Mostar: in rovina la necropoli dei partigiani

Il cimitero monumentale dei partigiani di Mostar, dove sono seppelliti combattenti jugoslavi antifascisti della Seconda guerra mondiale, è abbandonato alla decadenza, vittima del revisionismo storico degli anni ’90

03/07/2017, Sven Milekić -

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Il cimitero monumentale a Mostar - Sven Milekić

(Pubblicato originariamente da Balkan Insight il 15 giugno 2017)

"Il cimitero dei partigiani? Sì, i comunisti vengono qui per la loro commemorazione annuale in… ho dimenticato il mese. Turisti? Alcuni, non molti, ma alcuni sì", dice un cameriere in un bar nel centro della città bosniaca meridionale di Mostar, di fronte all’imponente monumento ai partigiani antifascisti caduti nella Seconda guerra mondiale.

"I comunisti" sarebbero le associazioni antifasciste che commemorano la Liberazione di Mostar del 14 febbraio 1945, giorno in cui le forze partigiane entrarono in città dopo il ritiro di quelle tedesche e naziste. Le commemorazioni si svolgono anche in altre date significative.

Nascosto nella vegetazione, invisibile dalla strada, il cimitero è stato abbandonato a se stesso. Può capitare solo di vedere qualche turista nelle sue vicinanze, armato di mappe e applicazioni di navigazione.

La massiccia costruzione, con il suo percorso cerimoniale pavimentato di oltre 300 metri a salire oltre 20 metri sulla collina, venne costruita nel 1965 dal famoso architetto serbo Bogdan Bogdanović, noto per i suoi numerosi monumenti ai partigiani e alle vittime del fascismo (il più conosciuto è il "Fiore" dedicato alle vittime del campo di concentramento fascista croato a Jasenovac).

Bogdanović concepì il memoriale come luogo di riposo per 560 partigiani di Mostar, ognuno con la propria lapide con incisi luogo e anno di nascita e di morte.

Esperti scalpellini dell’isola croata di Korčula hanno costruito il monumento nell’arco di diversi anni, usando oltre 12.000 pezzi di calcare scolpito, macerie della Seconda guerra mondiale e tradizionali tegole in pietra riciclate dalle case di Mostar.

Un sentiero serpeggiante e due scale conducono ad una grande piattaforma inferiore che si affaccia su Mostar. Una scala dietro il muro conduce ad una piattaforma superiore più piccola con una fontana e l’elemento architettonico centrale: una "meridiana cosmologica".

"La necropoli partigiana era Mostar in miniatura, una replica della città sulla Neretva [il fiume che attraversa Mostar]", ha scritto Bogdanović nel suo saggio "La città dei morti di Mostar", pubblicato nel 1997.

Tuttavia, i conflitti degli anni ’90 fra croati e bosgnacchi e l’esercito popolare jugoslavo hanno completamente cambiato la percezione del monumento e dell’eredità antifascista dell’ex Jugoslavia in generale.

Oltre a non essere correttamente contrassegnato, il monumento è stato lasciato in balia di vandali ed è ora coperto di svastiche e simboli fascisti degli ustascia croati della Seconda guerra mondiale, che rispondono ai "nemici" ideologici – i comunisti – con i loro graffiti.

Se la maggior parte dei simboli nazisti è stata ricoperta da un altro strato di spray, probabilmente da gruppi antifascisti, i graffiti non sono stati rimossi.

Il sito è anche coperto di bottiglie di vetro e di plastica e di ogni tipo di immondizia, mentre la vegetazione sovrasta ormai questo monumento in parte distrutto. Alcune lapidi sono divelte e danneggiate, mentre le fontane non funzionano più.

Esplosivi dopo il tramonto

Dragan Markovina è uno storico nato a Mostar, che vive in Croazia dalla guerra degli anni ’90. Nel 2014 ha pubblicato "Tra rosso e nero: Spalato e Mostar nella cultura della memoria", libro che ripercorre il passaggio da un orientamento antifascista e socialista alla sottovalutazione, quando non glorificazione, dei reati commessi dal movimento fascista ustascia croato della Seconda guerra mondiale.

Markovina ricorda come il primo atto di distruzione del monumento sia stato portato avanti con esplosivi nella notte fra il 13 e il 14 febbraio 1992, prima dell’ultima commemorazione e prima dello scoppio della guerra in Bosnia Erzegovina.

"Alcuni esplosivi furono detonati, danneggiando alcune lapidi… probabilmente per mandare un messaggio a chi programmava di essere presente alla commemorazione il giorno successivo", racconta a BIRN.

Il messaggio fu ricevuto: la paura prevalse e solo 50 persone si presentarono alla commemorazione.

"Possiamo dire che, simbolicamente, il cimitero fu la prima cosa bombardata a Mostar", dice Markovina.

La Chiesa cattolica cita spesso il crimine di guerra commesso durante la liberazione di Mostar il 14 febbraio 1945, quando le forze partigiane uccisero sette sacerdoti della chiesa francescana locale. I loro corpi non furono mai trovati e nessuno è stato condannato per le loro uccisioni.

Tuttavia, secondo Markovina, è una "leggenda" che siano principalmente i discendenti dei membri del movimento ustascia croato sconfitto a vandalizzare il cimitero.

Lo storico sottolinea che molte persone si unirono al movimento partigiano anti-fascista a Mostar: 6.000 abitanti sui 18.000 del tempo, di cui oltre 750 furono uccisi durante la guerra. In città, il movimento antifascista era molto più forte di quello ustascia, sottolinea.

Silenzio a Mostar

Alle domande di BIRN, le persone di Mostar hanno evitato di rispondere, dichiarandosi non interessate. Il vicino campus universitario e lo stadio centrale del calcio attirano molti giovani che passano quindi dal cimitero, anche se sembrano non notarlo o non prestarci attenzione.

Markovina afferma che l’intera cultura della memoria è cambiata sopprimendo la memoria del cimitero, che la generazione più giovane vede come un monumento all’antifascismo, ma anche al comunismo. Nella città etnicamente divisa, questo revisionismo storico proviene prevalentemente dal lato croato, aggiunge.

La parte occidentale della città, controllata dalla popolazione croata, ha cambiato completamente i nomi di strade, piazze e parchi negli anni ’90, sostituendo i nomi di personaggi storici dai tempi socialisti e combattenti antifascisti con quelli di re croati medievali, ma anche di ufficiali ustascia, come Mile Budak.

"Ora c’è una generazione completamente nuova, con una relazione completamente diversa rispetto agli eventi della Seconda guerra mondiale. La maggior parte di questi giovani è arrivata a Mostar durante l’infanzia o è nata durante o dopo la guerra degli anni ’90, mentre i loro genitori venivano da altrove. È per questo che gran parte di queste persone non ha una connessione intima con Mostar prima della guerra degli anni ’90", spiega Markovina.

"Una delle cose più tragiche è che il dipartimento di storia dell’arte è letteralmente a 100 metri dal cimitero…[e] i professori non hanno mai parlato loro del patrimonio mondiale che possono vedere dalla loro finestra", racconta amaramente.

Anche se l’Associazione antifascisti e combattenti della Guerra di Liberazione Popolare di Mostar ha richiesto nel 2006 che il sito diventasse un monumento nazionale protetto dallo stato, il cimitero è stato comunque lasciato decadere. Markovina spiega che la protezione statale impedisce solo la rimozione fisica del monumento.

Minacce di rimozione

Il leader dell’Associazione antifascista, Sead Djulić, accusa le istituzioni federali di aver trascurato il sito: in particolare, la ministra della Cultura e dello Sport Zora Dujmović non starebbe facendo del proprio meglio per proteggere il cimitero.

"Una volta ci ha scritto che è impossibile proteggere il cimitero dei partigiani a Mostar perché non è in centro, come se non vivessimo a Mostar e non sapessimo dove si trova. Si trova nel centro della città, il che rende la sua dichiarazione ridicola", commenta Djulić a BIRN.

Djulić, la cui associazione organizza la commemorazione annuale del 14 febbraio, conferma l’esistenza di piani per demolire il cimitero e costruire una sorta di palcoscenico estivo per concerti e altri eventi. Il Comune e il ministero, dice, non vedono bene il cimitero semplicemente perché rappresenta l’antifascismo e considerano gli anti-fascisti solo dei comunisti, anche se "molti non erano comunisti", aggiunge.

"Il cimitero dei Partigiani dà [loro] fastidio perché…è un cimitero antifascista, perché è il cimitero dell’esercito vittorioso nella Seconda guerra mondiale e la politica dominante di Mostar si è posta sul lato dei perdenti in quella guerra…glorificando gli ustascia e l’ideologia di Pavelić [leader ustascia, ndr]. Ecco perché devono distruggere questo monumento", afferma.

"La sua demolizione serve a ‘ripulire’ la storia e dipingere criminali di guerra come eroi, santi e semplici esserei umani", aggiunge, concludendo che l’UNESCO e le istituzioni europee per il patrimonio culturale dovrebbero reagire, soprattutto dato che "l’Europa sottolinea il suo anti-fascismo".

Abbandonato da tutti

Bogdanović è morto nel 2010, non prima di aver visto la distruzione di Mostar e del suo caratteristico Ponte Vecchio, nonché il maltrattamento del suo cimitero.

In epoca jugoslava Bogdanović vedeva il memoriale come un modo simbolico per "la Mostar morta" di guardare negli occhi "la Mostar viva" per cui si era sacrificata, ma era divenuto pessimista dopo la guerra degli anni Novanta.

"E tutto ciò che resta della mia promessa originale è che l’ex città dei morti e l’ex città dei vivi continuano a guardarsi… ma con occhi vuoti, neri e bruciati", ha scritto Bogdanović in "La città dei morti di Mostar".

Malgrado le poche prospettive per il rilancio del cimitero dei partigiani nel prossimo futuro, Markovina ritiene ancora che possa svolgere un ruolo positivo nella città profondamente divisa.

"Il cimitero può essere un simbolo di riconciliazione. Il Vecchio Ponte non può esserlo più, perché è stato brutalmente distrutto da un esercito e ora se ne sono quasi completamente – dal punto di vista simbolico – appropriati i bosgnacchi della Città Vecchia", spiega.

"Invece il cimitero è stato abbandonato da tutti… e persone di tutte le nazionalità sono morte e vi sono state sepolte insieme".

Documentario

"Il cerchio del ricordo"

La straordinaria esperienza di un gruppo di architetti e scultori che, nella Jugoslavia degli anni ’60 e ’70, affronta il tema del ricordo della Seconda guerra mondiale e della vittoria su nazi-fascismo. La parabola maledetta che, all’inizio degli anni ’90, porta le forze nazionaliste ad utilizzare quelle stesse memorie per manipolare le diverse comunità e condurre il Paese alla dissoluzione e alla guerra. Un viaggio nella memoria del Novecento europeo, il secolo iniziato e finito a Sarajevo. Disponibile interamente in streaming

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