Nagorno Karabakh, nuovo presidente de facto
Il 14 aprile scorso si è votato in Nagorno Karabakh per il secondo turno delle presidenziali. L’ex primo ministro Arayik Harutyunyan, sarà il nuovo presidente de facto. Il voto non è riconosciuto fuori dai confini dell’Armenia ed è ritenuto illegale dal vicino Azerbaijan
In 47.165 – cioè il 45,01% degli aventi diritto – hanno votato al secondo turno per le presidenziali in Nagorno Karabakh. Al primo turno, che era accorpato alle politiche, l’affluenza era stata più del 70%. Effetto Covid 19, sicuramente, tanto è vero che fra i votanti non si è presentato nemmeno l’altro candidato in lizza, che aveva invitato a non andare a votare per evitare il propagarsi della pandemia.
Il quadro politico post-elettorale
Secondo il conteggio dei voti finora disponibile, in attesa della pubblicazione definitiva dei risultati il 21 aprile, Arayik Harutyunyan, ex primo ministro (2007-2017), ministro di Stato (2017-2018), leader del partito Patria Libera è stato eletto Presidente con l’84,5% dei voti (39.860 voti) mentre Masis Mayilyan, ex ministro degli Esteri, ha ricevuto il 12,1% dei voti (5.428 voti).
Arayik Harutyunyan è un oligarca locale, con una vasta gamma di interessi commerciali nel territorio nel settore bancario, agricolo ed energetico, e secondo alcuni era l’uomo su cui puntava il primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Un voto importante per l’Armenia: come avevamo già detto su queste pagine, non tutti i candidati si erano espressi a favore della nuova leadership e della rivoluzione di velluto a Yerevan.
I due candidati del secondo turno avevano comunque sottolineato il loro sostegno a Pashinyan.
Harutyunyan aveva in particolare dichiarato : “Tutte le forze che oggi mettono in discussione le azioni delle autorità armene, in particolare del primo ministro, in relazione alla questione del Karabakh […] sono disfattiste, cospiratrici”.
Insomma, una nuova armonia dopo l’inusuale tensione post-rivoluzionaria: è infatti in Karabakh che la vecchia élite armena, caduta in disgrazia con la rivoluzione di velluto, ha il proprio bastione di resistenza e questo ha creato negli ultimi due anni non poche tensioni .
Immediate le congratulazioni di Pashinyan che rivolgendosi al neo-eletto presidente ha commentato: “Lei ha ricevuto un mandato dal popolo dell’Artsakh [Nagorno-Karabakh in Armeno] per rafforzare la sicurezza dell’Artsakh, per sviluppare l’economia e costruire una società basata sui valori democratici, sui diritti umani e sulle libertà fondamentali. A tal fine, ha adottato un programma volto all’attuazione di riforme profonde e sistematiche nella pubblica amministrazione, in ambito economico, politico, giudiziario e di altri aspetti della vita pubblica. Può contare sul sostegno del governo dell’Armenia e mio personale in questo processo”.
Unanime il non riconoscimento del voto, fuori dai confini dell’Armenia. Durissima la condanna dell’Azerbaijan che denuncia l’illegalità delle elezioni.
Nonostante la condanna internazionale, dopo il voto nell’entità de facto nascerà un nuovo governo coerente politicamente con la nuova presidenza anche se il Partito della Patria Libera di Harutyunyan, in alleanza con il Partito dell’Alleanza Civica Unito, ha ottenuto sì il maggior numero di seggi (16, con il 39,7% dei voti), ma non abbastanza per formare un governo di maggioranza. Già in una conferenza stampa il 1° aprile scorso Harutyunyan aveva annunciato di essere pronto a parlare con gli altri quattro partiti che hanno ottenuto seggi in parlamento per formare una coalizione.
La situazione Covid 19 in Nagorno-Karabakh
Sul tema Covid 19 fra il primo e il secondo turno qualcosa è cambiato in Nagorno Karabakh. Da zero casi di contagio si è passati nel giorno del voto a 6, con il primo caso registrato il 7 aprile. Il 13, il giorno prima del voto, le autorità della vicina Armenia avevano esteso lo stato di emergenza nel paese fino al 14 maggio. Il Presidente de facto uscente Bako Sahakyan il 12 aprile ha firmato un decreto con cui ha dichiarato lo stato di emergenza nel paese sulla base degli articoli 93 (disposizione 20) e 133.1 della Costituzione della Repubblica di Artsakh. Quindi si è potuto andare a votare, ma con il modulo di autocertificazione. Gli elettori si sono dimostrati reattivi e consapevoli del rischio, e non a caso a Mirik, dove è stato confermato il primo caso, l’affluenza alle urne è stata particolarmente bassa con solo il 10% degli aventi diritto che si sono presentati alle urne.
La missione d’osservazione elettorale armena non si è recata in Karabakh per il secondo turno. Troppo alto il rischio di contagio, con l’Armenia che ormai supera il migliaio di contagi e le vittime che si contano in due cifre.
Lo sforzo diplomatico ai tempi del COVID
Non vi è dinamica che si salva dalla pandemia, neanche il processo di pace. Ed è così che nonostante le tensioni di cui abbiamo già parlato non è possibile tornare alla prassi che accompagna il processo di mediazione per la soluzione pacifica del conflitto in Nagorno Karabakh.
I monitoraggi del team dell’OSCE lungo la linea di contatto sono sospesi, e buona parte delle delegazioni soprattutto non governative hanno lasciato non solo il Karabakh, ma tutto il Caucaso. Nell’esodo di cittadini verso i loro paesi di origine sono venute a mancare professionalità e ruoli importanti per le zone di conflitto. In questo periodo sospeso, in cui i problemi non sono risolti ma sono scomparsi i facilitatori di eventuali soluzioni, la diplomazia cerca di rimanere viva con i mezzi telefonici e digitali.
I contatti non si interrompono, come ha commentato il ministro degli Esteri armeno : “La priorità è mantenere il cessate il fuoco. Anche se il normale ritmo di lavoro è in qualche modo interrotto in queste condizioni. Al momento non ci sono incontri, ma siamo in costante contatto con i Co-presidenti e il Rappresentante dell’OSCE per la Presidenza in carica. […] Apprezziamo gli sforzi volti a preservare il proseguimento del processo di pace”.
I Co-presidenti citati sono gli ambasciatori francese, russo e americano che costituiscono il Gruppo di Minsk, che dovrebbe portare alla conferenza di Minsk per la soluzione politica del conflitto, progetto rimasto sulla carta fino ad oggi nonostante il lavorio diplomatico del trio che dura da anni, con mandato dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Ogni presidenza a rotazione dell’Osce nomina poi un Rappresentate per il conflitto, e c’è appunto un team che staziona, in condizioni normali, permanentemente nella regione.
Il nuovo governo de facto dovrà probabilmente aspettare diverso tempo prima che si ritorni alla routine diplomatica della mediazione del conflitto. Nel frattempo c’è da sperare che prevalga la consapevolezza delle dimensioni della sfida in corso perché le armi e le lingue si fermino, e che quindi nessuna provocazione possa sabotare lo sforzo che deve essere per forza comune.