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Sono giunte anche da ambienti militari reazioni alla vicenda di Cakor, in cui un boscaiolo di 20 anni è rimasto ucciso e il suo compagno gravemente ferito. Il quotidiano montenegrino DAN del 30 agosto scorso ha riportato le dichiarazioni del Generale Maggiore Momcilo Radevic, aiuto comandante della Seconda Armata dell’Esercito jugoslavo. Durante una pubblica assemblea tenutasi nel villaggio di Ubli, Radevic ha dichiarato ai 400 partecipanti che "nei pressi di Plav e Gusinj si combatte contro i t[]isti ogni giorno", ma ha anche precisato che l’incidente avvenuto il 24 agosto a Cakor è dovuto ad una rapina e non ha nulla a che vedere con attività t[]istiche. Per cui, secondo la dichiarazione di Radevic, nella zona che non viene chiamata frontiera ma bensì "linea amministrativa" tra Kosovo e Montenegro, i casi di incidenti tra l’Esercito Jugoslavo e i cosiddetti t[]isti albanesi sarebbero all’ordine del giorno. Radevic però è stato immediatamente smentito l’indomani – 31 agosto – dal portavoce dei Servizi di Informazione del Comando della Seconda Armata dell’Esercito Jugoslavo, il quale ha dichiarato che "non esistono indizi circa la presenza di gruppi t[]istici nella zona della linea amministrativa col Kosovo, nei pressi di Plav e Gusinj". Il dibattito rimane comunque aperto, visto anche il rifiuto dei membri del MUP (Ministero degli Interni) a fornire qualsiasi altra informazione ai giornalisti di Vrijeme che hanno scritto della vicenda sul numero uscito il 31 agosto.
La smentita ufficiale del Comando militare viene riportata anche dal quotidiano Dan in un brevissimo articolo del 31 agosto, mentre invece viene dedicato un ampio spazio alla polemica riguardante la possibilità che venga eliminato il punto di controllo – situato a Karaula – alla "frontiera" col Kosovo. La questione pare preoccupare in particolar modo i cittadini della zona, che hanno inscenato una protesta contro lo smantellamento del punto di controllo, perché questo li diminuirebbe il livello di sicurezza dei residenti nell’area circostante esponendoli agli attacchi dei "t[]isti". La questione relativa alla presunta poca sicurezza dei punti di frontiera, ha avuto una certa eco anche in ambienti politici. Secondo quanto ha riportato il 30 agosto il quotidiano Danas, il presidente del Montenegro Milo Djukanovic si è incontrato il giorno precedente con il presidente dell’Unione democratica albanese – Fuad Nimani – e col presidente del Partito popolare serbo (SNS) Bozidar Bojovic, Da quanto è stato riportato dal gabinetto del DPS (partito di Djukanovic) i partecipanti all’incontro hanno riconosciuto la necessità di intensificare il dialogo tra tutti i soggetti politici del Montenegro, nell’ottica del mantenimento della stabilità interna e quindi perseguendo accordi multietnici che coinvolga tutta la repubblica montenegrina. Nimani ha voluto anche rispondere alle precedenti dichiarazioni di Dragan Koprivica – portavoce del Partito Socialista Popolare SNP – secondo il quale il Montenegro potrebbe rischiare lo stesso destino della Macedonia, asserendo che "spaventarsi di 42.000 albanesi, quanti sono appunto in Montenegro, è assurdo". Sempre riferendosi a Koprivica, ha inoltre ribadito che dietro ad affermazioni come le sue si cela l’intenzione di creare nella comunità internazionale l’impressione che in Montenegro esiste già una "situazione difficile", e che quindi organizzare il referendum abbia perso di senso.