Minorenni alla sbarra
Rischiano dai 23 ai 58 anni. Sono minorenni e sono curdi. Attendono il giudizio a seguito della partecipazione a manifestazioni di protesta contro le autorità turche lo scorso otttobre. Il dibattito è aperto sul coinvolgimento di minorenni in manifestazioni politiche e sulle violazioni dei diritti dell’infanzia da parte di polizia e magistratura
Saranno processati con l’accusa di aver commesso un "reato a nome dell’organizzazione t[]istica PKK" gli oltre cento minorenni che si trovavano tra le prime file dei cortei durante le manifestazioni di protesta che si erano svolte per tre giorni in diverse città dell’est e del sudest anatolico lo scorso ottobre.
I procuratori hanno chiesto delle condanne che vanno dai 23 i 58 anni per il "reato" che consiste fondamentalmente nell’aver lanciato sassi alle forze dell’ordine.
L’ondanta di protesta era nata dopo la diffusione della notizia da parte del PKK che Abdullah Öcalan, loro leader incarcerato nell’isola di İmralı, fosse stato sottoposto a maltrattamenti. Così su incitamento del PKK, da Diyarbakır a Batman, da Hakkâri a Van, da Şanlıurfa a Mardin e Adana, la popolazione curda della zona, guidata dal DTP (Partito della società democratica), si è sollevata in protesta davanti alle varie sedi del partito al governo AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo) lanciando sassi e gridando slogan a favore di Öcalan.
Tra i numerosi arresti figurano un centinaio di minorenni, di età compresa tra i sei e i sedici anni che ora attendono quello che sembra dipendere dalla buona disposizione dei giudici. A Diyarbakır un primo gruppo di bambini processati sono stati assolti. A Van i bambini avrebbero rilasciato una deposizione in presenza di uno psicologo e sarebbero poi stati consegnati alle loro famiglie senza alcun arresto. Ma ad Adana il procuratore avrebbe presentato come "prova di reato" anche le biglie trovate in tasca a qualcuno dei ragazzi. Dunque anche per loro sarà da definire se le azioni compiute siano da ritenersi "affiliazione a organizzazione t[]istica" o "contravvenzione alla legge che regola le manifestazioni e le riunioni" o "semplice lancio di sassi".
La presenza di minorenni in manifestazioni di questo tipo per fini politici e il conseguente trattamento non particolarmente tenero che ne segue, sia da parte della polizia che da quello delle autorità giudiziarie, non è comunque una novità. Altri bambini per aver partecipato a manifestazioni passate, attendono l’esito del verdetto che deciderà per loro, mentre nel frattempo alcuni, meno fortunati degli altri, attendono anni crescendo in stato di reclusione.
Sul fronte della difesa dei diritti per l’infanzia sono numerose le denunce, mentre i giuristi cercano di spiegare che "è chiara la causa per cui i bambini si trovano a partecipare in quelle azioni; bisogna fare in modo che non vengano coinvolti. La punizione non è il modo adatto di proteggerli". Piovono accuse anche sul DTP per aver incluso minorenni nelle manifestazioni, anche da parte del premier Erdoğan che lo ha definito: "irresponsabile e privo di principi".
Ma il premier deve fare i conti con la perdita di gran parte del favore ottenuto dalla popolazione curda nel 2005, quando lui e il suo partito si erano opposti alle Forze armate, al CHP (Partito repubblicano popolare) e al MHP (Partito nazional popolare) che facevano pressione per un intervento militare nel Nord dell’Iraq e Erdoğan aveva dichiarato di voler considerare la "questione curda" come una cosa da risolvere internamente dimostrando di riconoscere alcuni "[]i commessi nel passato".
Ora però l’impressione generale è quella che il premier turco e il suo governo siano ritornati al passato, adattandosi a rispondere agli attacchi del PKK secondo le direttive delle Forze armate. Le manifestazioni di ottobre sono state un segnale dello sconforto che aleggia tra la popolazione curda. La sensazione è quella che si stia nuovamente andando verso una situazione senza uscita, incastrata tra i crescenti attacchi della guerriglia del PKK e gli interventi delle Forze armate turche.
Ümit Fırat, uno degli intellettuali curdi più influenti in Turchia, in un’intervista rilasciata al quotidiano "Taraf" afferma che il PKK e l’esercito turco si rafforzano a vicenda: "I militari non sono rivali del PKK ma la sua motivazione esistenziale" allo stesso modo in cui l’esercito "vuole mantenere la sua influenza non solo nella questione curda, ma in tutte le questioni riguardanti la Turchia. Per l’esercito, il mantenimento della propria influenza politica, passa attraverso la questione curda".
Anche una eventuale chiusura del DTP, seguace delle direttive di Öcalan – il cui processo è ancora in corso con l’accusa di costituire "un centro propulsore di azioni contro l’unità intoccabile della nazione" – secondo Fırat, sarebbe favorevole al PKK dato che giustificherebbe nei fatti il suo organizzarsi in forma clandestina. Fırat prosegue affermando che a Erdoğan e il suo partito, scampato per poco esso stesso alla chiusura, spetta allargare il terreno del dialogo includendo tutte le parti in gioco: "Il capo di Stato maggiore, la burocrazia, il ministero degli Esteri, le istituzioni giuridiche, il MIT (servizi segreti turchi), il governo e le organizzazioni civili per arrivare ad un accordo democratico".
Il governo turco ha un atteggiamento titubante sulla questione. Da una parte, così come informa il presidente dell’ordine degli avvocati di Diyarbakır Sezgin Tanrıkulu, le direttive inviate dall’AKP l’estate scorsa ai comuni su come gestire la "questione curda", indicherebbero un approccio "aderente alla politica dei militari" che segnala l’immutato atteggiamento "del Partito della giustizia e dello sviluppo di considerare la questione curda non come un problema di democrazia e di identità bensì come uno di ordine pubblico ed economico". Dall’altra, proprio mentre si svolgevano le manifestazioni di ottobre, il ministro degli Esteri Babacan inaugurava il dialogo con il leader curdo del Nord Iraq Barzani dimostrando per la prima volta di riconoscerlo come soggetto politico. A gennaio la TRT (Radio televisione turca) inaugurerà un canale di trasmissione in curdo. E si sta valutando la possibilità di aprire delle facoltà di lingua e cultura curda.
Le elezioni amministrative di marzo faranno in parte vedere se la popolazione ritiene i passi compiuti sufficienti e rivolti a una vera apertura o se si tratti dello stesso ritornello che cambia solo bocca.