Montenegro, un paese da cambiare

Da 23 anni non ha mai visto un cambio di governo, è soffocato da corruzione e criminalità organizzata. E’ per cambiare questo Montenegro che lotta Vanja Ćalović, direttrice dell’ong MANS.  Le elezioni del 14 ottobre aprono spazi al cambiamento, ma bisogna fare di più, UE compresa. Nostra intervista

06/11/2012, Francesco Martino - Podgorica

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Vanja Ćalović - fmartino/obc

MANS (Rete per l’affermazione del settore non governativo) ha denunciato seri problemi nel processo elettorale che ha accompagnato le consultazioni politiche dello scorso 14 ottobre. Quali sono stati i fattori più problematici?

Abbiamo riscontrato circa 14mila casi di nomi inseriti più volte nelle liste elettorali, o di persone fornite di più numeri identificativi (e probabilmente di più documenti d’identità), fatto che permette alla stessa persona di votare più volte in seggi diversi. La maggior parte dei casi, tra l’altro, è stata individuata in zone rurali e periferiche, dove è molto più difficile, soprattutto per i partiti di opposizione, esercitare il proprio controllo. In numerose municipalità, sorprendentemente, il numero dei votanti ammessi risulta superiore a quello degli abitanti riscontrati col censimento nazionale dell’anno scorso, e molti cittadini deceduti restano presenti nelle liste elettorali.

L’altro problema centrale è costituito dall’utilizzo improprio delle finanze pubbliche e delle posizioni di potere da parte del governo per influenzare i risultati elettorali. La legge è stata violata in tutti i suoi aspetti centrali: sono state effettuate nuove assunzioni “politiche”, e forniti sussidi mirati a disoccupati, studenti, agricoltori fino ai giorni immediatamente precedenti le elezioni. Molte compagnie private, che ricevono fondi pubblici, hanno poi deciso di “regalare” lavori pubblici (strade ecc.) durante la campagna elettorale: un modo per aggirare le norme, appoggiando di fatto la coalizione di governo.

Qual è stata la reazione del governo alle vostre denunce?

L’unica reazione dell’esecutivo è stata organizzare alcune conferenze stampa per negare ogni irregolarità evidenziata, e mettere in questione le modalità con cui siamo venuti in possesso delle informazioni sulle anomalie riscontrate.

Definirebbe le elezioni in Montenegro come “libere, ma non eque”?

Nemmeno libere, direi. In un paese in cui lo stato è il primo datore di lavoro, abbiamo registrato molti casi di pressioni sui dipendenti pubblici per votare per i partiti di maggioranza, oppure non recarsi affatto alle urne. Lo stesso può essere detto per le grandi compagnie controllate dagli oligarchi, e legate da interessi economici al potere. La pressione o il pagamento per “incentivare” probabili elettori anti-governativi a non votare è oggi la tecnica più efficace per limitare il supporto all’opposizione. Se si aggiunge il fatto che in Montenegro i servizi di sicurezza non sono mai cambiati dai tempi della Jugoslavia, il quadro è estremamente preoccupante. Anche perché le irregolarità nel processo elettorale sono estremamente difficili da provare.

Qual è il significato politico di queste elezioni?

Ci sono delle novità, soprattutto il fatto che la coalizione guidata da Milo Đukanović non ha più la maggioranza assoluta in parlamento. Questo è il primo segno della perdita di consenso del Partito democratico dei socialisti (DPS). Ora la palla è nel campo dei partiti di minoranza, che con tutta probabilità entreranno nella coalizione di governo. Un problema soprattutto per i partiti albanesi, che in campagna elettorale hanno denunciato il mancato rispetto dei propri diritti di minoranza, e che ora si apprestano a fornire voti decisivi al governo che hanno così duramente attaccato fino a ieri.

La politica montenegrina è stata segnata negli ultimi decenni dalla frattura tra pro-indipendentisti e pro-serbi. Quanto pesa ancora questo fattore sui risultati elettorali?

Ancora parecchio, anche perché questa spaccatura viene utilizzata sapientemente, soprattutto dal governo. La creazione del Fronte Democratico, ma soprattutto di Pozitivna Crna Gora (PCG), rappresentano una novità. PCG è il primo movimento di opposizione chiaramente pro-indipendentista, e proprio per questo è riuscito a sottrarre voti dal DPS. Resta da vedere quanto il movimento, creato da pochi mesi, riuscirà a tener fede alle alte aspettative che ha creato in Montenegro.

Lei è stata la figura leader delle proteste di piazza che hanno scosso il Montenegro a inizio 2012. Cosa è rimasto di quello spirito? Cosa hanno cambiato quelle manifestazioni nel paese?

Quel movimento di protesta, credo, ha segnato la nascita in Montenegro di quella che potremmo definire “società civile”, l’unione di persone di orientamento politico diverso, ma consapevoli di avere problemi comuni, con la voglia di agire per trovare risposte. Sono le prime manifestazioni in cui la gente non è scesa in piazza su questioni legate alla statualità del Montenegro, ma per protestare contro criminalità organizzata e corruzione. Per la prima volta, i montenegrini hanno sperimentato che è davvero possibile mostrare pubblicamente dissenso. Ecco perché il governo ne ha avuto tanta paura.

Ha mai pensato di entrare personalmente in politica?

No, mai. Non credo che la politica sia la risposta ad ogni problema. Chiunque vada al governo, c’è bisogno di chi possa controllare il potere, e pretendere responsabilità nel caso di abusi. Credo di riuscire meglio a dare un contributo alla società montenegrina in questo ruolo.

Come è cambiata l’attività di MANS dalla sua creazione, nel 2000? Da chi viene finanziata l’organizzazione?

MANS è cresciuta e si è sviluppata in fretta. Oggi con noi lavorano 34 persone a tempo pieno, più 15 par-time. Questo ci permette di concentrarci su più questioni, come la criminalità organizzata, che inizialmente non era tra i nostri focus. Al tempo stesso, nel corso degli anni abbiamo guadagnato la fiducia di una fetta crescente dei montenegrini, che ci coinvolgono sempre più spesso con le loro denunce e segnalazioni. MANS è finanziata da finanziatori stranieri, soprattutto Commissione europea, rappresentanza dell’UE in Montenegro, ambasciata americana, fondazioni private. Stiamo attenti a che nessuno dei finanziatori acquisti un ruolo dominante, ma soprattutto, stiamo attenti a non accettare finanziamenti da parte del governo…

MANS si occupa di un ampio ventaglio di problemi, dalla corruzione alle commesse pubbliche, dal conflitto di interessi all’abusivismo edilizio. Sono tutte manifestazioni dello stesso problema? Esiste una priorità nel combattere questi fenomeni?

Sì, tutte le questioni menzionate sono strettamente legate, e derivano fondamentalmente da due fonti: corruzione e rapporti tra il potere e la criminalità. Sulle priorità, queste sono cambiate varie volte negli anni, a seconda delle politiche del governo, e dei canali in cui in Montenegro vengono indirizzate le risorse finanziarie. A lungo la nostra attenzione si è concentrata sull’industria selvaggia delle costruzioni (e sul riciclaggio del denaro sporco a questa legato), oppure sulle privatizzazioni effettuate in assoluta mancanza di trasparenza. Oggi, con la crisi economica, hanno assunto maggiore importanza le gare d’appalto pubbliche, e i fenomeni di corruzione che le accompagnano, perché è qui che ora transitano i flussi di denaro più ingenti. Altrettanto centrale e controverso è il settore energetico.

In Montenegro accanto ad una tradizione problematica per la libertà dei giornalisti, oggi assistiamo ad una situazione in cui i media più influenti sono orientati contro il governo…

Sì, è sicuramente una condizione inusuale, come è inusuale il fatto che la carta stampata in Montenegro sia oggi più influente dei media elettronici. I media giocano un ruolo importante, e non è un caso che gli attacchi più duri del governo, invece che concentrarsi contro l’opposizione politica, puntano ai media indipendenti e a MANS. Importante ma, devo aggiungere, non decisivo: avere contro buona parte dell’informazione che conta non ha scardinato il sistema su cui basa il proprio potere l’élite incardinata intorno alla figura di Đukanović.

Qual è il ruolo giocato oggi dall’Unione europea negli sviluppi politici in Montenegro?

L’UE ha un ruolo positivo, e fornisce quella pressione indispensabile per spingere la classe politica a implementare processi di riforma e cambiamento. Il governo montenegrino, però, troppo spesso non viene messo di fronte alle proprie responsabilità. Questo accade perché Bruxelles guarda a Podgorica in un contesto regionale molto problematico (Bosnia, Serbia, Macedonia), in cui il Montenegro rappresenta attualmente l’unica possibile “success story” per il processo di allargamento. Per cambiare ci vuole tempo, ma con l’attuale grave situazione economica, abbiamo assoluto bisogno di un’accelerata, che da Bruxelles non sembra arrivare. Ecco perché, a mio modo di vedere, il supporto all’UE, solo nell’ultimo anno, è sceso dal 70 al 60%.

Cosa dovrebbe fare l’UE per avere un impatto maggiore e più efficace?

Innanzitutto dare segnali chiari e coerenti, soprattutto nei propri giudizi sull’operato del governo. Le indicazioni che vengono da Bruxelles sono talvolta contraddittorie, di fronte ad una coerente mancanza di volontà politica di affrontare temi come la corruzione agli alti livelli dell’amministrazione e la lotta contro la criminalità organizzata. Per fare alcuni esempi, il ministro della Giustizia uscente è l’ex capo dei servizi di sicurezza, mentre l’attuale capo della polizia è stato in passato responsabile dello sport, senza avere alcuna competenza nel settore. Nomine di questo tipo esemplificano in modo lampante cosa non funziona nel nostro sistema. Ecco perché alcune decisioni fondamentalmente politiche, come quella della Commissione di dare al “Progress report” del Montenegro, pubblicato pochi giorni prima delle elezioni, un tono fondamentalmente positivo, senza evidenziare a sufficienza le perduranti lacune, lasciano abbastanza perplessi.

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