Montenegro: l’aborto e i discorsi d’odio sessista
In Montenegro una recente trasmissione tv ha riattualizzato il tema dell’aborto, dividendo fortemente l’opinione pubblica. Un gruppo di attiviste femministe ha organizzato una manifestazione di protesta, puntando il dito in particolare sull’ingerenza della Chiesa ortodossa nelle questioni di genere
(Originariamente pubblicato sul portale CIN-CG , il 6 giugno 2022)
Una delle prime donne della storia dell’Europa moderna a partecipare alla vita politica del paese che amava, lottando per una trasformazione rivoluzionaria di quel paese, pagò con la vita il suo impegno audace ed eroico. Olympe de Gouges, autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, che puntò il dito contro una concezione gretta dell’universalismo alla base del motto ‘libertà, uguaglianza, fraternità’, fu ghigliottinata, tra l’altro , perché aveva “dimenticato il posto che le spettava per natura ”. A quel tempo il posto che, “per natura”, spettava alle donne fu determinato dall’anatomia, ossia dalle ovaie e dall’utero di cui i padroni, con l’aiuto di Dio, si appropriavano nell’oscurità della sfera privata da cui le donne, “naturalmente”, non potevano staccarsi. Nessun uomo rivoluzionario – salvo poche lodevoli eccezioni (tra cui Condorcet e J. S. Mill) – avrebbe mai, nemmeno in un milione di anni, alzato la voce per primo contro quella schiavitù domestica, né tanto meno lo avrebbe fatto la Chiesa che, senza mai provare una sola briciola di rimorso, aveva messo in atto l’apoteosi virtuosa del patriarcato.
Quindi, quando parliamo di discorsi d’odio basati sul genere e di discorsi misogini portati avanti in spregio dei diritti umani – discorsi che caratterizzano gli attuali dibattiti e soliloqui sul diritto di disporre liberamente del proprio corpo, compreso il diritto all’aborto – non dobbiamo stupirci se sono proprio i dignitari ecclesiastici ad essere i principali promotori di tale linguaggio sui mezzi di informazione, insieme ovviamente ai commentatori anonimi che scrivono su vari portali e sui social.
L’obiettivo della prima ondata femminista era assai semplice, ma senz’altro molto impegnativo e difficile da realizzare: dimostrare che le donne sono esseri umani, e non proprietà dell’uomo o una risorsa da sfruttare, e rendere tale principio universalmente accettato. Sembra però che a tutt’oggi questo obiettivo non sia ancora stato pienamente raggiunto. Lo dimostrano le accese polemiche su chi e quando può e deve decidere del corpo delle donne. A lungo relegate alla funzione di riproduzione biologica e sociale, le donne hanno conquistato il diritto di disporre del proprio corpo solo un centinaio di anni fa, e oggi questo diritto, nella maggior parte dei paesi, è sancito e tutelato dalla legge. Non si tratta però di un diritto assoluto, acquisito una volta per tutte, come dimostrano chiaramente alcuni episodi recentemente accaduti negli Stati Uniti e in Croazia, ma anche le costanti restrizioni del diritto all’aborto in Polonia.
Nella Jugoslavia socialista l’aborto venne parzialmente depenalizzato nel 1951. Qualche anno più tardi, nel 1960, tra i motivi legittimi per l’interruzione di gravidanze furono incluse anche “gravi situazioni personali, familiari o economiche”. Infine, la Costituzione del 1974 sancì l’idea della donna come “padrona del proprio corpo”, riconoscendo il diritto di scegliere liberamente se far nascere o meno un figlio e prevedendo che tale diritto potesse essere limitato solo per motivi legati alla tutela della salute (articolo 191).
La dissoluzione della Jugoslavia, che andò di pari passo con un processo di ritradizionalizzazione e ripatriarcalizzazione dei neonati paesi sorti sul territorio ex jugoslavo, “resuscitò” la questione del diritto delle donne di disporre del proprio corpo. Nel tentativo di ridurre il numero degli aborti, le politiche demografiche concepite in chiave nazionalista – e facilitate da un clima di panico morale legato alla cosiddetta “peste bianca”, alimentato da alcuni esponenti del clero ogniqualvolta lo ritenessero necessario per soddisfare i propri interessi – hanno portato al riconoscimento e alla tutela giuridica del diritto all’obiezione di coscienza, che oggi viene esercitato da oltre la metà dei medici in Croazia, contribuendo anche a rendere più complicata la procedura di interruzione volontaria di gravidanza in alcuni paesi, come ad esempio in Macedonia del Nord. La maternità viene considerata un dovere a cui ogni donna deve adempiere, mentre le donne che hanno abortito vengono definite “assassine” e “infanticide”. Questo discorso è stato portato avanti con grande ardore da alcuni dignitari ecclesiastici, tra cui i due patriarchi serbi, Pavle e Irinej, e il metropolita montenegrino Amfilohije [tutti e tre ormai deceduti, ndt].
“Ogni aborto-infanticidio equivale non solo all’omicidio, ma anche al cristicidio e al deicidio. Non è quindi un caso che l’infanticidio sia stato depenalizzato proprio nell’era dell’ateizzazione della vita umana […] Per cui non c’è da stupirsi se in quel periodo la festa della madre è stata sostituita dalla festa della ‘donna’ – la Giornata della donna, una cosa del tutto insignificante”, ha affermato il metropolita Amfilohije nel suo messaggio natalizio del 2018.
Già nel 2017, durante una cerimonia liturgica nel monastero del Patriarcato di Peć/Pejë, Amfilohije aveva definito le donne serbe “infanticide“, accusandole di essere inclini a uccidere. “Loro ogni anno uccidono più bambini, ancora nel grembo, di quanti ne abbiano uccisi Mussolini, Hitler, Broz e questi qua in Kosovo e Metohija. E poi pretendete che, come popolo, otteniamo la benedizione di Dio“.
Sulla questione era intervenuto anche il patriarca serbo Irinej. “Dobbiamo far rinascere il nostro popolo e spiegare alle nostre madri che è loro dovere far nascere figli con la benedizione di Dio, così da poter garantire la sopravvivenza di un popolo perseguitato“, aveva affermato Irinej durante una presentazione del libro Zatiranje Srba u BiH u XX veku [L’annientamento dei serbi in BiH nel XX secolo] e dell’omonimo film tenutasi nel 2017.
Secondo questa logica, la donna, osservata al di fuori del suo ruolo di madre, è qualcosa di pre-umano o, come diceva Amfilohije, “insignificante“. Solo la maternità può conferire ad una donna “insignificante“ il carattere umano e una personalità. Una donna incompleta, incompiuta, non ancora pienamente umana può redimersi e ripagare il debito di gratitudine verso chi le ha conferito una prospettiva di dignità umana solo procreando, perché – come ha sottolineato Irinej – questo è il compito delle donne: dare figli alla nazione, dare figli allo stato, “per garantire la sopravvivenza di un popolo perseguitato“.
In quest’ottica anche i rapporti sessuali senza fini procreativi, soprattutto tra persone dello stesso sesso, vengono percepiti come una cosa negativa, un male che Amfilohije, commentando l’approvazione della legge sulle unioni omosessuali in Montenegro nel 2020, aveva equiparato all’infanticidio.
“Tuttavia, non solo la Chiesa cristiana, l’Islam e l’Ebraismo, ma anche l’intera esperienza religiosa del mondo, dai tempi più antichi ad oggi, ha sempre percepito e continua a percepire tale esternazione egoista delle pulsioni sessuali come una forma di misantropia. Perché glorificare le capacità procreative dell’uomo in modo da privarle del loro significato originario, vedendo in esse il senso dell’esistenza umana, significa glorificare la morte e la vacuità, odiare l’uomo, la sua natura, la sua eterna essenza e dignità […] Questo vale tanto per l’omosessualità quanto per l’infanticidio (aborto), ossia per la tendenza a uccidere i bambini non ancora nati”.
C’è da aspettarsi che le comunità religiose continuino ad opporsi all’aborto come una scelta personale, ma è inaccettabile che cerchino di imporre e rendere universalmente accettata la propria concezione del mondo spingendo per modificare le leggi vigenti. Ed è proprio questo il loro obiettivo, come dimostra la reazione euforica del metropolita montenegrino Joanikije all’annuncio di un possibile annullamento della sentenza Roe vs Wade. A fargli eco è stato l’ex ministro dell’Economia Jakov Milatović, il quale, al termine di un incontro con il metropolita, ha parlato di gravi “problemi demografici“, sottolineando la necessità di “far ripartire la natalità“.
Qualche “incredulo Tommaso“ potrebbe chiedersi: perché l’aborto non può rimanere una scelta personale e morale, scelta con cui la persona che la compie deve fare i conti per il resto della sua vita? Perché rendere tutto più difficile adottando provvedimenti più restrittivi? Ai credenti, che costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione, non basta la posizione ufficiale della confessione religiosa a cui appartengono? Evidentemente no, perché, oltre a voler imporsi come arbitro supremo della morale di una società, i dignitari ecclesiastici cercano di rendere la propria concezione del mondo universalmente vincolante.
In quali situazioni risulta più facile e accettabile odiare le donne? Proprio in quelle situazioni in cui la donna si rifiuta, anche solo temporaneamente, di rinunciare al controllo e al potere di disporre del proprio corpo davanti a qualcuno o a qualcosa, sia che si tratti di un marito, una nazione o una comunità religiosa, quindi in quelle situazioni in cui la donna trasgredisce quell’imperativo categorico che la relega al suo “ruolo naturale“. Duecentotrent’anni fa una simile trasgressione costò la vita a Olympe de Gouges.
Non tutte le donne possono, vogliono o hanno l’opportunità di diventare madri. Questo però non le rende meno umane. Gli uomini senza prole – come metropoliti, vescovi, papi e patriarchi – sono meno umani perché non sono mai diventati padri? Come definire l’atteggiamento di una persona che, pur avendo scelto di non avere figli, è arrivata ad affermare che “la paternità e la maternità sono i due aspetti più importanti della sacralità della vita umana“ e che “la sacralità del matrimonio rappresenta il fulcro dell’eterna essenza dell’uomo e della ragione del suo essere“ (il riferimento è ad un’affermazione dell’ex metropolita Amfilohije del 2020)?
La tendenza dell’istituzione che gode di maggior fiducia dei cittadini montenegrini a incolpare le donne rende queste ultime un facile bersaglio di violenza di genere che dilaga sul web, in particolare su quei portali dove il sistema di moderazione dei commenti è inadeguato, se non addirittura inesistente. Lo dimostrano alcuni commenti ad un intervento di una deputata del parlamento montenegrino in merito alla partecipazione di un esponente del clero ad una trasmissione televisiva dedicata all’aborto. La maggior parte dei commenti alle esternazioni pubbliche della deputata in questione contiene insulti, minacce di violenza sessuale, linguaggio umiliante e denigratorio. Quindi, non dobbiamo stupirci della scarsa partecipazione delle donne alla politica e alla vita pubblica in generale: ancora oggi, le donne che osano abbandonare “il ruolo naturale“ che è stato loro conferito da un sistema patriarcale ormai divinizzato, sono vittime di odio e di violenza.
Contesto
Recentemente, una trasmissione televisiva mandata in onda dalla Radiotelevisione del Montenegro (RTCG) ha riportato in auge il tema dell’aborto, dividendo ancora una volta l’opinione pubblica montenegrina. A suscitare forti reazioni è bastato il solo l’annuncio della trasmissione, originariamente intitolata “Aborto – una questione di donne, di stato o di Chiesa“. Il titolo è poi stato cambiato, ben due volte, ma ciò non è bastato a dissuadere un gruppo di attiviste dall’organizzare una manifestazione di protesta, denunciando in particolare la propensione della Chiesa ortodossa serba a immischiarsi nelle politiche sociali e in quelle riguardanti la parità di genere. Alle proteste femministe hanno fatto seguito una valanga di commenti sessisti e misogini. [I.D.]