Mostar, il primo bacio

Nei giorni di caos generale per i preparativi della cerimonia inaugurale dello Stari Most, tra centinaia di attori e decine di poliziotti, una coppia di giovani anonimi si bacia per la prima volta sul Ponte Vecchio

23/07/2004, Luka Zanoni - Mostar

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Mostar, il nuovo vecchio ponte

Fino a pochi giorni prima del grande giorno, del giorno dell’apertura dello Stari Most, la città di Mostar era tranquilla più che mai. Mostar d’altra parte è nota per essere una delle città, se non la città, più calda di tutta quanta la ex Jugoslavia. Gli oltre 40 gradi di questi giorni rendono persino faticoso passeggiare per le vie della città, benchè non manchino alberi e di tanto in tanto una lieve brezza, specialmente a ridosso della verde Neretva.

In concomitanza con la a lungo attesa innaugurazione del Ponte Vecchio, occorre tenere presente alcune cose, utili anche per chi non fa parte della calca di giornalisti, visitatori e quanti altri sono giunti per questo memorabile giorno.

Chi arriva a Mostar dalla statale e prosegue verso il centro, lungo la Marsala Tita, una delle strade principali della città, non può non notare la grande croce cattolica che svetta sul colle che sovrasta la città. Un simbolo religioso che è spuntato forzatamente dopo la guerra degli anni ’90. Ma c’è un’altra stonatura che forza ancora la vista di chi entra in città. L’enorme campanile della chiesa cattolica. Un’architettura insolita, un capanile altissimo, che con un po’ di ironia potremmo definire una sorta di minareto cattolico, tanto sembra evidente la gara di altezza tra i monumenti religiosi. Si ha l’impressione tangibile che il campanile abbia voluto gareggiare con le altezze dei minareti, molto più contestualizzati nell’architettura urbana della città.

Così come sotto il profilo dell’estetica non si possono non notare i segni della guerra, i morsi dell’artiglieria, ancora ben evidenti. Mostar manifesta ancora alcune delle sue ferite. Alcuni palazzi del centro sono transennati, cartelli appesi invitano al pericolo di caduta di macerie. La scuola di musica non è ancora stata ricostruita, l’Hotel Ruza inizia adesso la sua fase di make up. Solo per ricodarne alcuni.

Forse – come ha avuto modo di dire il dott. Bianca (responsabile della Fondazione Agha Khan, impegnata finaziariamente nella realizzazione del progetto di ricostruzione del ponte vecchio) durante la conferenza stampa di stamane – valeva la pena impegnarsi nella ricostruzione di tutto il resto della città per poi concentrarsi sui monumenti di rilievo.

Con ogni probabilità il dott. Bianca non sbaglia, ma come non pensare alla simbologia dello Stari Most. Come non pensare a cosa ha rappresentato e cosa potrebbe ancora rappresentare questo ponte sopravvissuto quasi 500 anni, prima di essere distrutto dalle granate nel novembre del ’93. Non era di nessun interesse strategico, non era di nessuna importanza militare, rappresentava solamente il simbolo di una convivenza secolare, e per questo andava distrutto.

Il giornalista Gojko Berić, nel suo editoriale per il più vecchio quotidiano della Bosnia Erzegovina, «Oslobodjenje», dice che non verrà oggi all’inaugurazione, troppo caldo, troppa eccitazione, e benchè abbia ricevuto l’invito ufficiale dall’Amministrazione della città, si sente ormai tropo vecchio per questa pomposa celebrazione. Si paragona a Emir Balić, il mitico tuffatore e alla sua impossibilità di ripetere il «volo di rondine» dalle alte sponde dello Stari Most per precipitare di testa nella fredda Neretva, sotto lo sguardo degli spettatori attoniti.

Certo non siamo nemmeno di fronte al Vecchio Ponte. Quello che inaugurano oggi, per chi ha avuto modo di vedere l’originale, per chi vi ha camminato sopra, per chi ha vissuto in questa affascinante città prima che si trasformasse con la guerra, immediatamente dice «no, non è lui. Certo è molto bello, ma è troppo bianco, è troppo perfetto». Nessuna si aspetta che questo nuovo-vecchio ponte sia l’originale. Ricorda ancora Berić, nel suo editoriale, che lo Stari Most per oltre 400 anni non veniva chiamato il Ponte vecchio, ma era semplicemente il ponte (cuprija), così «anche questo nuovo ponte (most), per parecchio tempo sarà solo un ponte (cuprija), benchè tutti lo chiameranno col nome del suo predecessore».

Ma è proprio Emir Balić a sintetizzare uno dei pensieri che tutti hanno in testa, rispondendo alla domanda di un giornalista che gli chiede se il nuovo ponte sarà in grado di unire nuovamente i Mostarini: «il ponte è il ponte, e se ci unirà di nuovo questo dipende da noi. Chi voleva il Ponte vecchio vorrà anche questo. Chi non voleva quello non vorrà nemmeno questo».

La gente per la strada, i cosidetti comuni cittadini, i negozianti della città vecchia sono amabili. Ti fermi con loro, chiacchieri come se fossimo da sempre amici. Beviamo un caffè insieme e tra una sigaretta e l’altra raccontano le loro sensazioni. Alcuni non vedono l’ora che passi tutto questo caos, tutto questo transitare di gente. Una donna che vende i tappeti lungo la via della città vecchia dice che in 50 anni non ha mai visto così tanta gente. Benchè durante il giorno non ci siano molti passanti, dalle 20 in poi è un vero delirio. In particolare negli ultimi giorni. Il centro è gremito di persone, soprattutto quando la temperatura scende di qualche grado. Ieri c’erano già oltre 500 giornalisti acccreditati, che vanno sommati alla valanga di persone che vengono da tutta la BiH. Oggi è previsto che il numero dei partecipanti aumenti decisamente. Nononstante il caldo infernale.

Dall’altra parte non si può mancare di notare la massiccia presenza delle forze dell’ordine. Centinaia di poliziotti, in divisa e in borghese, presidiano i punti a ridosso del Ponte vecchio. Cecchini a difesa dei funzionari statali, subacquei scandagliano il fiume, persino alpinisti addetti alla sicurezza. Un elicottero sorvola notte e giorno la città. Insomma, pare che la città non sia mai stata così tranquilla, così pulita. Qualcuno con un velo di sarcasmo sottolinea che persino i mendicanti, soprattutto rom, si sono cambiati d’abito, così da non essere riconosciuti dalla polizia, che li allontanerebbe.

Tra le chiacchiere della gente, tra i loro racconti, sembra emergere che con ogni probabilità, e non a caso, una parte sia molto più entusiasta dell’altra di questo grande evento. Per molti si tratta solo di una sorta di circo, di pomposa scenografia voluta dalla comunità internazionale. Certo, come tacere della volontà internazionale, dei finziamenti della Banca Mondiale, e di quant’altro ha contribuito a ritmo forzato a rimettere in piedi il simbolo della secolare unione di popoli.

Tutto questo è vero, però non dimentichiamoci che i monumenti non possono sorgere a caso. C’è sempre una congiuntura storico-culturale che fa sorgere (o ri-sorgere) l’opera d’arte dell’uomo. A noi sembra che in questo momento – e le parole dei Mostarini che abbiamo incontrato sembrano confermarlo – una lacerante ferita inizi a rimarginarsi. Le due sponde si sono riabbracciate nella volta di pietra. Ora sta ai corpi umani, alle anime della gente ritrovare il coraggio e il desiderio dell’abbraccio. Proprio come quella coppia di giovanissimi- di cui ha raccontato Sulejman Kupusovic, organizzatore della cerimonia – che indifferenti al caos dei preparativi, delle prove generali per la cerimonia di questa sera, dimentichi di tutto tra centinaia di attori, si sono baciati intensamente e per la prima volta sul nuovo Stari Most.

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