Mostar oltre il Ponte

La guerra, e la distruzione di Mostar, non sono state causate dalla follia etnica ma dal tentativo di costruire un nuovo sistema socio economico. La inaugurazione del Ponte, e la giornata dell’acqua, sono state occasioni mancate, genericamente buoniste

20/08/2004, Claudio Bazzocchi -

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Il logo della General Engineering

Vorrei cercare di descrivere il mio stato d’animo rispetto a quanto è stato scritto sui principali quotidiani italiani e sulle pagine dell’Osservatorio Balcani a commento dell’inaugurazione di Stari Most, il famoso ponte di Mostar appena ricostruito.

In generale non mi sono piaciuti i vari commenti, troppo improntati ad una sorta di sentimentalismo buonista che ancora fa leva sulle differenze etniche e culturali. A Mostar la guerra è finita da dieci anni e grazie a quella guerra si sono instaurate classi dirigenti che hanno costruito nuove statualità e nuovi sistemi socio-economici, che meriterebbero un’analisi più attenta con strumenti diversi da quelli dell’antropologia culturale, peraltro usati con grande disinvoltura come spesso capita ai giornalisti o agli attivisti pacifisti in gita sui luoghi che sono stati attraversati dalla guerra.

Chi scrive ha vissuto e lavorato per quasi tre anni a Mostar, prima impegnato nei convogli umanitari dall’Italia durante la guerra (l’anno terribile maggio 1993 – maggio 1994) e poi stabile responsabile di una grande ONG italiana. Sono quindi in grado di capire i sentimenti di quanti si sono ritrovati di fronte al Vecchio di Mostar che di nuovo solca le due rive di Neretva. Anch’io andrò quanto prima a vederlo, accompagnato da qualche amico mostarino, e probabilmente mi commuoverò, ma proprio in virtù di quel sentimento non mi accontenterò di qualche generica battuta ad effetto sull’"incontro fra Oriente e Occidente" o sulla "follia della guerra etnica". Insomma, proprio per amore di quella città io voglio sapere chi comanda oggi a Mostar, quali famiglie detengono la ricchezza di quella città, quali sono gli intrecci fra mafia e politica, come si strutturano le relazioni clientelari fra élites di governo e popolazione, qual è la condizione sociale delle classi disagiate, che influenza hanno avuto le politiche di ricostruzione della comunità internazionale sul tessuto sociale ed economico della città. Credo che siano queste le domande da farsi a proposito di Mostar, a dieci anni dalla fine della guerra e in occasione della ricostruzione del suo simbolo. Mi pare allora che le celebrazioni per l’inaugurazione di Stari Mostar abbiano rappresentato un’occasione sostanzialmente mancata.

A quelle domande cerco di rispondere da alcuni anni con il mio lavoro di ricerca e non e questa l’occasione per riprenderle. Vorrei però sottolineare come ancora oggi si parli della guerra nei Balcani in termini di scontro tra differenze culturali e religiose, con i toni della pietà sentimentale fatta di donne che piangono intonando le sevdalinke tradizionali e con lo stupore a buon mercato dell’antropologo alle prime armi che si accontenta del poco di esotico che offrono i Balcani non potendo andare più lontano.

Ha scritto recentemente l’antropologo Marco Aime, in un bel libro uscito da poco, che

leggere in termini etnici o razziali quelli che talvolta si rivelano conflitti sociali significa ancora una volta spostare sul piano culturale il dibattito, evitando di affrontare le radici socio-economiche. Etnicizzando gruppi o rapporti sociali, si tende in realtà a mascherare la loro posizione subordinata o marginalizzata in rapporto alla società globale e, allo stesso tempo, a cancellare le differenze interne dei gruppi etnicizzati in termini di classe, risorse e potere.
… La competizione per le risorse dà vita a modelli di organizzazione informale che esprimono, dietro a una veste etnica, le istanze di un gruppo di interesse. In molti paesi il declino economico e la conseguente perdita di posti di lavoro ha causato l’indebolimento dei soggetti politici che tradizionalmente rappresentavano i lavoratori, e il malcontento di questi ultimi è stato frequentemente catalizzato da movimenti politici che alla solidarietà di classe ha sostituito una solidarietà che potremmo definire etnica .

Ho già avuto modo di dire altrove che Le nuove guerre, così come le abbiamo conosciute nei Balcani, sono conflitti per la costruzione di nuove forme statuali e di nuovi sistemi politici, in cui cambia il rapporto fra cittadini e potere, non più mediato dalle regole dello stato di diritto e dalle garanzie sociali del welfare, ma dall’appartenenza etno-nazionale e dal paternalismo autoritario delle élites nazionalistiche, in un quadro economico di creazione della ricchezza tramite l’instabilità diffusa e grazie a network affaristico-mafiosi che controllano il commercio transfrontaliero. Queste guerre non possono così essere considerate né il prodotto di odi secolari, né il risultato dell’avidità di pochi e corrotti leader politici. Si ritiene qui che i conflitti delle nuove guerre creino infatti stati che non possono essere definiti weak o failed in senso tradizionale, ma adattamenti flessibili e di lungo periodo alla globalizzazione.

Mi viene allora da chiedere che c’entra in tutto questo un convegno sull’acqua promosso dal Contratto Mondiale sull’acqua e da varie altre organizzazioni pacifiste italiane, per celebrare la ricostruzione del ponte, a cui è intervenuto anche il famoso scrittore bosniaco Predrag Matvejevic. Pare che il movimento no-global soffra di strabismo e non riesca mai a confrontarsi con l’analisi socio-economica territorio per territorio e sappia invece enunciare grandi proclami generici, in questo caso sull’acqua come bene comune da non privatizzare. Grazie!

E della condizione sociale delle famiglie di Mostar, del capitale straniero che fra produrre semilavorati agli operai mostarini pagando loro stipendi da sfruttamento, degli interessi affaristici che tengono la città soffocata da una cappa di controllo politico-mafioso quando ne vogliamo parlare?

Voglio allora rivolgermi – per concludere – a Predrag Matvejevic, grande intellettuale e figlio famoso di Mostar. Caro Matvejevic, l’acqua e i grandi temi no-global sono oggi certo di moda, ma quando i tuoi concittadini potranno vederti denunciare le famiglie mafiose che si sono spartite la città con l’inganno della guerra etnica? Quando assieme agli altri intellettuali mostarini democratici e alle forze sindacali e politiche disponibili vorrai denunciare le spaventose condizioni sociali dei quartieri poveri della tua città?

Ragionar di fiumi e di ponti e di luoghi dove si incontrano Oriente e Occidente rappresenta certo uno straordinario contributo alla ricostruzione di una forte identità civile e non etnica. C’è bisogno però, caro Predrag, di uomini e donne in carne ed ossa che possano indossare quell’identità, c’è bisogno del popolo di Mostar, a partire dagli ultimi, ancora sfruttati e indifesi.

Vedi anche:

 

 

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