Montenegro: un governo sotto ricatto

Il Montenegro è scosso da una nuova e seria crisi politica e istituzionale, dove giocano un ruolo chiave i rapporti tra i vari partiti di governo e opposizione, i rapporti tra i leader politici in seno alla maggioranza, le influenze esterne, sia provenienti dalla regione che dei grandi attori internazionali

22/06/2021, Željko Pantelić -

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© Lightspring/Shutterstock

Per capire la nuova crisi politica in Montenegro si deve tenere conto di quattro livelli di rapporti che si incrociano e creano, a prima vista, una confusione pressoché totale sul palcoscenico dell’ex repubblica jugoslava.

Al primo livello troviamo i rapporti personali tra i leader della coalizione di maggioranza, al secondo vi sono le relazioni tra i partiti montenegrini, poi arriva il contesto regionale in cui ruoli di rilievo sono giocati da Belgrado, Sarajevo e anche Tirana e alla fine si approda alla scena globale in cui la Russia e la Cina hanno interessi non trascurabili nella regione balcanico-adriatica.

La coalizione “Per il futuro migliore del Montenegro” (Za bolju budućnost Crne Gore), la maggiore forza parlamentare che ha votato la fiducia al governo del premier Zdravko Krivokapić, è composta dal Fronte democratico (Demokratski front) – che a sua volta comprende tre partiti diversi, uno serbo-montenegrino nazionalista (Nova), uno con forti legami con la Russia (Demokratska narodna partita) e uno montenegrino sovranista e filotrumpiano (Pokret za promjene) – il Partito popolare socialista (SNP), Montenegro vero (Prava Crna Gora), Montenegro unito (Ujedinjena Crna Gora) e il Partito dei lavoratori (Radnička partija). Quindi, parliamo di sette partiti diversi.

L’altra componente della maggioranza governativa, la coalizione “La pace è la nostra nazione”(Mir je naša nacija) ha due soggetti politici: i Democratici (Demokrate) e Demos dell’ex ambasciatore jugoslavo a Roma Miodrag Lekić. Il terzo azionista del governo è la coalizione “Nero su bianco” (Crno na bijelo) che raccoglie il movimento URA e diverse organizzazioni di società civile.

Dunque nella maggioranza abbiamo tre coalizioni e dieci partiti che dispongono di un solo voto i più rispetto all’opposizione. E per questo ogni partito e deputato sono fondamentali per la sopravvivenza dell’esecutivo e tutti possono “ricattare” il governo di Krivokapić.

La gran parte dei leader dei partiti della coalizione “Per il futuro migliore del Montenegro” e “La pace è la nostra nazione” sono cresciuti nel SNP e nel Partito popolare, che ormai non esiste più. Le scissioni sono state il frutto di diverse visioni sul futuro del Montenegro e di animosità personali. È stata la necessità di sconfiggere il Partito democratico dei socialisti (DPS) del presidente Milo Đukanović a rimettere insieme i leader che da tempo, per usare un eufemismo, non si vedono di buon occhio e parlano male gli uni degli altri. Certo, anche la mediazione del defunto metropolita Amfilohije, nel mettere tutte le anime anti-regime insieme, ha contribuito all’alleanza che ha fatto cadere il più longevo regime europeo.

Poi però, con la scomparsa di Amfilohije e la formazione del governo, tutti i dissapori tra i leader della maggioranza sono usciti allo scoperto ed è stato alimentato un giudizio negativo, quasi unanime, sulla figura e l’operato del primo ministro Krivokapić. Il Fronte democratico si sente raggirato, perché nonostante la vittoria elettorale, i loro leader sono fuori dal potere esecutivo. Andrija Mandić (Nova), Milan Knežević (DNP) e Nebojša Medojević non nascondono la frustrazione per non aver ottenuto le nomine ministeriali che pregustavano nella notte elettorale del tra 30 e 31 agosto quando era chiaro che la coalizione di Đukanović aveva perso le elezioni.

Il trio dei leader storici dell’opposizione teme di essere scavalcato dai nuovi nomi della politica montenegrina, dal presidente del parlamento Aleksa Bečić al vicepremier Dritan Abazović e persino dal deputato Marko Milačić. Allo stesso tempo si sentono ingabbiati perché sono consapevoli che senza Krivokapić alla guida del governo, il presidente montenegrino Đukanović tornerebbe ad avere un ruolo centrale, sia per quanto riguarda l’eventuale incarico ad un nuovo premier a formare il governo, sia per scegliere la data delle elezioni anticipate.

Dall’altra parte il DPS che ha governato per 30 anni il paese sta diventando sempre più aggressivo, usando tutte le risorse a disposizione per fermare i cambiamenti e le riforme che sono necessarie per riprendere la corsa verso l’UE, che si era fermata completamente durante il governo guidato dal DPS con l’ex primo ministro Dušan Marković.

Đukanović e il suo entourage controllano ancora direttamente o indirettamente le procure e i tribunali in Montenegro, la TV nazionale, buona parte della polizia e hanno ovunque i loro uomini nell’amministrazione pubblica.

Il problema è che ogni mese che passa il potere di Đukanović inizia a logorarsi sempre di più il che li rende assolutamente imprevedibili e pericolosi per la stabilità del paese. Non è da escludere che Đukanović nel momento in cui si renderà conto di poter perdere ogni paracadute di protezione, scateni la rivolta usando non solo la rivalità tra i montenegrini e serbo-montenegrini, ma anche le animosità radicate tra le minoranze (albanesi, croati, bosgnacchi, ecc.) e i montenegrini che si dichiarano serbi.

Il presidente del Montenegro e i suoi collaboratori hanno preso di mira in modo particolare i Democratici e URA, perché i due partiti rompono lo schema creato in passato: il DPS ed i suoi alleati sono pro europei, tutti gli altri sono filo russi e anti occidentali. Per il DPS i nazionalisti serbo-montenegrini, rappresentati dal Fronte democratico, erano i rivali perfetti visto che nessuno in Europa o nel mondo occidentale poteva appoggiarli. Per i Democratici e URA invece non è così, visto che sono su posizioni fortemente europeiste.

Si potrebbe usare il verso della poema “Pensando del nemico” di J.P. White,“Il nostro nemico è diventato il nostro capolavoro”, per spiegare perché il DPS e Đukanović preferivano il Fronte democratico e perché cercano, con l’aiuto di Belgrado, di ristabilire la divisione, etichettando i Democratici e URA come traditori.

I Democratici di Bečić, invece, sono una speranza per i cittadini montenegrini che si sentono serbi o filo serbi e vogliono far parte del mondo occidentale ma non come cittadini di secondo rango e non sono pronti a prendere lezioni dagli altri, specialmente dai vicini che si credono superiori. Osteggiano allo stesso modo Đukanović e i nazionalisti serbo-montenegrini.

Non si può trascurare nemmeno il fattore esterno regionale. Belgrado da anni sta portando avanti una propaganda in cui si rappresenta Aleksandar Vučić non solo come il presidente della Serbia ma di tutti i serbi e pretende che tutti i leader dei partiti politici serbi o filoserbi nella ex Jugoslavia seguano la linea politica dettata da Vučić, soprattutto in Montenegro e in Bosnia Erzegovina.

È molto indicativo che il presidente della Serbia sottolinei in ogni occasione la sua preoccupazione per i diritti e la posizione dei serbi in Montenegro, mentre i media sotto il suo controllo danno grande spazio ai leader del Fronte democratico. I tabloid serbi, che sono la longa manus del regime di Vučić, hanno scatenato una campagna denigratoria nei confronti di Bečić e Krivokapić, indicandoli come i responsabili della risoluzione parlamentare con cui si condanna il genocidio di Srebrenica e accusandoli di aver addossato ai serbi l’etichetta di popolo genocida. Il ministro dell’Interno serbo Aleksandar Vulin si è spinto così lontano da proporre pubblicamente che venga vietato l’ingresso in Serbia a tutti quelli che hanno votato per la risoluzione.

È curioso che il presidente Đukanović e Vučić condividano alcuni consiglieri e amici, ovvero le stesse persone che guidano o sostengono le campagne mediatiche dei due presidenti, il che desta più di un sospetto e perplessità. La matrice degli attacchi da parte del DPS a URA e le accuse di tradimento del Montenegro sono quasi uguali a quelle che arrivano da Belgrado sul conto dei Democratici di Bečić.

A dire la verità non si sta intromettendo solo la Serbia negli affari montenegrini. Anche la parte bosgnacca della Bosnia Erzegovina partecipa in maniera molto attiva nella disputa montenegrina. Sarajevo appoggia incondizionatamente Đukanović visto che i rappresentanti della minoranza bosgnacca in Montenegro hanno fatto parte di tutti i governi del DPS.

L’élite politica e intellettuale dei bosgnacchi a Sarajevo per anni ha citato il Montenegro come esempio da seguire nella costruzione di uno stato unitario in cui i bosgnacchi avrebbero il ruolo simile a quello dei montenegrini sovranisti fedeli a Đukanović. Il Partito dei bosgnacchi in Montenegro segue le istruzioni dell’SDA di Bakir Izetbegović esattamente come i loro colleghi del Fronte democratico ascoltano Vučić.

Alla fine arriviamo alla Russia e la Cina che hanno interesse di creare e mantenere l’instabilità del Montenegro. La politica di Mosca in Europa si basa sulla creazione di scontri interni nei paesi membri della NATO o sull’alimentazione di instabilità. Al Cremlino è valida ancora la premessa: solo un’Europa debole e disunita non è una minaccia per la Russia.

Il lavoro dei russi è facilitato in Montenegro grazie a una inclinazione tradizionale filorussa di una parte della popolazione e grazie ad alcuni politici che hanno forti legami con Mosca: non solo nel Fronte democratico, ma anche nel DPS.

La posizione cinese è molto più opaca rispetto a quella russa e l’influenza di Pechino sembra che sia trasversale nel panorama politico montenegrino. Il regime di Xi Jinping sta a guardare una Podgorica che rischia di cadere nella trappola del debito tesa dai cinesi con il finanziamento dell’autostrada Bar-Boljari in attesa che i pezzi pregiati del Montenegro finiscano nelle loro mani, come pegno per non aver rispettato le scadenze del pagamento del credito.

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