Niente miracoli a Medjugorje
Niente miracoli e tanta miseria per i lavoratori giornalieri che a Medjugorje si offrono sulla strada, in attesa dell’ingaggio da parte di un "caporale". Un articolo tratto dal quotidiano croato Feral Tribune e selezionato e tradotto da Notizie Est.
Di Hrvoje Prnjak
Sulla via Tromeda, a Medjugorje, gli ex operai dell’Acciaieria di Zenica, nella Bosnia centrale, offrono ogni giorno, fin dalle prime ore del mattino, il proprio servizio di lavoratori giornalieri, nella speranza di riuscire in qualche modo a sfamare la famiglia. "Vedi, tutto è identico a questa mattina alle sei. Non ti sei perso nulla di speciale. Lì dove ci hai lasciato, ci ritrovi adesso.
Niente. Non guadagneremo nemmeno un marco…", racconta svogliatamente Amir Sahinovic, indicando l’orologio che segna quasi le 14. L’afa pomeridiana è insopportabile e i dieci uomini in tuta da operai cercano senza successo di rinfrescarsi con un po’ di birra di fronte alla rivendita di merci varie Rodak, cercando di carpire un po’ dello scarso fresco proveniente dal piccolo edificio. Gli uomini
per la maggior parte tacciono, si accendono una sigaretta dopo l’altra con lo sguardo fisso; alcuni guardano i numerosi autobus e le auto costose che transitano per la strada proveniente dal santuario di Medjugorje, altri hanno lo sguardo fisso davanti a sé, come se stessero dormendo a occhi chiusi. Una persona non informata potrebbe pensare che si tratti di operai in pausa pranzo, tra un turno e
l’altro di lavoro. Alcuni metri più in là, presso un banchetto dal quale proviene un odore intenso di pollo arrosto, invece non c’è nessuno.
Amir è un fabbro di Kakanj che è stato portato sulla via Tromeda di Medjugorije, non lontano dal santuario, dalla stessa miseria che questo martedì ha portato all’incrocio circondato da nuovi edifici kitsch, da palazzi per uffici e da una pompa di benzina, altre cinquanta persone che fin dalle sei del mattino si sono sedute ai margini della strada, iniziando la loro attesa quotidiana, nella
speranza che qualche caporale locale li ingaggi, li porti in un cantiere, nei campi, in una vigna… ovunque ci sia un lavoro e si ottenga una paga decente. Questo "decente" significa un pasto gratis e 40, 50 e forse anche 60 marchi convertibili per un giorno, a seconda dell’accordo raggiunto. Da quando li abbiamo lasciati brevemente, intorno alle otto del mattino, perché dovevamo sbrigare
qualche altro impegno (giornalistico) in Erzegovina, il loro numero è diminuito di quindici.
La popolazione locale, dicono, si è abituata a loro e nessuno li manda via. Perfino la polizia li lascia in pace. In compenso i turisti sui numerosi autobus che transitano li guardano in maniera particolare, forse pensando che sia in corso uno sciopero o qualcosa di simile…
"Su da noi non c’è lavoro, nessuno fa niente, e le bocche devono essere sfamate. E così siamo venuti qui… Oggi proprio non è giornata… Va male, fratello… Sono venute solo alcune auto… Poca roba… Lo vedi con i tuoi occhi", queste sono le parole frammentarie che escono dalla profonda depressione di Amir, operaio in cassa integrazione dell’Acciaieria di Zenica. Con i 40 marchi convertibili che riceve ogni mese a Zenica "non si può sopravvivere". "Mia moglie non ha un lavoro, e abbiamo due figli piccoli. Vedi, solo mezzo litro di latte costa un marco e trenta, ti basta fare un po’ di calcoli. Fai un po’ di somme e sottrazioni, se ci riesci, e vedi un po’ cosa ne viene fuori. Così stanno le cose per tutti quelli che sono qui, sono quasi tutti della municipalità di Kakanj, ma ce ne sono anche di Vares, Zavidovici, Zenica", e indica con il capo in direzione di un gruppo lungo la carreggiata opposta.
Amir ha solo 36 anni, ma non nutre speranze in un futuro migliore. "Nella Jugo sì che andava bene. Nessuno aveva fame. Ma oggi, credimi, non c’è un cantone più affamato di quello di Zenica-Doboj", dice Amir, cominciando a lasciarsi un po’ andare mentre si ricorda dei giorni in cui di soldi ce n’erano anche nel suo quartiere. "Non c’è di che stare allegri, oggi. Non ci sono soldi e la gente si
chiude in se stessa. Con le tasche vuote non si va da nessuna parte!".
Prima della guerra, la maggior parte dei lavoratori giornalieri che si trovano qui si guadagnava da vivere all’Acciaieria di Zenica, un tempo il maggiore centro metallurgico dei Balcani, nella quale oggi lavorano poco più di 2.000 persone. Prima della guerra l’Acciaieria dava lavoro a 25.000 operai.
"Sciaise, amico. Sciaise, dicono bene i tedeschi. Rabbia e disgusto! Se quindici anni fa qualcuno mi avesse detto che sarei finito così a Medjugorije, gli avrei chiesto se è psichicamente a posto. Ma oggi eccomi qui, a offrirmi sulla strada come una puttana, e devo essere contento se grazie a ciò riesco a comprare a mio figlio un paio di scarpe", dice nauseato Jusuf Sahinovic, anche lui di
Kakanj. "Sono un uomo umiliato", aggiunge sommesso, con la voce spezzata, e davvero non abbiamo più avuto la forza di farlo soffrire con altre domande.
"Sai cosa è la cosa peggiore? Che abbiamo dato l’anticipo per l’autobus, 25 marchi per l’andata e 25 per il ritorno, e altri 25 marchi per una stanza per cinque giorni, ma non abbiamo alcuna garanzia che guadagneremo almeno tale somma. E’ una cosa che continua a fottermi il cervello!", si inserisce il diffidente Husein Becak, anche lui un ex operaio dell’acciaieria di Zenica.
"Dei miei quattro figli nemmeno uno ha finito la scuola. E’ arrivata la guerra, che vada a farsi fottere!, e non ho potuto farli andare a scuola. Sai, ho vissuto sempre da povero, ma sotto Tito sono riuscito a costruirmi una casa e nessuno aveva fame. Mentre oggi… Mi danno 15 marchi al mese mentre sono in cassa integrazione, e solo la bolletta della luce mi costa 25 marchi. Sono proprio un uomo
morto. Continuo a vivere solo per i figli, che Allah mi aiuti!", così cerca di scaricare la tensione Husein, parlando tutto d’un fiato. "Ma sai cosa ti dico: anche se dovessi andare avanti fino alla tomba a cercare briciole e a mendicare, non mi metterò mai a rubare. Non succederà mai!".
Non tutti sono in cassa integrazione. Alcuni sono in malattia o in aspettativa. Dicono che gli stipendi sono scarsi, quasi nulli, e poiché in ogni famiglia il più delle volte solo una sola persona ha un’occupazione, bisogna cercare lavoro all’estero. Siccome però nei paesi occidentali non è assolutamente possibile andare senza un visto e un permesso di lavoro, va bene anche l’Erzegovina. A dire
il vero, si va a cercare lo stesso tipo di lavoro anche a Bosanska Krupa, Bihac, Sanski Most e Neum, "ma in Erzegovina il pagamento a giornata è il più alto e sono dei signori quando devono pagare", dicono ad alta voce.
"Penso che la gente comprenda sempre di più che si deve vivere del lavoro, e non del battersi il petto o della religione", si fa nuovamente sentire Amir.
"Ma lascia stare la religione, i soldi non cadono dal cielo. Adesso anche da noi stanno cercando di costringere alla religione, ma per me non è mai stata importante. Anche Merhamet organizzazione umanitaria musulmana – N.d.T. quando distribuisce gli aiuti, va prima a vedere chi sono gli amici e chissà cos’altro", si fa sentire Vezir Jasic, che a cinquantacinque anni è costretto ancora a fare un
lavoro fisico. Naturalmente, solo se qualcuno lo vorrà ingaggiare.
"La religione e la nazione non sono importanti. Lo dico oggi come lo dicevo prima della guerra, anche se nel frattempo sono stato licenziato dalla Hidroelektra di Zagabra come inadatto", sorride acidamente Vezir, che è di Maglaj e negli anni scorsi si è trasferito a Tromeda. Si accende una sigaretta immediatamente dopo averne spenta una. Sono "Drina". Ce ne offre generosamente una. Ai piedi
indossa solo delle grosse pantofole.
"La Jugoslavia per me era la vita. Questa democrazia è vita solo per qualcuno. In Bosnia non c’è nemmeno la ‘d’ della democrazia. E’ tutto un ‘ruba quanto più puoi’, e non democrazia. Per me non è mai stato importante chi è croato, chi è serbo… Io non mi sono fatto prendere da quelle diavolerie!", scuote il capo Vezir, cercando di ripararsi dal sole sotto un enorme manifesto pubblicitario della
HYPO Banka, dal quale una modella bionda ci spiega i vantaggi dei crediti a lungo termine. Un’altra volta, magari…
In generale, a pochi interessano le storie sui tassi di credito in un paese in cui la percentuale di disoccupazione ha superato il 40%; in un paese in cui – secondo l’Analisi dello standard di vita effettuata dallo stato – il 20% della popolazione si considera povera, mentre più del 30% si trova appena al di sopra della soglia di povertà, con redditi eccezionalmente limitati; un paese in cui la
crescita economica non supera un modesto 3,3%, ben al di sotto del 6% pianificato, cioè l’unico che potrebbe un giorno portare a raggiungere lo stesso livello del PIL del 1991, facendo nuovamente della Bosnia-Erzegovina un paese in cui si può parlare di crediti…
Neri come se fossero appena arrivati da una spiaggia sull’Adriatico, Laris Becak e Dzevad Avidovic se ne stanno seduti. Sono entrambi di Kakanj. Ed entrambi sono… disoccupati.
"Siamo arrivati questa mattina intorno alle sei. Non c’è lavoro. E’ una giornata così", dice scrollando rassegnato le spalle Dzevad, mentre un operaio più anziano si inserisce: "Il nostro Dzevad si è messo la tuta da basketball, ma non ha nemmeno la metà della fortuna del suo omonimo Alihodzic", che per sedere sulla panchina della Cibona, "guadagna un bel po’ di soldi, non come noi che siamo
qui".
Nasid Porac di Zenica non ha voglia di scherzare, né sugli altri né su se stesso. E’ arrabbiato con i politici bosniaci, con il nepotismo e con l’arricchimento di Bakir Izetbegovic, il figlio dell’ex presidente, e anche con Nedzad Polic, premier del cantone di Zenica-Doboj, con la corruzione, con la rapina delle privatizzazioni (suona noto?). "Me ne andrei fin da oggi all’estero. Siete del
‘Feral’? Di Spalato? Non c’è un posto di lavoro da voi? Qui non c’è da vivere. Io a causa della guerra non ho potuto finire la scuola, ma i miei amici che hanno finito l’università non stanno meglio. Una volta ci siamo ritrovati a sfacchinare insieme in un cantiere, io e i miei amici che hanno finito l’università", racconta Nasid, indicandoci il segno di un’operazione alla quale ha dovuto
sottoporsi dopo che durante un lavoro a giornata si è rotto la gamba sinistra.
Gli chiediamo come si vive a Zenica. "Non c’è lavoro. I giovani bevono e si drogano, mentre i vecchi si drogano di religione. Ma dimmi un po’, è vero che adesso si può andare in Croazia anche solo con la carta d’identità?"
Niki di Kakanj andrebbe anche lui a lavorare in Croazia, ma sarebbe ancora più contento di andare in Germania. "Sono stato lassù un paio di mesi, ma non sono riuscito a procurarmi i documenti. Là ci vuole il permesso di lavoro. Mi sarei anche sposato in Germania, pur di ottenere i documenti", dice, sfuggendo al fotoreporter di "Feral": "Non fotografarmi, potrebbero vedermi dei tizi che mi
conoscono e che me la farebbero subito pagare cara". Rahman Civic, invece, non rifiuta di farsi fotografare. "Non me ne importa nulla. Dopo 32 anni nell’Acciaieria di Zenica sono abituato ad aspettare. Non vado bene né per la pensione né per il lavoro d’ufficio. Ma la famiglia ha bisogno di essere sfamata, sono io l’unico che lavora. Non prendete la mia affermazione alla lettera, per carità: in
quindici giorni che vengo qui a Medjugorje ho lavorato solo quattro giorni…"
L’atmosfera di rassegnazione viene interrotta da Amir: "Andiamo ragazzi, andiamo a lavorare un po’", mette da parte la bottiglia di birra e insieme a Husein si sposta dall’altro lato della strada. Nella mezz’ora successiva, cioè fino a quando siamo rimasti sulla Tromeda, non si è fermata nemmeno un’auto. Eppure a Medjugorje, dicono le persone bene informate, i miracoli dovrebbero essere una cosa quasi normale…
Lo scrittore Rahmetli Mesa Selimovic ha scritto una volta che "nessuno ritiene di essersi meritato la propria sfortuna ". E’ chiaro che non pensava nemmeno lontanamente alla miseria di queste persone, e in effetti bisognerebbe davvero essere molto maligni per dire che queste persone si meritano in qualche modo il destino che è cascato loro sulle spalle.