Montenegro: rafforzare le relazioni transnazionali attraverso la cooperazione territoriale

Il sostegno preadesione dell’UE ai Balcani occidentali comprende una componente di cooperazione transnazionale e transfrontaliera, che contribuisce a creare reti di professionisti tra i paesi candidati all’adesione all’UE e gli Stati membri. Un’intervista

30/09/2025, Serena Epis

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Tuzi, Montenegro, © Predrag Jankovic/ Shutterstock

Nell’ambito del processo di adesione all’Unione Europea, i paesi dei Balcani occidentali ricevono sostegno finanziario e tecnico attraverso lo Strumento di assistenza preadesione (IPA), che li supporta nell’allineamento agli standard dell’UE. 

Lo strumento di preadesione promuove inoltre la cooperazione regionale finanziando progetti transfrontalieri e transnazionali, rafforzando le capacità e favorendo lo scambio di conoscenze tra i paesi candidati e gli Stati membri dell’UE.

Sebbene la partecipazione ai progetti Interreg possa essere impegnativa dal punto di vista finanziario e amministrativo per le organizzazioni della società civile, non c’è dubbio che questi progetti contribuiscano a costruire relazioni durature tra i professionisti di tutta la macroregione Adriatico-Ionica, favorendo la fiducia reciproca e facilitando lo scambio di competenze operative.

Abbiamo intervistato Amra Pepic, ex responsabile di progetto presso l’organizzazione Development Vranj in Montenegro, la quale vanta una decennale esperienza nella realizzazione di progetti di cooperazione territoriale.

Per cominciare, qual è la sua esperienza con i progetti Interreg?

Lavoro con i progetti Interreg da più di 10 anni. Ricordo ancora il mio primo progetto, incentrato sulla protezione ecologica del fiume Cemi, uno dei più grandi fiumi del Montenegro. Fin dall’inizio ho capito che questo sarebbe stato un campo interessante per crescere professionalmente e acquisire nuove esperienze collaborando con partner internazionali.

La cooperazione più forte è stata quella con i partner albanesi e italiani. Ho iniziato con progetti bilaterali e successivamente sono passata ai progetti ADRION nell’Adriatico meridionale. Il mio lavoro più recente è stato su un progetto EUROMED, per il quale ho redatto una proposta guidata dal Comune di Tuzi.

Per quanto riguarda la mia esperienza, posso davvero dire di aver attraversato diverse fasi ed è stata un’esperienza fantastica.

Qual è secondo lei il principale valore aggiunto della cooperazione transnazionale nella regione Adriatico-Ionica?

I progetti Interreg avvicinano davvero le persone. Ogni opportunità organizzata nell’ambito di un progetto specifico può diventare la base per iniziative future e contribuire a costruire una cooperazione fruttuosa e duratura. Nel nostro contesto, tutti conoscono tutti, quindi quando conosci qualcuno che fa un buon lavoro ed è responsabile, sai esattamente chi chiamare quando decidi di candidarti per un nuovo progetto.

Il partenariato che ho costruito durante il mio ultimo progetto EUROMED, ad esempio, è il risultato di molti anni di cooperazione, soprattutto con i partner italiani, molti dei quali ora considero amici. Questo dimostra quanto sia importante conoscersi, perché relazioni solide spesso portano a nuove opportunità.

Pensa che queste collaborazioni e relazioni che mettono in contatto professionisti di diversi paesi possano avere un impatto sul processo di integrazione dell’UE?

Posso fare un esempio tratto dalle attività del progetto GREEN , finanziato dal programma Interreg IPA South Adriatic 2021-2027 e incentrato sulla creazione di comunità energetiche.

Fino a pochi anni fa, il Montenegro non aveva nemmeno una legge sulle società di servizi energetici (ESCO), ovvero le aziende che forniscono un’ampia gamma di servizi di efficienza energetica.

Durante una delle riunioni del progetto, ho invitato i tecnici di FederESCO, una delle società di servizi energetici più attive in Italia, affinché i partner montenegrini potessero ascoltare direttamente la loro esperienza e valutare la possibilità di replicarla nel loro Paese.

Avere un quadro giuridico è importante, ma non è sufficiente. È altrettanto importante esporre le persone alle buone pratiche e far loro vedere come funzionano le cose in altri Paesi, perché è impossibile capire veramente cosa sia una ESCO e come funzioni semplicemente leggendo una legge.

Se si portano le persone a seguire una formazione e si dà loro l’opportunità di discutere direttamente con i direttori di tali società, esse acquisiscono un’idea molto più chiara. Potrebbero iniziare a pensare: “Mi piacerebbe avere questa opportunità  nel mio Paese. Esiste un quadro normativo che mi permette di farlo?” In caso negativo, possono sfruttare le loro connessioni per sostenere l’adozione delle leggi necessarie.

In generale, direi che il semplice fatto di avere il quadro normativo non è sufficiente per integrare un Paese nelle politiche dell’UE, né per incorporare le politiche dell’UE nel contesto montenegrino. La comunicazione diretta tra le parti interessate è essenziale per ispirare idee e mostrare come queste pratiche possano essere attuate attraverso le politiche nazionali.

Ha riscontrato difficoltà nella collaborazione dovute al fatto che il Montenegro è ancora in fase di adesione all’UE?

Nel campo dell’energia e dei cambiamenti climatici, ad esempio, esistono molti programmi e iniziative interessanti dell’UE, ma per i cittadini del Montenegro queste opportunità sono spesso limitate. Mi riferisco al pacchetto climatico dell’UE e al Green Deal europeo. In quel contesto, ho davvero capito cosa significa far parte dell’UE, perché per alcune attività, in particolare i progetti infrastrutturali, che sono di enorme importanza per noi, semplicemente non si hanno i mezzi per partecipare pienamente se non si è membri dell’UE. Questa esperienza mi ha dato un senso molto tangibile della differenza tra esserne parte ed esserne fuori.

Naturalmente, questa non è l’unica sfida. In quanto paese candidato, il Montenegro riceve fondi di preadesione (IPA), ma non li sfrutta in modo del tutto efficiente. Spesso non abbiamo la capacità di gestire questi fondi in modo efficace, perché gli stipendi nella pubblica amministrazione sono bassi rispetto alla complessità e alla responsabilità che l’attuazione dei progetti europei comporta. Di conseguenza, molti professionisti qualificati lasciano la pubblica amministrazione e cercano di avviare attività in proprio.

In sostanza, per me il problema non è solo che alcune opportunità non sono disponibili per noi, ma anche che attualmente non siamo in grado di sfruttare appieno i fondi che sono già a nostra disposizione.

 

Questo articolo è stato scritto nell’ambito del progetto "Il contributo delle Comunità di Pratica per l’integrazione europea dei Balcani”, realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni contenute nella presente pubblicazione sono espressione degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. 

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