Nel bunker antiaereo e antinucleare di Yuzhnoukrainsk
Le voci, stanche e scoraggiate, delle persone che ogni sera si raccolgono nel bunker della chiesa ortodossa di Yuzhnoukrainsk. Nato per proteggere la popolazione da un incidente al reattore dalla vicina centrale nucleare, oggi ospita chi teme l’attacco russo
Sono quasi le sette di sera e tra pochi minuti entrerà in vigore il coprifuoco che resterà attivo sino alle sei del mattino. Gli ultimi pedoni si affrettano a rientrare nelle loro case con i vetri oscurati per evitare di diventare obiettivo dei bombardamenti.
Durante la notte molti abitanti si rifugiano nella chiesa degli Apostoli Pietro e Paolo, dotata di un ricovero che ospita diverse centinaia di persone. Qualcuno ha portato anche la foto della Vergine Orante di Kiev che, secondo la credenza popolare, proteggerà la capitale ucraina e la nazione sino a quando l’immagine originale, un mosaico custodito nella cattedrale di Santa Sofia a Kiev, non verrà distrutta. “Pensavo che vivere sotto l’Unione Sovietica fosse il peggiore dei mali, ma oggi mi accorgo che, pur nelle difficoltà e nelle restrizioni, avevamo una certa sicurezza del domani. I russi ci hanno tolto la libertà già una volta, oggi ci vogliono togliere anche la pace. Questo non lo scorderemo”, lamenta una fedele che si sta recando nella chiesa.
L’edificio appartiene alla Chiesa ortodossa autocefala ucraina, che nel 2018 si è staccata da quella russa restando invece in comunione con il patriarcato di Costantinopoli. I rapporti religiosi tra Mosca e Kiev sono diventati così tesi, che la diocesi di Voznesenk, a cui appartiene anche Yuzhnoukrainsk, ha recentemente vietato persino di pronunciare il nome del patriarca russo Cirillo durante le liturgie. La chiesa greco-cattolica cittadina offre invece pasti caldi e posti letto ad una quarantina di sfollati che si assiepano nella piccola casa del prete e nella cappella antistante.
Il rifugio della chiesa ortodossa è quello che offre più protezione, anche in caso di un (assai improbabile) incidente al reattore dalla vicina centrale nucleare. Gli spessi muri di calcestruzzo del bunker sono stati appositamente costruiti anche per schermare le radiazioni. Per ogni evenienza il Dipartimento per le emergenze di Yuzhnoukrainsk ha emanato un vademecum in caso vi siano problemi alla centrale: un foglio, appeso anche sulle pareti del rifugio, avverte di somministrare 40 mg di ioduro di potassio per i bambini sotto i 2 anni, 125 mg per chi ha meno di 5 anni e 250 mg per tutto il resto della popolazione.
“Abbiamo una scorta sufficiente per diverse decine di persone” mi spiega padre Viktor Burka.
Nel bunker i temi delle conversazioni si dipanano a ventaglio, ma inevitabilmente, dopo essersi informati della salute dei conoscenti, si concentrano sui negozi che possono offrire alimentari: si fa fatica a trovare latte, burro, a volte anche la carne scarseggia mentre il pane è, per ora, disponibile ovunque. Si discute anche del comunicato emesso dal sindaco, secondo cui la legge marziale e lo stato di emergenza non esenta nessun cittadino a pagare i servizi comunali e le bollette del gas e elettriche. “I problemi peggiori arriveranno dopo l’estate” dice Anatoliy, un contadino che arriva da Argonomiya, un villaggio a una decina di chilometri da Yuzhnoukrainsk: “Non abbiamo preparato i campi, non possiamo seminare. Oggi abbiamo le scorte, ma quando finiranno non avremo più nulla da mangiare”.
Dopo l’entusiasmo iniziale, il sentirsi tutti uniti attorno alla bandiera, al presidente Zelensky e l’euforia per essere riusciti a rallentare l’avanzata dell’esercito russo, si sta insinuando nella popolazione ucraina un senso di stanchezza e di scoramento. Tra un bombardamento e l’altro si sta cominciando a pensare al domani e all’inevitabile oblio in cui cadrà la vicenda ucraina in Occidente. E allora, dopo la distruzione materiale ci sarà quella morale, psicologica; gli ucraini si sentiranno isolati e traditi. Il discorso di Zelensky in cui annunciava la disponibilità al dialogo e un accordo sullo status della Crimea e delle repubbliche del Donetsk e Lugansk ha lasciato tutti perplessi. C’è chi si chiede per cosa si sia lottato sino ad oggi, chi giustifica l’apertura con la necessità di mantenere l’Ucraina indipendente e chi, invece, accusa l’Unione Europea e la Nato di non aver mosso un dito per aiutare la nazione invasa. C’è chi teme che nel caso, dopo la guerra, gli aiuti per la ricostruzione tardino ad arrivare dai paesi amici, cominceranno le divisioni interne che potrebbero far da cavallo di Troia per Putin, che non esiterà ad offrire lui gli aiuti che l’UE non è detto sappia garantire. “Non so se, in questo caso, saremo in grado di dire a Mosca di riprendersi quello che offrirà” mi spiega Dasha, che è nel rifugio assieme al marito e ai suoi due figli: “Quando un popolo muore di fame e di freddo, quando tutto deve essere ricostruito e nessuno ti aiuta, prendi tutto quello che ti viene offerto, anche se a tenderti la mano è il tuo boia”.
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