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Mimmo Lombezzi: l’informazione si è militarizzata
Mimmo Lombezzi è stato il primo giornalista italiano insieme a quelli del Tg1 ad entrare a Jenin, il campo profughi palestinese diventato tristemente famoso dopo l’operazione "muro di difesa" dell’esercito israeliano. E ci ha raccontato cosa ha visto.
Mimmo Lombezzi è un giornalista che ha girato molto i Balcani durante le guerre passate. Ha pubblicato tra l’altro anche un libro, La torre dei teschi. Oggi è autore del programma di Mediaset LINK, e continua a lavorare sui fronti caldi del mondo.
Lo abbiamo incontrato durante il dibattito Il silenzio dopo la tempesta. L’informazione sui Balcani nel tempo della non guerra, promosso recentemente a Milano dall’Osservatorio assieme ad Inviati di Pace. Era appena rientrato dal Medio Oriente, e ci ha raccontato cosa ha visto. Ma anche cosa ha pensato al suo rientro, vedendo lo stato dell’informazione in Italia sui temi della pace e della guerra, e non solo su quelli…
Recentemente a Jenin hai girato un breve documentario che tu stesso hai definito un "caso emblematico" per comprendere il rapporto tra guerra e giornalismo. Perché?
Ho girato con una telecamera digitale, subito dopo la fine dell’assedio di Jenin. Vi era una situazione ancora molto ostile alla stampa ed era meglio muoversi "leggeri". Il mio cameraman Garo Nalbandjan era stato ferito nei giorni precedenti, e non volevo farlo rischiare ulteriormente. Dopo poche ore che mi trovavo a Jenin è riuscita ad entrare anche una troupe del TG1.
Il video è poi andato in onda quattro giorni dopo all’interno del programma LINK settimanale di attualità "povero", fatto da me e da Sabina Fedeli con pochissimi mezzi. Pensavo che sarei stato "bruciato" più volte dalla RAI o da qualcun altro, ma ho scoperto che il mio è stato il primo servizio di una certa lunghezza ad andare in onda su Jenin. Ed è incredibile che ciò sia avvenuto se si considera il momento di grandissima attenzione mediatica su Israele. In condizioni normali qualsiasi Tg avrebbe aperto delle "finestre", degli speciali.
Nel tuo breve reportage cerchi di spiegare e comprendere ciò che è avvenuto a Jenin grazie a molte testimonianze dirette.
Sì, per limiti di tempo (LINK ospita servizi al massimo di sette minuti) ho inserito nel servizio solo parte delle testimonianze raccolte. Tra quelle non trasmesse la storia di un portatore di handicap che non ha fatto in tempo ad essere evacuato dalla casa in cui si trovava ed è stato seppellito vivo dai buldozzer israeliani.
Un’altra riguardava la storia di un palestinese che non è uscito immediatamente all’ordine dei soldati, ed è stato fatto saltare in aria assieme alla porta di casa. Ho raccolto poi una testimonianza sulla terribile fine di un giovane: era sdraiato a terra ferito ad una gamba. I soldati gli avrebbero detto "Alzati in piedi!".
Ha risposto "Come faccio? Sono ferito!"; ancora "Alzati in piedi!". Quando èriuscito a farlo gli hanno sparato un secondo colpo all’altra gamba, ripetendogli
"Alzati! ". Crollato nuovamente a terra sarebbe stato finito con un colpo in fronte.
E’ stato un massacro quello di Jenin?
Tutto quello che ho raccolto e sono venuto a sapere su ciò che è avvenuto a Jenin non è sufficiente per definirlo un "massacro". Ma certo in questi giorni si gioca pericolosamente coi significati delle parole. Recentemente un anchorman della TV americana ha affermato che nel campo profughi palestinese erano successe solo "cose poco simpatiche". Ci si può chiedere cosa avrebbe detto se le stesse violenze fossero state compiute dai serbi o dagli iracheni…
In passato, in particolare nei Balcani, l’uccisione di dieci persone è stata definita "un massacro". Come accadde a Gornj Obrinje in Kossovo, dove le unita specialidella polizia uccisero una diecina di persone sgozzando due bambini.
Ma quanti sono stati i morti a Jenin?
Con tutta probabilità sono state uccise una settantina di persone, di cui cinquanta combattenti ed il resto civili. Occorre stare attenti anche a quella che è stata la propaganda palestinese: questi ultimi hanno fatto girare informazioni secondo le quali a Jenin avrebbero perso la vita dalle 500 alle 1000 persone. Ho ricevuto una e-mail dal portavoce di Arafat che riportava queste cifre, ma ad una mia richiesta della lista con nomi e cognomi dei defunti non è arrivata nessuna risposta.
E si badi bene, l’operazione di Jenin potrebbe essere avvenuta con il silenzio-assenso di Arafat. La distruzione del campo era per lui un modo di liberarsi dei nemici interni di Hamas, e di spostare contemporaneamente l’opinione pubblica mondiale su posizioni più favorevoli ai palestinesi. Si può spiegare in questo modo l’odio fortissimo che ho trovato nei suoi confronti tra la popolazione di Jenin.
Molti hanno parlato di una seconda Sabra e Shatila…
Questo paragone è improprio. A Sabra e Shatila c’erano solo civili mentre è vero che Jenin era un covo di kamikaze. E da qui è nata l’esigenza di Israele di intervenire. Ma nei meandri angusti del campo profughi un’azione "search and destroy", una perquisizione casa per casa era troppo rischiosa. Dodici Israeliani sono morti in una trappola, e allora si è ricorsi ai buldozzer.
Sabra e Shatila è stata invece una vera e propria operazione di pulizia etnica. Lo dimostra chiaramente un libro ("Vittime") pubblicato recentemente a firma dello storico Israeliano Benny Morris, dove vengono fornite nuove informazioni sui massacri compiuti dai falangisti con la collaborazione di Israele per produrre l’esodo dai campi profughi palestinesi. Alcuni bambini vennero violentati e fatti a pezzi, altri scotennati. Una donna accusata di cantare canzoni per Al Fatah ebbe la facciatagliata da una parte all’altra. La Bosnia sarebbe arrivata 10 anni dopo…
In un momento nel quale Israele e la questione palestinese sono su tutti i giornali nulla si sa del processo attualmente in corso in Belgio contro Sharon, proprio in riferimento al massacro di Sabra e Shatila…
E’ vero, nulla viene trasmesso e pubblicato anche se alcuni materiali sono stati prodotti in merito. C’è ad esempio un documentario della BBC sul processo a Sharon con interviste molto interessanti a ufficiali israeliani. Sono proprio loro a denunciare ciò che è avvenuto a Sabra e Shatila. In Italia non è stato acquistato da nessuno, né dalla RAI né da Mediaset. Per "Link" abbiamo potuto fare solo un servizio breve girato a Beyrut in un unico giorno.
Ed intanto i morti di Sabra e Shatila restano sepolti sotto metri cubi di cemento.Accanto alle rovine del campo profughi infatti è stato infatti costruito uno stadio modernissimo grazie ad investimenti colossali, ma sembra che proprio là sotto
fossero state sepolte la maggior parte delle vittime. A Shatila i Palestinesi continuano a vivere in condizioni terribili, su un terzo dello spazio che avevano nel 1982. La fossa comune "ufficiale", dove vennero interrate 600 vittime, è un campo paludoso senza nessun segno.
E perché non se ne parla?
Emerge la sensazione che tutto quello che riguarda Israele in questo momento venga in qualche modo attutito, anche nei servizi fatti con il materiale delle Agenzie. Nel senso che il materiale (Reuters etc) arriva regolarmente, ma resta lì. Qualunque cosa danneggi l’immagine di Israele non deve essere mandato in onda. Si teme di essere accusati di anti-semitismo? Ma forse la risposta è un’altra: la sordina sugli aspetti più imbarazzanti della guerra potrebbe preparare il futuro viaggio di Fini a Tel Aviv. Un viaggio in Israele, si sa, vale tre Fiuggi messe in fila.
Sono solo domande che mi pongo.
Occorre notare come questo tipo di omertà non c’è in Israele, dove gli editori
dimostrano molto più coraggio dei colleghi italiani. Il quotidiano "Ha’aretz", ad esempio, ha pubblicato un’intera pagina in risposta all’affermazione di Sharon che le operazioni a Jenin servivano a distruggere l’infrastruttura del t[]e: hanno titolato "Ecco dove nasce l’infrastruttura del t[]e", riportando poi decine di testimonianze di atrocità gratuite commesse dall’esercito contro i civili.
Mentre in Italia?
La cosa che spaventa in Italia è questa "militarizzazione" dell’informazione. Sembra che tutti si stiano adeguando a "direttive sotterranee", come quelle diramate dalla CNN sul modo in cui si doveva parlare delle vittime civili in Afghanistan.
E questo sembra avvenire anche per il Medio oriente, nonostante qualunque persona ragionevole comprenda come l’unico modo per aiutare Israele è dire la verità su cosa sta accadendo, come fanno i suoi giornalisti.
>>> Vai al nostro dossier sui media nei Balcani