Negoziati Kosovo: l’insuccesso di Belgrado
Concluso a Bruxelles l’ottavo round di negoziati tra Pristina e Belgrado. Quest’ultima ne esce pesantemente sconfitta. Nessun accordo è stato trovato tra le due delegazioni. Ora il governo serbo è in difficoltà
L’insuccesso dell’ottavo e definito da molti come decisivo round dei negoziati sul Kosovo è la prima grave sconfitta del nuovo governo serbo guidato dal Partito progressista serbo (SNS). Le aspettative nutrite da questo partito e dal suo leader Aleksandar Vučić, secondo le quali la Serbia avrebbe ricevuto concessioni in merito alle competenze di un tribunale speciale e della polizia per i comuni serbi in Kosovo, si sono dimostrate irreali. Pristina non era pronta per tali concessioni, ma nemmeno Bruxelles e Washington hanno voluto farle pressione.
Ulteriori incontri, come ha precisato l’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Unione europea, Catherine Ashton, non ci saranno. L’unica svolta possibile è che i negoziatori, dopo il rientro a casa, si consultino con i loro collaboratori e facciano sapere nei prossimi giorni a Bruxelles se e cosa hanno cambiato riguardo alle rispettive posizioni. In pratica questo significa che spetta a Belgrado cambiare posizione, perché l’insuccesso dei negoziati rallenta il percorso di integrazione europea, mentre su Priština non grava questo tipo di pressione.
Rischio congelamento
Se Belgrado rimane ferma sulla richiesta che l’Associazione dei comuni serbi del Kosovo, sulla cui formazione insiste, ottenga pieni poteri nell’amministrazione della polizia e dei tribunali, la situazione sul campo rimarrà “congelata”. Ma anche questo non va bene alla Serbia perché negli ultimi 13 anni ha perso continuamente, pezzo dopo pezzo, la sua influenza in Kosovo. E dato che Belgrado dopo l’insuccesso dell’ultimo round negoziale avrà meno alleati e meno comprensione di quanto ha avuto finora, è realistico aspettarsi che questo trend prosegua.
Vučić, che nell’SNS è il più grande sostenitore dell’integrazione europea, ora si trova in una posizione particolarmente difficile. Gli oppositori al processo di integrazione, numerosi anche all’interno dello stesso SNS, dopo l’insuccesso dell’ultimo round di negoziati a Bruxelles, sono diventati più forti e stanno cercando di far sentire la loro voce. Vučić nelle prossime settimane potrebbe cercare di rompere le resistenze in casa e di estorcere un consenso sull’accordo con Pristina alle condizioni poste sul tavolo, ma ciò porterebbe a turbolenze interne alla coalizione di governo.
Detto in parole povere, per quanto concerne l’applicazione dell’accordo sul Kosovo, la coalizione di governo si scontra con il problema con cui, per esempio, si scontrerebbe un meccanico che dovesse montare sul telaio di una “Jugo 55” il motore e il cofano di una “Mercedes” da 2000 cc. Servirebbe veramente molto tempo e sforzo per far sì che la popolazione serba del nord del Kosovo, così come gli elettori di orientamento radicale della stessa Serbia, si adeguino alle nuove circostanze e accettino che Pristina abbia evidenti ingerenze anche nei comuni serbi.
Belgrado senza alternative
Belgrado, in realtà, non ha a disposizione nessun’altra soluzione storicamente sostenibile tranne l’accettare le proposte dell’UE che presuppongono la sottrazione dei poteri esecutivo e legislativo ai comuni serbi del Kosovo e il relativo trasferimento al governo di Priština. Perché se la Serbia continuerà a rifiutare di accordarsi per la normalizzazione dei rapporti, Pristina, Bruxelles e Washington hanno la possibilità, nei prossimi mesi e anni, di realizzare ugualmente quanto hanno prestabilito, cosa che Vučić probabilmente ha ben presente.
La Serbia quindi non otterrebbe nulla e perderebbe molto. Come paese che ha rifiutato di collaborare alla risoluzione di un importante problema regionale, non potrebbe contare su un rapido ingresso nell’UE e non si potrebbe più parlare di sua influenza sulla situazione in Kosovo. Non vi è alcun alleato che la possa aiutare a realizzare i suoi scopi in Kosovo. La Russia in merito ha fatto molte promesse, ma nell’impossibilità di adempierle. Se lo avesse potuto, Slobodan Milošević molto probabilmente sarebbe ancora al potere in Serbia.
I russi anche questa volta hanno cercato di influenzare direttamente la situazione inviando a Kosovska Mitrovica (sede della grande enclave serba al nord del Kosovo) l’ambasciatore Aleksandar Čepurin due giorni prima che si tenessero le trattative a Bruxelles. Čepurin in quell’occasione ha sottolineato che la Risoluzione 1244 è l’unico documento internazionale valido sul Kosovo e come tale va rispettato. I leader locali e la popolazione l’hanno accolto con ovazioni.
Una cosa simile, ma ad un livello più alto, i russi l’avevano fatta nel 1999 dopo la firma dell’Accordo di Kumanovo sull’ingresso delle forze NATO in Kosovo. Allora le loro unità che facevano parte delle forze di pace in Bosnia Erzegovina attraversarono la Serbia e prima delle truppe della NATO presero il controllo dell’aeroporto di Pristina. Furono accolti con ovazioni e fiori, ma non riuscirono a controllare nient’altro che l’aeroporto e alla fine furono obbligate a ritirarsi.
Il ruolo della Russia
In entrambi i casi la Russia ha in realtà voluto inviare un segnale alla popolazione serba del Kosovo che, a ragione, ritiene nutra buoni sentimenti nei suoi confronti. Nel caso dell’invio delle truppe russe vi era anche un totale sostegno dell’allora governo serbo, che rese possibile il passaggio dei camion e dei carro armati russi, e del presidente della Serbia Slobodan Milošević. Ora invece, con il governo serbo davanti alla difficile opzione di approvare un piano che implica il riconoscimento dell’ingerenza del governo kosovaro sull’intero territorio del Kosovo, il sostegno alle azioni di Mosca non è così unitario.
L’episodio della presenza dell’ambasciatore russo a Kosovska Mitrovica in realtà dimostra l’enorme importanza del fattore internazionale nel cercare di risolvere la crisi kosovara. Per la prima volta da quando, quasi 100 anni fa, ha preso il controllo sul Kosovo, la Serbia si trova nella situazione di dover anche formalmente rinunciarvi. Si rafforza uno stato nuovo che non esisteva finora, e la Serbia deve accettare le regole del gioco che impongono i creatori dell’accordo, cioè i paesi da cui è stata sconfitta nella guerra del 1999.
La Russia sta iniziando a perdere buona parte dell’influenza che ha avuto fino adesso nella regione. Ecco perché gioca la carta dell’amore fraterno con la popolazione serba. Naturalmente vi sono anche relazioni dirette con i partiti, incluso lo stesso SNS, ma questi ultimi in fin dei conti non celano la loro inclinazione verso Bruxelles, senza il cui aiuto la Serbia non potrà mantenersi da sola. Amano molto la Russia, ma questa è geograficamente lontana dalla Serbia. In mezzo vi sono paesi membri dell’UE e della NATO e poi altri paesi ancora, non necessariamente allineati con le posizioni russe.
Vučić, dunque, non può guardare con uno sguardo d’approvazione ad azioni che nei fatti incoraggiano la popolazione serba del Kosovo ad opporsi alla firma dell’accordo con Pristina. Il terreno politico sul quale si poggia la firma dell’eventuale accordo con Priština non è stato preparato ed è cedevole: una gran parte degli elettori dell’SNS sono composti da nazionalisti, non inclini ad accettare le richieste di Bruxelles e Washington. E il richiamo russo alla Risoluzione 1244 in questo contesto di certo non aiuta.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa.