Nino Haratischwili: “Sono georgiana, ma mi sento a casa nella lingua tedesca”
"È chiaro che parlo georgiano, vado spesso in Georgia, parlo con i miei figli in georgiano e così via, ma la scrittura è per me del tutto legata alla lingua tedesca", così la scrittrice georgiana Nino Haratischwili, intervistata da Martina Napolitano durante il festival Pordenonelegge
(Originariamente pubblicato da Meridiano 13 , il 17 settembre 2023)
Quattro donne, un cortile, gli anni Novanta. Queste sono le coordinate da cui partire nell’approcciarsi all’ultimo romanzo della scrittrice Nino Haratischwili, La luce che manca, uscito recentemente per Marsilio e presentato a Pordenonelegge venerdì 15 settembre. Si tratta di una storia personale e collettiva al tempo stesso che racconta un periodo drammatico della storia della Georgia da una prospettiva femminile, dato che gli anni Novanta – sottolinea l’autrice – sono stati un momento molto “maschile”, anche nella loro narrazione.
In una narrazione a tratti molto teatrale che non nasconde la profonda competenza in campo drammatico dell’autrice, Nino Haratischwili presenta al pubblico uno spaccato vivido del suo paese di origine attraverso gli occhi della generazione che a suo avviso si è trovata più delle altre a fare i conti con un destino, sogni e speranze imbrigliati dagli anni Novanta. Il punto di vista dell’oggi aiuta tanto i personaggi quanto il lettore a costruire un confronto con il passato, con quel periodo “buio e brutale” in cui però non manca la spensieratezza e la gioia di vivere, sognare e sperare delle giovani protagoniste. Abbiamo avuto la possibilità di conversare con Nino Haratischwili nella cornice del festival Pordenonelegge.
Nino Haratischwili, sei nata a Tbilisi, ma da quando hai vent’anni vivi in Germania e hai scelto il tedesco come tua “lingua madre letteraria”. Qual è per te il ruolo del tedesco, rispetto al georgiano?
Ha un ruolo molto importante, ma non posso dire che scrivere in tedesco sia stata una scelta consapevole, è successo per caso. Ho iniziato a imparare il tedesco molto presto, durante la scuola a Tbilisi. In città frequentavo un gruppo teatrale dove molti insegnanti erano di madrelingua tedesca, venivano dalla Germania, dalla Svizzera e dall’Austria. Venivano organizzati degli scambi di studio e un gruppo teatrale di Brema venne a Tbilisi; mi incoraggiarono a scrivere una mia prima opera teatrale in tedesco. Così è iniziato tutto.
Tutta la mia vita professionale in termini di scrittura è stata in tedesco. Poi mi sono trasferita in Germania, ho studiato regia teatrale e a un certo punto ho deciso di mettere in scena una mia opera. Scrivevo già molto, ma ero molto timida e non ero sicura che potesse funzionare. Pensavo che se avessi scritto in georgiano, poi avrei dovuto comunque tradurmi in tedesco; allora ho provato a scrivere direttamente in tedesco. Parlavo già correntemente il tedesco al tempo.
Insomma, ho scritto un testo, l’ho messo in scena e mi è piaciuto; ho scoperto che la distanza linguistica è molto utile per me. Dopodiché ho trovato una casa editrice di opere teatrali e diciamo che tutto è successo senza che io avessi un piano specifico in mente.
Quando sono arrivata in Germania avevo vent’anni e la mia idea era quella di studiare e poi tornare nel mio paese. Ma quando la lingua tedesca mi ha “adottata” è diventato sempre più difficile tornare.
Un bel giorno mi sono resa conto che non avevo scritto in georgiano per anni e ho avuto paura. È chiaro che parlo georgiano, vado spesso in Georgia, parlo con i miei figli in georgiano e così via, ma la scrittura è per me del tutto legata alla lingua tedesca.
Quindi non hai mai provato ad auto-tradurti?
No, sarebbe terribile. Sarebbe come riscrivere tutto daccapo.
Sei soddisfatta della traduzione dei tuoi libri in georgiano?
Quest’ultimo libro, La luce che manca, è stato tradotto da una delle più importanti traduttrici georgiane. Nel caso delle lingue che non parlo, non mi sento così coinvolta nella traduzione appunto perché non conosco la lingua, mentre in questo caso ero molto contenta perché mi fidavo della traduttrice.
Pensi che un lettore non-georgiano riesca a comprendere tutti i realia legati alla Georgia che si trovano nei tuoi libri?
Mi è difficile rispondere, sarebbe da chiedere ai lettori. Ogni tanto mi viene in mente che dovrei spiegare qualcosa un poco di più al lettore. Tuttavia, mi fido molto dei lettori e della loro intelligenza. Oggi è così semplice, puoi cercare tutto su Google. Spesso poi credo che risulti comprensibile dal contesto. Per me è lo stesso quando leggo libri legati ad altre culture e paesi: non capisco forse tutto, ma se ho un dubbio posso cercare online o farmi un’idea dal contesto generale.
Credo che la buona letteratura debba essere universale.
Nel mio libro precedente, L’ottava vita, si parla molto della storia della Georgia; si tratta di una saga famigliare che si dipana nel corso di un secolo. All’inizio non prevedevo di scrivere di un intero secolo, ma poi mentre scrivevo mi accorgevo che i lettori occidentali non avrebbero capito se non fossi andata indietro nel tempo e se non avessi spiegato di più.
Nel caso de La luce che manca ho pensato che se a qualche lettore non risulterà chiaro qualche elemento storico relativo agli anni Novanta potrà cercarlo su Google. Per questo non mi sono preoccupata molto della possibile ricezione del libro.
Il libro La luce che manca è uscito in Germania due giorni dopo l’invasione dell’Ucraina e molte persone alle presentazioni ti hanno fatto domande più legate alla politica che al libro stesso, chiedendoti di indossare i panni di analista geopolitica tuo malgrado. Oltre a questo tipo di “accoglienza” legata al momento che stiamo vivendo, come ti sembra essere stata la ricezione in Germania?
Ci sono state ottime recensioni. Nel caso de L’ottava vita so che molti lettori poi sono voluti andare a fare un viaggio in Georgia e questo mi rende felice, chiaramente; tuttavia, non so sinceramente se qualcuno dopo aver letto La luce che manca avrà voglia di andare in Georgia.
A quanto ricordo, ogni volta che ho incontrato il pubblico in Germania si è sempre parlato di politica, tutti mettono le vicende del libro in relazione a ciò che sta succedendo ora.
Le domande che mi hanno posto non erano neanche tanto sulla Georgia, quanto sull’Europa orientale in generale, sull’Ucraina, spesso sulla Russia, per via dei molti paralleli tra la storia georgiana e ciò che avviene oggi. Non era qualcosa che mi aspettavo nemmeno lontanamente mentre scrivevo il libro. Tutta questa attenzione è stata in un certo senso un bene per il libro, ma non è qualcosa di cui si può essere contenti visto che è legata a una guerra. Ho una sensazione contraddittoria a riguardo.
Qual è stata l’accoglienza in Georgia invece?
Ricca di emozioni. Mi sono arrivate molte lettere, le persone mi scrivono sui social media o tramite l’editore. I lettori prendono il libro molto sul personale, soprattutto le generazioni nate tra gli anni Sessanta e Ottanta per le quali gli anni Novanta sono legati all’infanzia e giovinezza, periodi intensi della loro vita in cui hanno dovuto pagare un prezzo molto alto, specialmente quelli nati negli anni Settanta. Tutti hanno memorie vivide di quel periodo. Molti mi hanno detto che il libro ha risvegliato dei ricordi sopiti.
Sono consapevole di non aver scritto delle MIE memorie personali o delle cose che mi sono inventata; sono consapevole che si tratta di una memoria collettiva condivisa da chi ha vissuto gli anni Novanta. Sono un periodo che tutti ricordano in modo simile: come un lungo inverno freddo e buio, per via della frequente mancanza di elettricità. Chiaramente abbiamo tutti memorie diverse, ma c’è una base condivisa da tutti.
La Storia è qualcosa di più di un’ambientazione dunque?
È lo sfondo su cui la narrazione è costruita, ma è anche un motore che spinge avanti la narrazione stessa. Tutto ciò che accade nel libro, tutto ciò che succede ai personaggi, anche quando si tratta di qualcosa di finzionale, è connesso a eventi reali della storia. Ogni cosa che accade prende forma in base al contesto storico della Georgia dell’epoca. È un vero e proprio motore.
Riesci a seguire con attenzione la letteratura georgiana odierna? Cosa ne pensi?
Ci sono molte scrittrici brave che stanno ottenendo sempre più visibilità; alcune si occupano di questioni prettamente femministe. Non riesco a leggere tutto ciò che viene pubblicato, ma cerco di seguire con attenzione e di comprare libri quando sono in Georgia. Sta emergendo una nuova generazione interessante.
C’è stato un periodo in cui leggevo libri georgiani e pensavo: “Ma che diavolo! Questi autori cercano di adattarsi al mercato occidentale, scrivono cose che non sono autentiche, si sente che è tutto molto artificiale”. Per me non è un buon libro quando si sente che l’autore parla di cose che non lo toccano direttamente, ma scrive così perché pensa di vendere meglio. Mi pare che questa tendenza ora stia cambiando.
Il problema è che quando al contrario si descrivono realtà tipicamente georgiane, caucasiche, nazionali, è difficile riuscire a far passare questa specificità in altre lingue. Penso che il segreto sia trovare un equilibrio: non rinunciare al proprio spirito, ma cercare anche di essere comprensibile per altre culture. Spero che la Georgia riuscirà a trovare questo equilibrio.
Nel 2018 la Georgia è stata ospite d’onore alla fiera del libro di Francoforte ed è stato un importante momento di successo per la letteratura georgiana, che ha fatto conoscere molti libri e autori. Ora la situazione politica in Georgia è tremenda, ma dopotutto è la norma nella storia georgiana: si fanno due passi avanti e poi tre indietro. Ora abbiamo fatto di nuovo quei tre passi indietro, ma spero che a breve si torni a fare quei due passi avanti.
Una curiosità, infine: ti consideri una scrittrice georgiana o tedesca?
È una domanda che continuano a pormi. In un certo senso io sono una scrittrice tedesca perché la lingua della mia scrittura è il tedesco.
Ti faccio però notare una cosa del tutto curiosa: quando ho iniziato a pubblicare i miei libri in tedesco, inizialmente in tutte le recensioni ero definita come una “scrittrice georgiana”, poi sono diventata una scrittrice “georgiano-tedesca” e infine dopo L’ottava vita – e questo fa proprio ridere dato che si tratta di un libro di oltre mille pagine sulla storia della Georgia – sono diventata una “scrittrice tedesca”.
Anche in Georgia mi pongono questa domanda e a volte la gente pensa che io scriva in tedesco perché non parlo bene georgiano. Poi quando mi sentono parlare restano stupiti e non riescono a capire, è strano per loro e lo capisco. Per me è normale e non ci penso su troppo.
Io come persona direi che sono georgiana, molto georgiana, perché più vivo in Germania più divento georgiana, è molto curioso ma è così; chiaramente, però, mi sento a casa nella lingua tedesca.