovuto acquisire il 49% della centrale. Proprio la RWE decise però di ritirarsi nell’ottobre 2009, perché “gli obiettivi principali del piano di sviluppo non erano stati raggiunti”, causando così un nuovo stop. La ripresa delle trattative con la controparte russa ha poi portato al memorandum del novembre 2010, ma allo stato attuale niente può essere dato per scontato.
Oggi, mentre le tv fanno rimbalzare le drammatiche immagini di Fukushima in tutto il mondo, la questione Belene potrebbe davvero essere arrivata ad un punto di non ritorno. Di certo sul destino della controversa scelta nucleare bulgara (e non solo) peserà, dal punto di vista sia politico che emotivo, il bilancio della catastrofe in corso in questi giorni nella terra del Sol levante.