Non è affar nostro

Nel novembre scorso una delegazione di ”cancellati” sloveni si era recata a Bruxelles chiedendo all’Europa di intervenire. La Commissione europea, per voce di Franco Frattini, si tira però fuori: non è competenza nostra

09/02/2007, Franco Juri -

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Una manifestazione dei cancellati

Ai "cancellati" della Slovenia la Commissione europea risponde picche. Il commissario per la libertà, sicurezza e giustizia Franco Frattini, che l’anno scorso aveva ricevuto a Bruxelles una delegazione di cancellati su iniziativa degli eurodeputati italiani della Sinistra unita Roberto Musacchio e Giusto Catania, ha spiegato in questi giorni che la Commissione non è qualificata a risolvere l’annoso problema delle migliaia di apatridi di origine ex jugoslava (perlopiù serbi, croati, bosniaci, rom, macedoni, ma anche sloveni nati oltreconfine o in Slovenia ma con documenti non regolarizzati), residenti in Slovenia, che nel 1992 persero il diritto alla residenza permanente e furono cancellati dai registri con un atto burocratico arbitrario probabilmente ordinato dal governo.

Oltre 18 mila persone rimasero anche senza i diritti che le leggi garantiscono ai cittadini stranieri. Successivamente, nel 1999, la Corte costituzionale slovena stabilì l’anticostituzionalità e l’illegalità della cancellazione per cui il governo dovette rimediare riconoscendo a chi era stato cancellato lo status di residente permanente.

Con una successiva delibera del 2003 la stessa Corte costituzionale impose al governo di riconoscere i diritti dei cancellati anche in termini retroattivi, cioè dal giorno della cancellazione avvenuta nel 1992.

La questione assunse allora dei connotati politici; i partiti della destra, che dopo l’indipendenza era al governo, si schierarono decisamente contro questa eventualità e iniziarono una campagna dalle tinte fortemente xenofobe che culminò nel 2003 con un referendum che rullò la timida legge "tecnica" che l’allora governo liberale aveva varato per risolvere la questione gradualmente ma nel rispetto delle sentenze della Corte costituzionale.

Dopo la vittoria elettorale di Janez Janša tutto si è fermato e il governo progetta di superare lo scoglio delle sentenze dei giudici costituzionali con una legge costituzionale in grado di escludere da ogni diritto la maggior parte dei cancellati e risolvere solo alcuni casi individualmente, minacciando persino di rivedere lo status di quanti lo hanno già regolarizzato in base alle delibere ed alla legge del precedente governo.

Di fronte all’impasse politica e all’impotenza i cancellati si erano riorganizzati e a novembre una loro delegazione di circa 40 persone, alcune delle quali erano riuscite a riottenere il diritto di residenza e i documenti, ma senza validiità retroattiva, aveva fatto scalo, con l’ aiuto di alcuni attivisti umanitari e su invito dei partiti della sinistra italiana ed europea, del sindacato metalmeccanici Fiom e dei Sans papier francesi, a Trieste, Monfalcone, Parigi e Bruxelles chiedendo all’Europa di intervenire e di far sì che Lubiana risolva al più presto il problema nel rispetto delle sentenze costituzionali e dei diritti umani fondamentali.

Sulla loro precaria e in molti casi persino tragica situazione erano intervenuti a più riprese anche il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Alvaro Gil Robles, la Commissione per la lotta al razzismo e alla discriminazione (Ecri), la Commissione affari sociali dell’ONU, Amnesty International e lo stesso ombudsman sloveno Matjaž Hanžek, recentemente stigmatizzato da Janša per la sua denuncia del capillare controllo senza mandato giudiziario che la polizia slovena esercita su cittadini e giornalisti, come avvenuto nel caso della famiglia rom degli Strojan.

Ma secondo Frattini la Commissione non sarebbe competente in quanto è in grado di intervenire solo laddove ci siano gli estremi riconducibili alle direttive UE. Quelle relative al caso della cancellazione – puntualizza il commissario – risalgono al 2003, per i nuovi stati membri al 2006 e comportano una retroattività di soli cinque anni. Ciò significa che solo i casi risalenti al periodo dopo il 2001 sarebbero – stando a Frattini – di formale competenza della Commissione.

I cancellati dimentichino l’interessamento dell’UE; la loro è una questione di esclusiva pertinenza slovena. Delusi e costernati i diretti interessati, mentre il loro rappresentante legale ed ex giudice costituzionale Matevž Krivic commenta sdegnato ma sarcastico le conclusioni di Frattini. "Chi si attendeva da un burocrate dell’ Eurocrazia come Frattini una risposta diversa da questa è un irrimediabile ingenuo".
La deportazione dei Berisha
Intanto un nuovo caso getta ombra sul comportamento delle autorità slovene che comunque non si scompongono più di fronte alle critiche delle organizzazioni umanitarie e di Amnesty International, contando sulla comprensione delle istituzioni comunitarie e del commissario Frattini.

Alcuni giorni fa la polizia di Lubiana ha prelevato da un centro di accoglienza per stranieri e deportato in Germania la numerosa famiglia rom di Ali Berisha, originaria del Kosovo. Le autorità tedesche stanno ora vagliando la possibilità di concedere ai Berisha quell’asilo politico che la Slovenia ha negato loro e che la stessa Germania precedentemente non aveva concesso.

In questa vicenda s’intersecano le lacune legali sui cancellati e l’atteggiamento poco flessibile nei confronti dei rom. Ali Berisha è un cancellato in quanto negli anni ’80 e ’90 visse e lavorò in Slovenia. La Germania, dove era poi emigrato, non gli aveva concesso l’asilo politico e Berisha, pur di non tornare nel Kosovo, dove i rom continuano ad essere discriminati e anche perseguitati dai nazionalisti albanesi, aveva deciso di tornare con la sua famiglia in Slovenia.

Nel frattempo però anche la sua residenza in Slovenia, insieme a quella di altre migliaia di persone ex jugoslave, era stata cancellata. Nemmeno Lubiana volle riconoscere a questa famiglia rom kosovara il diritto all’asilo politico per cui i Berisha vennero, sotto stretto controllo poliziesco, provvisoriamente alloggiati in un centro di permanenza per stranieri e qualche giorno fa, in base a una sentenza del tribunale, espulsi dal paese e accompagnati in Germania, l’ ultimo paese di provenienza.

Il rappresentante legale dei Berisha Matevž Krivic, presente al momento dell’espulsione, ha parlato di comportamento inaccettabile e "banditesco" da parte della polizia che ha prelevato Berisha, sua moglie ed i cinque figli alle sei del mattino, li ha caricati su un furgone della polizia e li ha trasportati fino in Germania dove sono stati accolti dalla polizia tedesca. Protesta anche Amnesty International che si era adoperata con decisione ma inutilmente, per la concessione dell’asilo politico a Berisha ed ai suoi famigliari in Slovenia.

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