Montenegro, media nel deserto

Una volontà distruttiva, che si accanisce contro chiunque osi criticare il potere. E’ un quadro desolante quello denunciato in un suo editoriale dalla caporedattrice del settimanale montenegrino Monitor. Un’accusa diretta contro il potere e i tentativi dello stesso di imbavagliare i media indipendenti

08/05/2015, Milka Tadić Mijović - Podgorica

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Milka Tadić-Mijović

(Originariamente pubblicato dal quotidiano Vijesti , il 13 aprile 2015, titolo originale Uzalud nam se sude )

La derattizzazione si sta intensificando. L’ultimo episodio consiste nel blocco dei conti correnti: prima quello del settimanale Monitor, contro cui bisognava vendicarsi per danni psicologici subiti dalla sorella del primo ministro, e poco dopo anche quello di TV Vijesti, penalizzata per non aver adempiuto ai suoi obblighi verso lo stato.

E di media che non tocca nessuno, nonostante abbiano grandi debiti, ve ne sono a decine. Alcuni di loro addirittura ricevono somme sostanziose dal bilancio statale, per lo più nella forma di aiuti illegali. Negli ultimi anni, solo al quotidiano Pobjeda sono stati versati, in modo non conforme alla legge, decine di milioni di euro – ovviamente sottratti ai contribuenti – come ricompensa per aver glorificato il padrone, chiudendo un occhio sugli abusi del potere che stanno seriamente danneggiando questo paese.

Nella guerra intrapresa dal regime contro i media che non si lasciano domare, bisogna essere pronti a tutto.

A dirigere la campagna contro Vijesti e Monitor è Milo Đukanović in persona, mentre gli altri non fanno altro che ravvivare il fuoco ad ogni suo cenno. Il primo ministro ha annunciato la nostra estinzione ormai diversi anni fa, con la testa girata a destra e le sopracciglia sollevate, dimostrando lo stesso entusiasmo per la guerra contro i nemici interni evidenziata quando si apprestava ad assalire la bandiera croata e la città di Dubrovnik.

Đukanović si è persino permesso di sollecitare direttamente l’arresto di Miodrag Perović (fondatore di Monitor e Vijesti). È vero che nei Balcani è successo di tutto negli ultimi decenni, ma l’unica a parlare così apertamente dell’arresto degli oppositori fu Mirjana Marković. Persino Milošević e Tuđman si esprimevano con più cautela, valutando attentamente le proprie parole anche nei momenti più intensi del conflitto con Feral Tribune, Danas, Telegraf. Il loro erede montenegrino (il nostro padre-padrone) invece, mentre avanza verso l’Ue e la Nato, sta diventando sempre più incauto, completamente accecato dal potere.

Nonostante non sia ancora riuscito a mettere in prigione il fondatore di Monitor e Vijesti, Đukanović sta cercando di fare il possibile per dimostrare la propria potenza, riuscendo, tra l’altro, a far sì che la sorella di Perović fosse processata per fatti di cui nessun bancario in Montenegro è stato finora incriminato. Come in una classica dittatura, colui che si permette di toccare il ”Dio” verrà attaccato nei punti più deboli, e se non si ha niente per poter incriminare lui, o sua sorella, i suoi figli o genitori, basta inventarselo. Quindi, pensateci bene.

La macchina propagandistica del regime sta preparando la distruzione di Monitor e Vijesti ormai da parecchio tempo. Basti pensare a tutte le prime pagine con i titoli che annunciano la sconfitta della mafia mediatica; a tutti i reality della TV Pink interrotti con notizie sensazionalistiche su Željko, Miško, Milka, Bosa; a tutte le macchine incendiate, persone aggredite, bombe esplose; a tutte le sentenze di condanna e di risarcimento danni emesse a favore di familiari ed amici dei potenti.

Ma nonostante tutto ciò, siamo ancora in piedi e non dimostriamo segni di scoraggiamento. Al contrario.

Se questo fosse un paese normale dove vigono i principi di giustizia, né TV Vijesti avrebbe avuto problemi con il fisco né il settimanale Monitor sarebbe stato penalizzato. TV Vijesti, l’emittente televisiva più seguita in Montenegro, avrebbe potuto operare in modo sostenibile, in grado di pagare le proprie tasse, se il primo ministro non avesse deciso di intraprendere una campagna ”derattizzante”. Col suo procedere, che includeva pressioni su inserzionisti pubblicitari ed altri partner di Vijesti, le entrate che questo media ricavava dal marketing sono andate significativamente diminuendo. Secondo le stime di alcuni partner internazionali, TV Vijesti ha perso diversi milioni di euro solo per il tempo fatto passare per l’assegnazione di una frequenza.

In Montenegro non esiste un libero mercato mediatico, esiste solo un’unica sfera del business dove per ogni piccolo segno di apertura verso i nemici del padrone si rischiano problemi grossi. Secondo una ricerca condotta dal Centro di educazione civica, più del 90 per cento degli annunci pubblicitari delle istituzioni statali viene destinato ai media che simpatizzano per l’attuale potere.

In un paese normale, ad essere processati non sarebbero stati i media come Monitor, ma piuttosto le persone implicate in privatizzazioni poco trasparenti, come lo è la sorella del primo ministro, il cui coinvolgimento nello scandalo Telecom non è stato rivelato dai media indipendenti bensì dalle autorità giudiziarie americane.

Il fatto che in Montenegro la giustizia sia selettiva, non è una novità. Qui persino un ricercato dall’Interpol, se vicino al capo dello stato, può diventare un investitore rispettabile. Coloro che invece stanno dall’altra parte, cercando di svelare tali legami controversi, vengono ritenuti pericolosi per lo stato. Ed è vero: Monitor, Vijesti e Miodrag Perović sono pericolosi per un Montenegro come quello di oggi e, indubbiamente, per il suo padrone.

Per quanto intoccabile possa sembrare l’attuale establishment politico, ogni singola storia sugli abusi di potere contribuisce all’indebolimento delle fondamenta del suo regime autocratico e la nostra ostinazione nel voler sopravvivere in circostanze impossibili aumenta le sue paure. Possono incriminarci quanto vogliono, ma alla fine a trovarsi nei panni dell’accusato saranno coloro che hanno trasformato questo paese in un deserto.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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