Non è posto per noi. Migranti in Serbia
Sono originari di Afghanistan, Siria, Bangladesh. E si ritrovano nei centri per richiedenti asilo della Serbia. Ma non è certo lì che vogliono restare. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Il centro per richiedenti asilo di Banja Koviljaca dista 145 km da Belgrado, vicino al confine con la Bosnia Erzegovina. Ci vivono cento persone provenienti da Afghanistan, Bangladesh, Siria, Somalia, Gambia e Croazia. Superata la Turchia, quasi tutti hanno affrontato lo stesso percorso: Grecia, Macedonia e Serbia. Se fermati dalla polizia fanno richiesta di asilo per prendere tempo, ma nessuno vuole fermarsi davvero in Serbia. Differenti storie di vita e nazionalità ma un desiderio in comune: raggiungere l’Italia, la Svizzera, l’ Austria o la Germania. Spesso hanno parenti o amici ad attenderli e conoscono o credono di conoscere i tempi delle procedure necessarie per ottenere una regolarizzazione.
“E’ vero che in Italia danno l’asilo in due mesi?” chiede Zoha, in fuga dalla Siria con suo marito e la piccola Vana di quattro anni. Il trafficante che lei e suo marito avevano pagato perché li portasse a destinazione, li ha lasciati in Serbia dicendo loro che si trattava dell’Italia. Questi trafficanti di uomini traghettano i migranti lungo il percorso dalla Grecia alla Serbia in cambio di grosse quantità di denaro. Vana intanto continua a sfogliare le pagine di un enorme atlante cartonato quasi per dimostrare che anche lei riesce a girare le pagine di un volume tanto pesante. La politica europea sulle migrazioni si propone sulla carta di conciliare diritti e sicurezza ma pochi riescono a realizzare il sogno di voltare pagina nella vita, quasi tutti subiscono gli effetti della Fortezza Europa.
Lutfa ha 14 anni e oltre alla sua lingua madre, il bengalese, parla perfettamente inglese e greco. Ha vissuto più di dieci anni ad Atene frequentando la scuola e trovando degli amici che poi ha dovuto lasciare quando era chiaro che non le avrebbero dato i documenti per restare legalmente. “Non è posto per noi”, le ha detto sua madre. Hanno ripreso a muoversi verso nord superando il confine tra Macedonia e Serbia, un limbo di illegalità gestito dalla mafia albanese. Prima di finire al centro per richiedenti asilo, Lutfa e la sua famiglia hanno vissuto per un mese in una zona chiamata “the Jungle” che si trova nei dintorni di Subotica città nel nord della Serbia al confine con l’Ungheria. Si tratta di un’area di confine dove migranti di varia provenienza sono soliti accamparsi aspettando il momento migliore per entrare in Ungheria.
Le condizioni di vita sono durissime e i raid della polizia sono sempre più frequenti. Molti dei migranti illegali presenti in Serbia sono già stati ospiti di uno dei due centri per richiedenti asilo per poi andarsene prima di portare a termine la procedura. “Alcuni salutano prima di andare, in qualche modo ci avvisano. Altri partono senza dire niente”, racconta Jelena psicologa dell’Ong Asylum Protection Centre di Belgrado che, oltre a fornire assistenza legale ai migranti, gestisce un laboratorio di attività pratiche per donne e bambini.
Mentre continuano ad aumentare gli arrivi e le domande di asilo, il numero di riconoscimenti di status di rifugiato resta a zero. Il concetto di paese terzo sicuro e la scarsa conoscenza del tema da parte dei funzionari e dei giudici provoca la reiterazione della stessa prassi. “Al governo serbo non importa nulla dell’asilo, la stessa legge sull’asilo del 2008 è stata una scelta obbligata per poter raggiungere le condizioni per l’integrazione. Ora che la questione immigrazione è diventata ancora più importante per l’Europa, aumentano le richieste di legiferare meglio sul tema anche per i paesi candidati”, dice Rados Djurovic direttore di Asylum Protection Centre.
La vita al centro a Banja Koviljaca scorre lentamente, le attività organizzate sono solo per donne e bambini e il contesto locale non è accogliente tanto che i genitori di Lutfa non le permettono di uscire sola dal centro. “C’è la mafia, è pericoloso”. Poco tempo fa hanno picchiato e rapinato due ragazzi africani proprio lì vicino. Non ci sono state indagini e i funzionari del centro hanno consigliato agli utenti di non uscire dopo le quattro di pomeriggio, quando comincia a tramontare il sole. A causa della scarsa capienza del centro molti migranti dormono in giro o affittano una stanza nella piccola cittadina nota stazione termale della Serbia. Intanto sono le quattro e bisogna rientrare. “Questo allenamento mi servirà per attraversare il prossimo confine”, dice ridendo Lutfa mentre risale col fiatone la strada che dal parco di Banja Koviljaca la riporta a casa sua in Serbia, che presto lascerà perché l’Europa l’aspetta.
* Patrizia Riso si trova attualmente a Belgrado per completare un’attività di ricerca sul tema dei flussi migratori in Serbia.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa.