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Media in cammino

Anila Basha, direttrice del quotidiano Gazeta Shqiptare e della tv News24, fa il punto sulla libertà di informazione in Albania, i condizionamenti della politica e la sfida – nuova per il Paese delle Aquile – del giornalismo investigativo. Nostra intervista

21/04/2010, Marjola Rukaj -

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Lei dirige uno dei media più seguiti e più coraggiosi del Paese. Partendo dalla sua esperienza, che cosa vuol dire fare giornalismo in Albania? Quali sono le difficoltà?

Fare informazione qui non è molto facile, se paragonato alla realtà dei media europei. Spesso i giornalisti professionisti che si sono formati all’estero, trovano grandi difficoltà ad inserirsi nella realtà albanese: non perché siano professionalmente inadeguati, ma perché è la realtà in cui vogliono inserirsi che è arretrata. Il giornalismo albanese sta affrontando la stessa transizione che investe la società, la politica, l’economia in questo Paese.

E così è anche per i giornalisti. Informare in Albania vuol dire essere forti, non farsi intimidire dalle pressioni, e saper gestire ad esempio sulla carta stampata 32 pagine quotidiane, mentre non hai neanche 15 giornalisti assunti: significa che ognuno è costretto a scrivere 2 o 3 pagine, cosa che non può che abbassare la qualità degli articoli e dei reportages, e di conseguenza anche del giornale.

Ne siamo coscienti, non è proprio il giornalismo ideale. Oggi l’Albania è stracolma di quotidiani dalla tiratura molto bassa, in cui fare il nostro mestiere con professionalità è molto difficile. Ma va anche riconosciuto che in questo Paese i media contano più di qualsiasi altra istituzione pubblica o privata.

Come definirebbe i rapporti con la politica, e con il potere in particolare?

Non si può dire che in Albania i media siano separati dalla politica, è fin troppo evidente. Basta dare un’occhiata alla maggior parte dei quotidiani o delle tv. Per lo più gli editori hanno i loro business, con interessi intrecciati a quelli di determinati settori politici.

Sono poche le testate che non sono compromesse da un altro business, e Gazeta Shqiptare è una di loro. Questo ci consente di essere indipendenti. Ma non siamo immuni dall’intervento della politica. Come commentare diversamente la multa che è stata comminata alla televisione News24, che fa parte del nostro gruppo editoriale?

Un anno fa tutte le copie del vostro giornale sono state misteriosamente bloccate e ritirate dai punti vendita. Com’è successo? Come avete reagito?

E’ vero. Gazeta Shqiptare stava investigando sui fatti che hanno portato alla tragedia di Gerdec. Sulle pagine del nostro giornale stavano venendo fuori nomi importanti di personaggi legati ai politici e al potere. Un giorno ci siamo trovati davanti al fatto che una persona era entrata al centro di distribuzione del giornale, intimidendo il responsabile.

E’ stato un caso di abuso da parte della politica. Non siamo alle intimidazioni con le armi, e neanche all’arresto dei giornalisti come negli anni ’96-’97, piuttosto nei media sta arrivando la corruzione. Noi però non ci siamo fatti intimidire. Una volta informati dell’accaduto, alle 7 del mattino dello stesso giorno, abbiamo ristampato il giornale e l’abbiamo riportato sul mercato.

Nell’ultimo anno, secondo il rapporto di Reporters without borders, l’Albania è scivolata di circa 10 posti indietro, diventando l’ultimo Paese nei Balcani per la liberà di stampa. Com’è stato percepito questo regresso?

E’ accaduto quello che ho descritto prima. C’è stata molta pressione sui media, un giornale ha chiuso, ad alcune tv sono stati tolti i trasmettitori per la copertura nazionale, altri sono stati multati, diversi sono stati costretti a sgomberare i propri locali. Sono queste le cose che avvengono. In queste condizioni non c’è un giornalismo libero e indipendente. Spero che quest’anno non succeda la stessa cosa, anche se devo ammettere che la comunità dei media non è immune neppure da problemi interni: organizzazione, status dei giornalisti, formazione delle associazioni, dei sindacati, coscienza dei nostri diritti, e così via.

Per questo non bisogna illudersi sull’infinità di media privati presenti in Albania, anche se a prima vista sembrerebbe il Paese delle meraviglie per la libertà di stampa… E’ un mercato non controllato, è la “pirateria”, se così la vogliamo definire, che prende piede anche nel settore media. Tutti gli uomini d’affari, per sentirsi più forti nel proprio business, decidono di aprire un giornale.

Ma il fatturato di questi prodotti editoriali, isolato dal resto delle loro aziende, è in rosso. Perché in questo caso non funziona la legge sul fallimento? Perché lo Stato non interviene? Perché alcuni giornali e tv ottengono molti finanziamenti pubblici, mentre altri vengono discriminati?

Come valuta il livello del giornalismo albanese oggi?

Laconicamente, direi è un livello medio. Ci sono esempi molto mediocri e anche casi di eccellenza. Non manca un certo progresso: ad esempio è molto positivo che dopo 20 anni di indipendenza in Albania abbia iniziato ad affermarsi il giornalismo investigativo. Ci sono reporter che stanno lavorando con perseveranza e dedizione in questo senso, in un panorama generale dove la qualità degli articoli lascia a desiderare.

Con i vostri media siete stati tra i primi a fare giornalismo investigativo. Con quali difficoltà? Le inchieste sono lente a decollare per mancanza di giornalisti adeguati o siete ostacolati dai gruppi di interesse?

Gazeta Shqiptare e News24 si stanno orientando sempre più verso il giornalismo investigativo. Mentre i media si digitalizzano, penso sarà questa l’informazione del futuro, in grado di consolidare sul mercato un giornale professionale che risulti appetibile agli occhi dei lettori.

Il giornalismo investigativo è lento, poiché si tratta di qualcosa di nuovo. Non abbiamo mai avuto una cosa del genere in questo Paese, partiamo quindi da zero, e ora muoviamo i primi passi. Ma c’è bisogno di un giornalismo di questo tipo. L’Albania è un Paese in cui in ogni settore, secondo tutti i rapporti internazionali, la corruzione è dilagante. Laddove c’è corruzione, c’è spazio per il giornalismo investigativo. E noi cerchiamo di impegnarci in questa direzione.

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