Milosevic, condannato all’Aja ed assolto dal suo popolo?

Michele Nardelli in questo commento riflette sul probabile paradosso di un Milosevic condannato all’Aja ma risorto agli occhi del suo popolo. Con l’incubo di un conflitto mai rielaborato e superato.

25/02/2002, Michele Nardelli -

È probabile che alla fine di un processo lungo due anni a L’Aja Milosevic sia condannato. Ma questa sarebbe una ben magra soddisfazione soprattutto se agli occhi della sua gente fosse sostanzialmente assolto. Il fatto è che dalle prime battute del dibattimento l’esito sembra proprio essere questo. Insomma, ancora una volta, la comunità internazionale si dimostra incapace di comprendere la tragica modernità della vicenda balcanica degli anni ’90.
Dopo aver considerato Milosevic, durante gli anni della guerra di Croazia e di Bosnia, l’interlocutore privilegiato, lo statista accorto e pratico… dopo averlo sostenuto economicamente ed avergli fatto vincere le elezioni politiche – questo fu nel ’97 l’effetto dell’affare Telekom Serbia … Slobo è diventato funzionale in un’altra maniera, il satrapo dei Balcani, il nuovo Saddam, rinunciando deliberatamente ad un possibile accordo di pace sul Kossovo, bombardando la Federazione Yugoslava, seminando il cuore dell’Europa e una delle grandi metropoli centro-europee di uranio impoverito, con l’effetto di allungare l’agonia di una leadership nazionalista che solo grazie ad una grande rivoluzione democratica e alla candidatura di Kostunica sarà abbattuta.

Su ciascuna di queste vicende si potrebbero dire molte cose. Mi limito solo a ricordare quanto è accaduto nella vicenda del Kossovo. Per la prima volta nella storia un accordo di pace (quello di Kumanovo), che ha posto fine a 78 giorni di bombardamenti Nato sulla Serbia, ha visto i vincitori ottenere risultati inferiori – sul piano dell’autonomia del Kossovo – di quelli che erano stati raggiunti nel castello di Rambouillet prima dell’intervento militare e rigettati – come ha scritto l’allora ministro degli esteri Lamberto Dini – per l’esplicito e premeditato rifiuto della signora Albright.
Con la stessa superficialità ed arroganza – gettando un’ombra sul ruolo stesso del Tribunale Penale Internazionale e sulla sua capacità di rappresentare uno spiraglio di giustizia nel deserto di un diritto internazionale piegato alla logica dei paesi economicamente e militarmente più forti – un Milosevic ormai in declino, in carcere nel suo paese come ladro, bancarottiere e profittatore di guerra, è stato prelevato con un blitz e portato a L’Aja. Mai un favore più grande poteva essere fatto all’ex uomo forte di Belgrado, regalandogli un palcoscenico internazionale, non per rispondere delle proprie responsabilità nella vicenda balcanica degli ultimi dieci anni, ma per rovesciare l’accusa in complotto contro la nazione serba.

Milosevic sa bene che questa è una corda sensibile nella psicologia di massa del popolo serbo. Come lo sapeva quando il 28 giugno 1989, nell’oceanico raduno a Kossovo Polje in occasione del seicentesimo anniversario della sconfitta del principe Lazar, face leva sullo stesso orgoglio nazionale nel rivendicare al suo popolo il ruolo di baluardo della cristianità contro la penetrazione islamica in Europa. Ed in queste ore, a Belgrado come nel resto della Serbia, l’indice di ascolto della sua autodifesa in diretta televisiva ha raggiunto il 50%.
Il fatto è che dietro il palcoscenico del Tribunale de L’Aja c’è il malinteso di una strana guerra, dove gli attori principali erano protagonisti di una vicenda che aveva insieme i tratti del camaleontismo politico e di una enorme tangentopoli sulle spoglie della vecchia Jugoslavia e sulla pelle di milioni di persone derubate di ogni loro avere, e dove lo scontro etnico – religioso è stato usato ad arte per costruire consenso di massa alla pulizia etnica e alla mattanza di almeno trecentomila persone.

Se non si ha chiara la natura di questi dieci anni di guerra, il processo internazionale non servirà a nulla, tanto meno a rendere giustizia alle vittime – bosniache, serbe, croate, kossovare, macedoni, rom più semplicemente jugoslave che siano – di questa immane tragedia. E continuerà il malinteso.
Sbagliando l’impostazione, Milosevic da accusato si trasformerà in accusatore. Accusarlo di genocidio per la guerra di Bosnia è fondato e giusto. Ci sono solo due piccoli particolari. Il primo è che non era solo. Il secondo è che sotto gli accordi di Dayton c’è anche la sua firma, accreditato cioè come interlocutore essenziale per la "pax americana". Tanto da fargli chiamare Clinton come testimone a discapito.
Sbagliando l’approccio, Milosevic rischia di diventare il capro espiatorio di una vicenda che chiama in causa l’insieme della nomenklatura, il suo compare Tudjman e lo stesso Izetbegovic o i capi dell’Uck. L’Aja non è Norimberga, quand’anche gli esiti del processo sui crimini nazisti non abbiano rappresentato un pietra miliare nella storia del diritto internazionale. Ora, pensare alla "guerra dei dieci anni" come alla seconda guerra mondiale, la Serbia (come la Germania di allora) contro tutti, non può che risultare fuorviante rispetto ad una realtà ben più complessa.
Sbagliando il contesto, il TPI anziché il Tribunale del suo paese, il processo non aiuterà certo il popolo serbo a comprendere ed elaborare quanto è accaduto nella sua storia recente. E i conflitti non elaborati diventano fantasmi. Quegli stessi fantasmi che si sono ripresentati dopo mezzo secolo di "storia di stato" durante il quale si è messo un grande coperchio paternalistico-burocratico sulla vicenda non elaborata della seconda guerra mondiale che tanti rancori aveva lasciato dietro di sé, fantasmi che hanno trovato nei signori della guerra degli abili e spregiudicati burattinai.
Non aiuterà nemmeno questa nostra parte di Europa a capire quella tragedia, le responsabilità anche nostre, ovvero di quelle cancellerie occidentali – Italia compresa – che di fronte allo sgretolamento della vecchia Jugoslavia preferirono ricercare proprie aree di influenza piuttosto che un disegno europeo che avrebbe forse potuto disinnescare la miccia del nazionalismo.
Non aiuterà i singoli individui, di là e di qua dell’Adriatico. Per capire, di là, la banalità del male: non c’erano mostri, ma persone "normali" a gestire campi di concentramento come quello di Omarska, che oggi conducono una vita "normale"… Di qua, la falsa coscienza dell’indifferenza e il profitto di qualcuno che non ha esitato a trasformare la tragedia degli slavi del sud in occasione di profitto personale.
Veder ridotta la vicenda balcanica allo scontro fra l’impettita Del Ponte ed il sornione Milosevic è davvero un cattivo servizio alla verità e alla sofferenza di tanta gente.

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