Morte di un testimone non protetto

L’uccisione di un collaboratore di giustizia, testimone al processo per l’omicidio dell’ex premier Zoran Djindjic, solleva seri dubbi sull’efficacia della lotta alla criminalità organizzata in Serbia

15/06/2006, Danijela Nenadić - Belgrado

Morte-di-un-testimone-non-protetto

I recenti omicidi di Zoran Vukojevic Vuk, collaboratore di giustizia e testimone al processo per l’omicidio del premier Zoran Djindjic, e di Zoran Povic Pova, membro del clan di Zemun, hanno mostrato ancora una volta che la lotta contro la criminalità organizzata non dà i risultati attesi, e che la "stretta mafiosa" è tuttora ben salda.

Gli omicidi, succedutisi nell’arco di alcune ore il 3 giugno scorso, ricordano da vicino lo scenario utilizzato durante l’attentato al premier Djindjic e in altre situazioni simili. Secondo la stampa belgradese, Zoran Povic Pova era tra coloro i quali hanno portato a termine il rapimento di Zoran Vukojevic Vuk. Dopo il rapimento, Vuk è stato ucciso: la polizia ha ritrovato il corpo nudo mezzo carbonizzato con le manette ai polsi non lontano dall’aeroporto di Belgrado. Durante il rapimento, Zoran Povic però è rimasto ferito e i suoi "compari" lo hanno gettato nelle vicinanze del pronto soccorso di Belgrado, in un luogo trafficato e dove è più facile ricevere un aiuto medico. In tasca la polizia gli ha trovato i documenti di identità del collaboratore di giustizia ucciso.

Si ritiene Pova non sia stato assassinato poiché gli sono state trovate delle ferite d’arma da fuoco sulla parte inferiore del torace ed è deceduto a causa di un’emorragia interna: la maggior parte delle eliminazioni vengono invece eseguite con un colpo alla testa.

La notizia dell’omicidio dei due noti criminali è riecheggiata in tutta Belgrado e ha suscitato numerose reazioni. Come consueto, negli ambienti informali belgradesi, circolano varie possibili versioni sull’omicidio di Vukojevic.

Milorad Ulemek Legija

Secondo una prima teoria, Vuk sarebbe stato ucciso dai membri deviati dei servizi di sicurezza, i quali desideravano, in questo modo, assicurarsi che i loro nomi non venissero fatti durante le dichiarazioni del collaboratore di giustizia. Nella seconda versione, il collaboratore testimone sarebbe stato ucciso dagli ex membri dell’Unità per le operazioni speciali (JSO), che in questo modo si sarebbero vendicati per l’arresto del loro ex comandante Milorad Ulemek Legija e per gli altri che si trovano già sul banco degli imputati. Tuttora non si sa chi abbia scoperto gli spostamenti di Vukojevic e se sia stato tradito da qualcuno dei suoi ex amici, con cui era in contatto negli ultimi giorni di vita. Questo e altri fatti dovrebbero essere chiariti dalle indagini che la polizia sta effettuando.

D’altra parte Vukojevic non è il primo testimone ad essere assassinato. All’inizio del 2004, con una pallottola in fronte fu ucciso Kujo Krijestorac, proprietario di una panetteria di Belgrado, il quale aveva testimoniato nel processo contro i membri del clan di Zemun per l’omicidio di Djindjic (12 marzo 2003).

Milos Vasic, analista del settimanale "Vreme" ed esperto per le questioni riguardanti la criminalità organizzata, in una dichiarazione per il quotidiano di Novi Sad "Dnevnik", ha sottolineato che l’omicidio del collaboratore di giustizia ha scatenato l’allarme e il panico, aggiungendo che tutto è avvenuto nonostante la polizia fosse incaricata di seguire, almeno discretamente, Vuk.

Il Partito democratico (DS) dopo l’omicidio ha chiesto le immediate dimissioni del ministro degli Interni Dragan Jocic, considerandolo responsabile per le scarse azioni di lotta alla criminalità organizzata, ma anche per una non sufficiente collaborazione con il Tribunale dell’Aja.

Secondo le parole del ministro Jocic, l’omicidio del collaboratore di giustizia rappresenta un’evidente prova che si tratta di uno scontro interno al medesimo gruppo criminale. Jocic ha aggiunto che lo preoccupano i lenti processi in tribunale e le lungaggini nel formulare il giudizio sull’omicidio del premier Djindjic. Così facendo, il ministro sembra intenzionato a spostare il peso delle responsabilità sulla magistratura.

Una simile posizione è stata assunta anche dal ministro della Giustizia Stojkovic, il quale in una dichiarazione per l’agenzia Beta ha detto che come cittadini di questo paese ci si deve preoccupare dell’omicidio di due persone, aggiungendo che "quando i tribunali lavorano lentamente, e la maggior parte dei sospettati viene lasciata in libertà, allora abbiamo una situazione come quella attuale". Dal canto suo, la portavoce del Tribunale speciale, Maja Kovacevic, ha dichiarato che è impossibile lavorare più velocemente, perché i processi sono delicati e complessi.

Il leader dei Partito liberal-democratico, Cedomir Jovanovic, ha accusato il governo della Serbia e il direttore della BIA (l’intelligence serba, ndt.) Rade Bulatovic dell’omicidio di Zoran Vukojevic, affermando che Vukojevic nella sua testimonianza ha accusato direttamente i più stretti collaboratori del premier Kostunica, il generale Aco Tomic e Rade Bulatovic, di essere implicati nell’omicidio del premier Djindjic. I rappresentanti del movimento popolare "5 ottobre" nella dichiarazione per l’agenzia Beta hanno sostenuto che l’omicidio di Vukojevic rappresenta il ritorno del Clan di Zemun e hanno aggiunto che "gli squadroni della morte di Milosevic hanno inviato un messaggio: siamo tornati. La lotta alla mafia è senza senso, perché questo regime trasforma i testimoni pentiti in testimoni defunti".

Ricordiamo che presso il Tribunale speciale sono in corso alcuni processi, dei quali il più importante è quello per l’omicidio di Zoran Djindjic. Per quest’ultimo, ma anche per l’omicidio dell’ex presidente serbo Ivan Stambolic e il tentato omicidio dell’attuale ministro degli esteri Vuk Draskovic a Budva, sono state emesse accuse contro i membri del clan di Zemun, del gruppo di Maki.

È interessante notare che gli accusati principali per l’omicidio di Stambolic sono Rade Markovic, Nebojsa Pavkovic, Milorad Bracanovic, Milorad Ulemek Legija, Dragan Maricic Gumar, tutti ex appartenenti alle strutture statali.

Nel processo per l’omicidio di Ivan Stambolic, è stato emesso un giudizio in primo grado nel 2005, e al momento è in corso il secondo grado del processo dopo che la difesa ha fatto ricorso in appello. Il primo grado ha visto la condanna di Rade Markovic, ex capo della RDB (divisione per la sicurezza dello stato), a 15 anni, mentre l’ex comandante dei "berretti rossi" Milorad Ulemek Legija è stato condannato alla pena massima di 40 anni di reclusione. Secondo fonti non ufficiali, l’Alta corte ha confermato l’accusa di 40 anni di reclusione a Legija per l’omicidio di Stambolic e il tentato omicidio di Vuk Draskovic.

Un altro processo che suscita una grande attenzione del pubblico è quello che si sta conducendo per l’omicidio sulla statale di Ibar (ottobre 1999), nel quale persero la vita 4 membri del partito SPO (Movimento per il rinnovamento serbo). Questo processo si svolge presso il Tribunale distrettuale di Belgrado, e non presso il Tribunale speciale, perché l’accusa è stata emessa nel 2001 quando ancora non era stata adottata la legge sulla lotta alla criminalità organizzata.

La sentenza di primo grado è stata emessa nel 2003 e la difesa, la procura e gli avvocati della parte lesa sono ricorsi in appello. Dopo l’omicidio del premier Djindjic si è giunti all’estensione delle accuse, così che oltre a Rade Markovic, Branko Djuric Buca (ex capo della polizia di Belgrado), Mihajlo Kertes (ex direttore dell’amministrazione doganale), sono stati inclusi pure Milorad Ulemek Legija e altri membri della JSO.

Il nuovo processo è iniziato alla fine del 2003 ed è terminato nel giugno 2005, confermando le stesse sentenze, sino ad un massimo di 15 anni di reclusione per Legija e di 10 anni per Markovic. Dal momento che tutte le parti in causa hanno fatto subito richiesta di appello, l’Alta corte della Serbia ha interrotto il processo e ha fissato quello nuovo per il giugno 2006.

Questa conduzione del processo, secondo molti decisamente scarsa sul versante del tribunale, ha suscitato molte reazioni negative, soprattutto tra i membri del SPO. A tale riguardo, Vuk Draskovic, leader del SPO, ha espresso una profonda insoddisfazione per il fatto che l’Alta corte non abbia trasformato le sentenze in pene massime, ma ha deciso di sospendere le sentenze e riportare il processo al punto di partenza. In una dichiarazione per il quotidiano "Glas Javnosti", Vuk Draskovic ha valutato la decisione del tribunale di sospendere il procedimento come "politica e criminale", annunciando la possibilità che l’SPO abbandoni la coalizione di governo.

Secondo le parole di Milan Simic, esperto di criminalità organizzata e crimini di guerra, "la maggior mancanza del potere democratico dopo il 5 ottobre si rispecchia nell’assenza di discontinuità nei servizi di sicurezza, così come nell’assenza di sostanziali riforme, che non siano solo modificazioni cosmetiche e personali. La conseguenza di questa inazione è stato l’omicidio del premier e un’instabilità politica ancora perdurante".

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta