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Muro anti-profughi in Bulgaria. Quando la sicurezza è un business
A fine 2013, quando la crisi provocata dal massiccio arrivo di profughi siriani in Bulgaria raggiunse il suo apice, il governo di Sofia annunciò la costruzione di una “barriera tecnica” di trenta chilometri al confine con la Turchia, come strumento di contenimento e controllo dei flussi migratori.
In quei mesi l’attenzione internazionale sul paese era forte. Da parte di molti paesi dell’Unione europea piovevano critiche sulle capacità della Bulgaria di gestire un fenomeno a cui era evidentemente impreparata, come dimostrato dalle condizioni estremamente precarie dei campi in cui sono stati sistemati gran parte dei richiedenti asilo.
La decisione di innalzare un “muro” (in realtà una rete sormontata da filo spinato) venne quindi presentata dal governo bulgaro come una risposta immediata ed efficace, nonostante le riserve e le proteste di organizzazioni e singoli, preoccupati per l’impatto dell’opera sul destino dei profughi. Il ministro della Difesa Angel Naydenov si affrettò ad annunciare che i lavori di realizzazione sarebbero cominciati in tempi rapidissimi.
Oggi, a tre mesi di distanza, sulla frontiera con la Turchia non è stato realizzato nemmeno un metro di rete. Né è chiaro quando l’implementazione del progetto avrà inizio. A quanto pare, per ora l’unico “successo” ottenuto è l’inspiegabile raddoppio dei costi previsti, passati da 5,1 milioni di leva ai 9,6 milioni (2,6 – 4,9 milioni di euro).
Come se non bastasse, nonostante la lentezza con cui si muove il progetto, il governo insiste nel voler applicare la legge sulle “opere d’emergenza”, che permette di assegnare i lavori senza alcuna gara d’appalto, ma attraverso conferimento diretto dei lavori secondo criteri poco trasparenti.
Non stupisce che la richiesta dell’opposizione di formare una commissione parlamentare sulla questione, presentata la settimana scorsa, sia stata rigettata senza troppi patemi dalla maggioranza.
LINK: Capital
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