Novi Pazar, il bazar senza rossetto
E’ molto simile al quartiere d’impronta ottomana di Sarajevo. Ma per molti è più genuino. E’ la čaršija da cui Novi Pazar, Serbia sud-orientale, prende il nome. Un nostro reportage
Novi Pazar ti accoglie dopo chilometri di strada che si inerpica tra le colline e montagne della Serbia meridionale. La prima cosa che mostra di sé è la sua storia social-realista, mescolata alle architetture sbrigative degli ultimi anni. Ed ecco che tra i palazzi socialisti, alcuni dei quali di un’armonia e originalità notevoli, s’accalcano edifici in prefabbricato, nei cui piani terra ci sono negozi in cui si vendono prodotti turchi e cinesi.
Poi si arriva al cuore della città. Che è costituito niente meno che da un mercato, costruito in funzione della città vecchia, la storica Ras, il luogo del primo stato medievale serbo fondato dalla dinastia Nemanjić.
Sono numerosi i monumenti a Novi Pazar che riconducono a questo periodo, benché il cuore della città sia di architettura tipicamente ottomana.
Come lo stesso nome suggerisce, Novi Pazar è infatti nata come un mercato, al di fuori dalla città medievale serba, prendendo le sembianze di una tipica čaršija* ottomana, conservata nella sua originalità fino al giorno d’oggi.
La Baščaršija senza rossetto
Gli abitanti ora la chiamano la ‘Baščaršija senza rossetto’: una čaršija ben conservata, per certi versi simili a quella di Sarajevo – la Baščaršija appunto – ma più modesta e con meno sfarzi.
Nonostante sia ora divenuta meta di un certo tipo di turismo alternativo, la čaršija di Novi Pazar continua – in maniera molto naturale – a preservare la funzionalità tradizionale di mercato e di luogo di ritrovo per i suoi abitanti.
Costruito tra il 1459 e il 1461 da Isa Beg Isaković, lo stesso che fondò la Baščaršija di Sarajevo, il bazar, ai piedi della fortezza di Raška, ha preso il nome di "novi pazar", mercato nuovo. Uno spazio privilegiato per i caravanserragli, per l’incontro e lo scambio tra mercanti e punto di incrocio tra importanti centri urbani di epoca ottomana.
Il “mercato nuovo” si trova infatti all’incrocio tra le vie di comunicazione longitudinali che collegano l’antica Ragusa, Sarajevo, Istanbul, Niš e Sofia e la direzione nord-sud che legava Budapest, Belgrado e la parte meridionale dei Balcani ottomani.
Convivenza
Nonostante la forte dinamica di “provincializzazione” degli spazi a seguito dei conflitti avvenuti nell’ex Jugoslavia, la città presenta una multietnicità che la differenzia dagli schemi della struttura demografica della Serbia. Circa il 70% della popolazione è infatti costituito da bosgnacchi, di fede musulmana, ma non mancano serbi, albanesi, gorani, rom e montenegrini. Un’originalità che mette Novi Pazar al centro di accesi dibattiti riguardanti i diritti delle minoranze religiose e linguistiche in Serbia.
L’impressione però, camminando in città, è tutt’altra. Donne velate passeggiano a fianco a quelle in minigonna, le lingue si mescolano e persino il serbo qui prende le sfumature dell’albanese-kosovaro e del macedone settentrionale.
In una kafana alcuni uomini festeggiano, bevono e cantano. Si lasciano fotografare senza complessi e, presentandosi, parlano tutte le lingue che conoscono. Tra di loro un kosovaro rientrato da una lunga emigrazione in Svizzera, alcuni bosgnacchi locali e un serbo, in un’atmosfera di festa, tra alcol e il ritmo delle ballate jugoslave degli anni ’70.
Tra chi paventa conflitti potenziali nei Balcani, Novi Pazar è una delle località sempre presenti e ad alto rischio. L’essere una città transfrontaliera, e la religione musulmana della maggior parte dei suoi cittadini, ne sono i motivi principali. Ma a sentire gli abitanti, i conflitti sembrano remoti.
Questo traspare anche nella vita della čaršija. Vita dal ritmo calmo in cui la socializzazione nei caffè, ma anche sui marciapiedi, sembra prevalere sull’attività commerciale della čaršija e sfida qualsiasi schema di divisioni religiose o nazionali.
“Qui tutti sono liberi di essere quello che sono – mi spiega un giovane gorano – le religioni sono qualcosa di personale”. Dello stesso parere un serbo desideroso di farsi intervistare. “Io lavoro con i bosgnacchi e con gli albanesi. Mi trovo benissimo, sono onesti. E innanzitutto siamo persone, tutte uguali, e solo poi ortodossi o musulmani”.
Il futuro della čaršija
Nonostante la čaršija di Novi Pazar non abbia perso la sua centralità nella vita cittadina, sono numerosi gli edifici in pessime condizioni, e il quartiere della čaršija presenta i segni del tempo e della dura transizione degli ultimi vent’anni.
La necessità di una sua ristrutturazione, promozione e valorizzazione si evidenzia in tutta la sua urgenza. C’è chi, del resto, ha già avviato passi in questa direzione, non limitandosi alla sola čaršija.
“Abbiamo deciso di non concentrarci unicamente su ciò che è materiale e visibile, ma di sviluppare un percorso di valorizzazione dell’eredità culturale di questa zona che passa anche attraverso aspetti “minori” dell’intera valle del fiume Ibar: il cibo o gli abiti tradizionali, la musica e la letteratura. Valorizzare il territorio quindi attraverso un approccio multidisciplinare e flessibile, prestando attenzione in egual misura al materiale e all’immateriale“ spiega Lazar Nisavić dell’Associazione Sodalis.
L’associazione guidata da Lazar collabora con il programma SeeNet II a un progetto transfrontaliero che include anche Novi Pazar e la sua čaršija. Istituzioni locali, istituzioni culturali e comunità religiose sono state coinvolte nella definizione di un macrosistema turistico secondo il concetto dell’Ecomuseo. Nato negli anni ’80 in Francia, l’Ecomuseo consiste nel far esplorare un determinato territorio al visitatore, superando i limiti del museo espositivo, in cui spesso il visitatore ottiene delle informazioni passive e non è protagonista del suo esplorare.
Un’esplorazione che ci si augura possa partire, per sempre più persone, dal “mercato nuovo” di Novi Pazar, la Baščaršija senza rossetto.
* Per facilitare la lettura si è scelto di usare il termine in versione ‘bchs’ (čaršija) nei testi riguardanti la Bosnia Erzegovina e la Serbia; in quelli sull’Albania, l’ortografia albanese (çarshija); invece per i bazar in Kosovo e Macedonia vengono usate indifferentemente entrambe le diciture.