Media in Kosovo: interferenze pericolose
Un sistema mediatico ostaggio della politica e della precarietà economica. Ma alcune voci libere non rinunciano a fare giornalismo. Un quadro sui media in Kosovo
Giornalisti e media del Kosovo continuano a lottare contro interferenze politiche e pressioni economiche. Nel 2015, l’Associazione dei giornalisti del Kosovo ha registrato 27 minacce e intimidazioni nei confronti di giornalisti, fra cui quattro minacce di morte lanciate principalmente attraverso i social media.
"Questo segnala un aumento di minacce e attacchi contro i giornalisti negli ultimi due anni rispetto ai precedenti, quando avevamo individuato 15-18 casi", spiega a Osservatorio Balcani Caucaso Zekirja Shabani, a capo dell’Associazione dei giornalisti del Kosovo.
I report internazionali
Secondo il World Press Freedom Index 2016 di Reporters sans frontières, il Kosovo presenta tutti i peggiori sintomi di una libertà di stampa in sofferenza: interferenze politiche dirette e indirette, pressioni economiche e concentrazione della proprietà. I giornalisti che criticano le autorità kosovare sono spesso accusati di essere "traditori" o "simpatizzanti serbi". I media che non rigano dritto si possono trovare di fronte a intimidazioni sotto forma di controlli finanziari o fiscali, conclude Reporters sans frontières.
In un altro recente report, Freedom House ha classificato la stampa in Kosovo come "parzialmente libera". Se la Costituzione e le leggi del Kosovo proteggono la libertà di espressione e di stampa, i media sono però influenzati da interferenze politiche, pressioni economiche e un elevato grado di concentrazione della proprietà, si legge nel report.
Secondo Zekirja Shabani, a capo dell’Associazione dei giornalisti del Kosovo, la mancanza di garanzie lascia i media del Kosovo vulnerabili ad una varietà di pressioni politiche. "La mancanza di uno stato di diritto ha incoraggiato coloro che non sono soddisfatti del lavoro dei giornalisti a prendere la legge nelle proprie mani. Chi ha da ridire sul lavoro dei giornalisti, ma anche diversi gruppi di interesse come politici e imprenditori, anziché procedere per vie legali va direttamente in redazione per attaccare fisicamente i giornalisti o li minaccia al telefono. I giornalisti più a rischio sono quelli che fanno giornalismo investigativo su abusi nella spesa pubblica, su criminalità e corruzione".
La missione OSCE in Kosovo ha sollecitato più volte le istituzioni competenti del Kosovo a portare i responsabili di queste intimidazioni davanti alla giustizia, sottolineando che il sistema giudiziario dovrebbe essere più attivo nel perseguire i casi legati alla sicurezza dei giornalisti. "Sollecitiamo da tempo un atteggiamento più vigile verso minacce e intimidazioni nei confronti dei giornalisti. La loro professione ha grande rilevanza per il pubblico e crediamo che il sistema giudiziario dovrebbe riconoscere questo fatto", spiega a OBC un rappresentante dell’ufficio OSCE per gli affari politici e le comunicazioni in Kosovo.
Restano comunque rari i procedimenti penali per attacchi e minacce contro i giornalisti terminati con una condanna.
Il caso di Jeta Xharra
Jeta Xharra è direttrice di Balkan Investigative Report Network (BIRN) in Kosovo, conduttrice e direttrice del programma di attualità "La vita in Kosovo", il più seguito del paese. In qualità di giornalista investigativa, spesso Xharra ha sperimentato con il suo team problemi nel tentativo di fare luce sulla corruzione. Nel 2013, un gruppo misto di giudici del Kosovo e Eulex ha giudicato cinque imputati non colpevoli di aver minacciato Xharra e violato i suoi diritti nel maggio e nel giugno 2009. Gli imputati erano Sami Lushtaku, ex sindaco di Skenderaj, ex dirigenti di quel comune e un giornalista di un quotidiano locale che in 12 articoli aveva definito Xharra una "spia serba", una "bomba professionale", una "puttana d’ambasciata" e altri epiteti. La campagna contro la giornalista era arrivata dopo una puntata di "Life in Kosovo" su presunti casi di cattiva gestione a Skenderaj dove Lushtaku era allora sindaco. La Corte ha stabilito che gli articoli non rappresentavano una minaccia per Xharra anche se danneggiavano "il suo onore e la sua reputazione".
Secondo Jeta Xharra, i giornalisti che si rifiutano di vendersi fanno paura alle élite politiche corrotte e spesso criminali che sono arrivate a governare i Balcani occidentali. "Come faccio a sapere che facciamo paura? È semplice! Lo vedo dall’aumento delle campagne che i politici e i loro giornalisti mercenari conducono contro i giornalisti veri e dall’investimento che mettono in campo per cercare di confondere le acque intorno alle nostre storie. Più loro liberano i cani, più credo che ci sia un buon lavoro in corso".
"Quindi, di nuovo, i politici hanno più paura dei giornalisti investigativi che dei procuratori, della polizia e delle agenzie anti-corruzione", aggiunge Xharra.
Autofficine e parentopoli
Nel mese di agosto dello scorso anno, BIRN Kosovo ha rivelato che Isa Mustafa, Primo Ministro del Kosovo, aveva assegnato un appalto pubblico per riparare le BMW governative ad una società di proprietà di suo figlio. Due giorni dopo, un portale di proprietà di un ex parlamentare PDK (un partito della coalizione di governo) ha iniziato ad attaccare Faik Ispahiu, il produttore esecutivo di "Life in Kosovo", scrivendo che "lavorava per i servizi segreti serbi", "aveva storicamente lavorato con giornalisti serbi", "la sede di BIRN è a Belgrado", anche se in realtà è Sarajevo, e così via.
"La buona notizia è che Reuters ha riportato la nostra indagine sul figlio di Mustafa, e quando la storia è finita sulla stampa internazionale Mustafa ha annullato l’appalto perché ormai si trattava di un ‘imbarazzo internazionale’. Quindi la buona notizia è che siamo riusciti a spaventarlo abbastanza perché facesse marcia indietro", racconta Jeta Xharra.
Servizio pubblico
L’interferenza politica diretta e indiretta rimane una grande preoccupazione, in particolare per l’emittente pubblica Radio Televisione del Kosovo (RTK), che non è vista come una fonte credibile e imparziale. Secondo Freedom House, "RTK, che è finanziata dai contribuenti e gestita da un consiglio nominato dal parlamento, è vista come megafono del governo". Le istituzioni non sono riuscite finora a individuare una soluzione a lungo termine per il finanziamento dell’unica emittente pubblica del Kosovo. Attualmente RTK continua ad essere finanziata dal bilancio dello stato e ad essere considerata al servizio del principale partito al potere, il PDK.
La sostenibilità finanziaria di RTK e l’indipendenza del suo bilancio sono da anni oggetto di particolare attenzione e preoccupazione da parte della missione OSCE in Kosovo, che fornirà presto le sue raccomandazioni per quanto riguarda il finanziamento di RTK sulla base di ampie consultazioni con professionisti.
Le interferenze politiche e finanziarie interessano anche i media privati. In alcuni casi, gli editori hanno impedito ai giornalisti di pubblicare articoli o servizi critici del governo o di particolari funzionari. I giornali non allineati con il governo o i partiti di governo sono spesso oggetto di intimidazioni attraverso indagini fiscali, o viene loro bloccato l’accesso a informazioni pubbliche.
"La mancanza di sostenibilità finanziaria ha spinto alcuni media, compresi quelli tradizionali che sono visti come più credibili e seri, a mettere le loro politiche editoriali al servizio di alcuni gruppi di interesse della politica e degli affari collegati alla politica. Di conseguenza, molti giornalisti sono stati costretti all’auto-censura a causa dei legami fra il proprietari di media e il partito politico che finanzia i media", spiega Zekirja Shabani, dell’Associazione dei giornalisti del Kosovo.
La missione OSCE in Kosovo sottolinea anche che la sostenibilità finanziaria è tra i principali problemi che affliggono il settore dei media e dei giornalisti in Kosovo. Secondo l’Ufficio degli affari politici e delle comunicazioni in Kosovo, fino a quando questo problema non sarà risolto, i media rimarranno soggetti a diversi tipi di pressioni o interferenze inappropriate.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto