Museruola

Domenica scorsa in Slovenia, si è tenuto il referendum sulla nuova legge della radiotelevisione. Lo schieramento a favore della legge ha vinto con uno scarto minimo: 50,2% contro il 49%. Ma il 70% degli aventi diritto ha preferito rimanere a casa o – visto il bel tempo – andare a vendemmiare

27/09/2005, Franco Juri - Koper

Museruola

"La Slovenia vuole rinunciare alla democrazia? Sì, ma democraticamente! "E’ una delle amare battute ispirate in questi giorni dalla contenuta delusione dei promotori del referendum contro la nuova legge sulla radiotelevisione slovena. Ma domenica scorsa in Slovenia ha vinto nuovamente la maggioranza silenziosa, quel 70 % di aventi diritto al voto che hanno preferito restarsene a casa o – visto la clemente meteorologia – hanno preferito vendemmiare, senza preoccuparsi troppo del futuro cui va incontro la libertà di stampa e di parola nel paese ex jugoslavo un tempo notoriamente il "più liberale" e ora membro dell’UE.

Del 30% o poco più di elettori che invece hanno deciso di esprimere alle urne la propria opinione sulla legge del governo Janša si sono confrontate due metà quasi uguali. Quasi. Per una manciata di voti, con il 50,2%, ha vinto quella filogovernativa. L’opposizione e la fetta di società civile che erano scese in campo per fermare una legge dalle forti venature autoritarie, che mette sotto controllo politico pressoché totale la radiotelevisione pubblica, ha ottenuto il 49% dei consensi.

La campagna referendaria si era fatta particolarmente incisiva trasformando nei fatti il confronto sui contenuti della nuova legge in un braccio di ferro politico tra governo e opposizione. La voce della società civile, rappresentata dall’ "Iniziativa per una RTV pubblica" , che aveva cercato di togliere l’arnese propagandistico referendario dalle mani dei partiti contrapposti, spiegando che il "no" era rivolto a qualsiasi controllo partitico dei media pubblici, è rimasta relativamente emarginata anche se il suo impatto sull’opinione pubblica non è stato di poco conto.

Lo "scontro tra titani" si è risolto con una pirrica ma sufficiente vittoria della compagine di governo. Eloquente anche il profilo degli schieramenti contrapposti. Da una parte, compatta più che mai, la coalizione governativa di centrodestra, il partito ultranazionalista e xenofobo (SNS) di Zmago Jelinčič, il vertice della chiesa cattolica slovena, lo "Zbor za Republiko" (l’ Assemblea per la Repubblica), un forum civile di aperto sostegno al governo, il giro della Nova Revija, con l’ eccezione di Manca Košir, intellettuale e giornalista con simpatie per la destra ma in questo frangente schierata con le istanze della maggioranza dei giornalisti e persino l’Unione degli allevatori bovini sloveni, vicini al Partito popolare (SLS) dei fratelli Podobnik.

Persino i due deputati minoritari, l’italiano e l’ungherese, hanno mantenuto un profilo basso esibendo un timido e condizionato sostegno al governo senza guardare negli occhi il malcontento delle proprie comunità minoritarie. Il "Sì" è stato inoltre sostenuto a spada tratta anche da una minoranza di giornalisti tradizionalmente vicini a Janša e da una serie di popolari stelle della musica commerciale e "turbo-folk" slovena.

A sostenere dall’UE la causa del governo è intervenuto il capogruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo Hans Poettering. Nell’altro fronte c’erano invece i due principali partiti di opposizione (i liberaldemocratici ed i socialdemocratici), promotori formali della consultazione, l’ Associazione dei giornalisti sloveni, con l’eccezione di alcuni contestatori filogovernativi, l’ indipendente Iniziativa per una RTV pubblica e moltissimi intellettuali, accademici, artisti e giornalisti indipendenti. Contro la legge si è schierato anche il Pen sloveno, da cui però ha preso le distanze il noto scrittore Drago Jančar, da sempre fedelissimo all’attuale premier e attivo sostenitore del "sì".

Ma l’ intervento politico piu’ significativo a favore della nuova legge è stato senz’altro quello della Conferenza episcopale slovena che, facendo appello ai fedeli affinchè si recassero alle urne per sostenere la legge, in un durissimo comunicato, firmato dai vescovi Janez Kramberger e Anton Stres, ha condannato il presunto laicismo critico dell’attuale giornalismo radiotelevisivo che – secondo loro – darebbe poco spazio ai temi della chiesa e in un’occasione si sarebbe permesso persino di dare del conservatore al papa.

E’ stata questa l’interferenza politica della chiesa cattolica più diretta in quindici anni di transizione slovena. Dai circoli europei a sostenere il "no" sono stati gli esperti del Consiglio d’ Europa, l’ Unione internazionale dei giornalisti, gli esperti dell’ EBU (l’ unione europea delle RTV pubbliche) e il vertice del partito liberaldemocratico europeo. A sostegno dei giornalisti sloveni e del loro impegno contro la legge era venuto in visita a Lubiana anche il segretario del sindacato dei giornalisti RAI Roberto Natale per spiegare i pericoli dell’approccio "berlusconiano" proposto dal governo.

L’ ispiratore della legge, il deputaton dell’ SDS (il Partito democratico sloveno) Branko Grims, ha sistematicamente respinto le opinioni europee critiche tacciando l’analisi del Consiglio d’Europa di "inesattezza politologica" e affermando che la nuova legge sarebbe molto più "europea" di quella precedente. Nella sua campagna referendaria il governo ha comunque puntato soprattutto sulla promessa populista di programmi migliori e di un canone più basso, promessa recepita con maggior fiducia nella Slovenia rurale, mentre nei centri urbani ha prevalso il no.

La vittoria, seppur strettissima, dei "sì" permette e impone ora al governo di applicare, da novembre, la legge senza nuovi intoppi, modifiche o nuove richieste almeno per un anno. Verranno così radicalmente trasformati l’assetto e la gestione dell’ente. I poteri verranno centralizzati nella figura del direttore generale, i centri regionali saranno praticamente sciolti, mentre il nuovo statuto le strategie ed i programmi dell’ ente radiotelevisivo verranno dettati da due organismi (il consiglio di programma e quello di controllo) i cui membri saranno in grandissima parte eletti dal governo e dal parlamento con maggioranza semplice.

Nel motivare la sua soddisfazione per l’esito del referendum il governo ha ribadito che una radiotelevisione così concepita sarà piu’ consona agli sforzi per riformare il paese. Come dire, scandali dannosi all’immagine del governo come quello recentissimo della vendita sottoprezzo e senza bando di azioni pubbliche nella società Mercator alle imprese "amiche" (nel caso l’ industria birraia Laško e l’Istrabenz) non ci saranno più. Il media pubblici, almeno, non ne parleranno.

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