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Moving on
Il portale d’informazione Birn promuove un programma per il giornalismo d’eccellenza. Il primo tema scelto è stato quello della mobilità. Il risultato è la pubblicazione ”Moving on”. Ne pubblichiamo l’introduzione
Di Anna McTaggart, responsabile del programma "Balkan Fellowship for Journalistic Excellence"
Traduzione a cura della redazione di Osservatorio sui Balcani
Il 2007 ha segnato il 50esimo anniversario dell’Unione europea e la sua estensione alla Romania e alla Bulgaria. Nel frattempo i paesi conosciuti come "Balcani occidentali" rimanevano di fatto isolati – dal resto del continente e tra di loro – a causa di restrizioni di viaggio, barriere commerciali e pregiudizi reciproci.
Sono state promosse numerose iniziative per sviluppare ed integrare la regione in modo possa godere di livelli di libertà, stabilità e prosperità simili a quelli dell’Europa occidentale: l’esperienza dell’Unione europea ha dimostrato che la libertà di movimento delle persone, dei beni e dei servizi ha il potenziale di ridurre molte delle tensioni, dei disequilibri e dei pregiudizi che possono portare ad un conflitto. Il percorso europeo ha favorito la cooperazione nella lotta contro la povertà e l’ingiustizia. Ciononostante questi ideali ancora oggi vedono escluse molte delle persone che abitano il Sudest europeo.
Segno visibile dell’isolamento dei Balcani occidentali sono le file davanti alle ambasciate dei Paesi Ue. Eleonora Veninova, macedone, sottolinea i paradossi inerenti al sistema dei visti che l’Ue e i suoi stati membri hanno imposto alla regione. Quest’ultima mette in rilievo la domanda di forza lavoro esistente nell’Ue e i rischi per chi, cittadino del Sudest Europa, tenta di supplire a tale domanda. Nel suo articolo mostra come il sistema dei visti dipenda molto di più dalle polizie dei singoli paesi che dalle regole esistenti nell’Ue in merito alle assunzioni di lavoratori stranieri. Il risultato di tutto ciò è che le persone ordinarie, che tentano di viaggiare per motivi del tutto legittimi, hanno difficoltà ad ottenere permessi, mentre i lavoratori illegali raggiungono le loro destinazioni attraverso qualsiasi canale riescano a trovare.
Altin Raxhimi, dall’Albania, esamina le recenti mosse dell’Ue per alleggerire il sistema dei visti e permettere alla forza lavoro di entrare nell’Ue attraverso canali legali. Ma la sua analisi mette in rilievo come le nuove regole avvantaggeranno solo pochi privilegiati e questo potrebbe amplificare le divisioni sociali nella regione, facilitando gli spostamenti solo a chi ne ha meno bisogno.
Ma ci sono anche storie positive. Bogdan Asaftei, di Bucarest, racconta come i Paesi che hanno tradizionalmente assistito ad un’emigrazione della propria forza lavoro stanno ora attraversando un’inversione di tendenza. I vantaggi competitivi del produrre in Bulgaria e Romania, ed oltre a questo il loro ingresso nell’area di libero scambio rappresentato dall’Ue, hanno spinto molti imprenditori a spostarsi dall’Europa occidentale ai Paesi ex comunisti, portando posti di lavoro e nuova prosperità.
Allo stesso tempo, molte fasce della società in questi paesi, rimangono escluse da tutto. Il boom economico vissuto negli ultimi anni dalla Bulgaria ha creato ingente bisogno di forza lavoro. Ma, come spiega Nikoleta Popkostadinova, invece di sopperire alla domanda con le migliaia di rom disoccupati, si preferisce far venire lavoratori dall’estero, lasciando la più grande minoranza del Paese a languire.
Mobilità significa non solo libertà di viaggiare, ma, in termini più generali, la libertà di individui ed intere società di migliorare ed esprimere il proprio potenziale. La mancanza di tale opportunità rimane evidente in molte aree dei Balcani occidentali, forzando i giovani più talentuosi e "mobili" ad emigrare per poter progredire nelle loro carriere. Milorad Ivanovic mostra come sia aumentata la pressione sui talenti sportivi in Serbia affinché prendano una cittadinanza straniera e lascino il Paese, e questo aggiunge un’ulteriore dimensione al fenomeno già molto studiato della "fuga di cervelli".
Sokol Ferizi affronta invece proprio la questione della "fuga di cervelli" in Kosovo, dove all’incertezza sul futuro politico del paese va aggiunta la crisi economica. Le limitate possibilità di guadagnarsi da vivere, aggravate da un sistema d’istruzione deficiente, spingono molti giovani ad abbandonare il Paese. Quelli che rimangono spesso cadono vittime dell’apatia e dell’influenza del crimine, della droga o dell’estremismo religioso.
In Kosovo si sta assistendo ad uno stallo sul futuro che nasconde una serie di altre problematiche, due articoli della nostra pubblicazione mostrano come la complessa geopolitica dei Balcani influenzi la mobilità in tutta la regione.
Polina Slacheva di Botevgrad ha analizzato le vie commerciali che attraversano l’intero Sudest Europa, collegando i Paesi dei Balcani tra loro e al resto del continente dimostrando come conflitti e rivalità, vecchi e nuovi, spesso causate dal nazionalismo, continuano a minare criteri economici nello sviluppo e costruzione di strade e linee ferroviarie, danneggiando le relazioni commerciali e l’integrazione economica della regione.
I conflitti del 1990 rappresentano ancora un’ombra sui Paesi nati dalla ex Jugoslavia. Nenad Radičević, di Belgrado, affronta le modalità con le quali questo fenomeno limita la mobilità regionale, analizzando le paure dei rifugiati a rientrare nei loro luoghi d’origine a causa di crimini di guerra rimasti ancora impuniti. Mostra come il fallimento dei tribunali della regione di collaborare tra loro in merito a questioni relative a crimini di guerra causi una riluttanza nella gente ad attraversare i confini.
Come sottolinea Bojana Stanišić, lo scarso livello di collaborazione intergovernativa nella regione, spiega come mai le ex Repubbliche jugoslave non stiano collaborando in modo efficace per contrastare le minacce ambientali che tengono sotto scacco il Mare Adriatico.
I politici restano indietro, mentre sempre più singoli cittadini sono pronti a cooperare con controparti in altri Paesi. Gli scienziati dagli stati adriatici stanno lavorando assieme per affrontare i problemi che affronta il mare, ad esempio. Davor Konjikušić descrive inoltre artisti, musicisti e registi che riescono a mettere da parte il doloroso passato di conflitti tra i rispettivi Paesi per massimizzare le opportunità di scambio.
Nei Balcani si può notare la seguente dinamica: il crescente desiderio da parte della gente di superare le divisioni nazionaliste per favorire un reciproco benessere economico.
Il giornalismo è un medium che ha il potenziale di superare ogni tipologia di divisioni e aprire le società una all’altra, sia per comunicare idee ma anche opportunità d’affari, opportunità politiche e allentare minacce. Questo è il motivo per il quale il tema della mobilità è quanto mai appropriato per lanciare il "Fellowship Programme 2007" di Birn. Nutrire i talenti giornalistici e la produzione di inchieste investigative di alta qualità e mettere i risultati di tali inchieste a disposizione delle opinioni pubbliche di tutti i Balcani e del resto d’Europa, può aiutare ad aprire lo spazio a disposizione dello scambio di esperienze ed idee, incoraggiare la tolleranza, le diversità e i cambiamenti positivi.