Marx, Maometto e il “capitalismo con wudu”. Un incontro con Recep İhsan Eliaçık
Sintetizzare e integrare due pensieri politici "falliti" e a prima vista antitetici, quello marxista e quello islamico. È quanto propone – nella Turchia dominata dall’AKP – Recep İhsan Eliaçık, pensatore ed attivista turco, animatore del primo collettivo di "musulmani anticapitalisti"
Si può essere musulmani e anticapitalisti? C’è chi da anni risponde di sì, anche nella pratica: a Istanbul, nell’ex-quartiere greco-ortodosso di Balat, l’ufficio del teorico, pensatore e attivista Recep İhsan Eliaçık è costellato di libri (con la “l” maiuscola e minuscola) e dediche (dai tifosi del Beşiktaş a numerose figure politiche turche), che testimoniano del suo variegato percorso esistenziale ed intellettuale. Originario di Kayseri, da studente milita in alcuni gruppi politici islamisti e di tendenza nazionalista, per poi finire in carcere in seguito al colpo di stato militare del 1980. Sarà la prigionia a farlo entrare in contatto con militanti della sinistra rivoluzionaria, in dialoghi e incontri che cambieranno la sua visione: «Mi sono accorto che guardavo il mondo da una prospettiva diversa. Una volta ritornato in libertà, ho capito che l’Islam non era necessariamente quello che avevo imparato dai miei genitori, ma poteva essere letto anche alla luce del pensiero marxista e poteva essere visto come una religione attenta ai poveri e agli sfruttati».
Poi, l’impegno teorico con articoli, libri e conferenze e la nascita di un vero e proprio collettivo di “musulmani anticapitalisti” (Antikapitalist Müslümanlar) che organizza letture collettive del Corano in chiave marxista e partecipata a diverse manifestazioni politiche, come quelle del Primo Maggio. “La proprietà appartiene ad Allah, il lavoro appartiene a lavoratori e lavoratrici. Abbasso il capitalismo globale», recitava lo striscione del gruppo quest’anno.
Islam e marxismo: non sono due termini antitetici?
Se sottoponiamo questi due sistemi di pensiero alla lettura e all’interpretazione delle fonti originarie da cui derivano, al di là delle loro diverse concretizzazioni storiche (Cos’è veramente l’Islam? L’Islam è ciò che è emerso durante gli Omayyadi, gli Abbasidi o gli Ottomani, oppure nelle sette presenti nella Turchia odierna? Similmente, il marxismo è quello che si è instaurato come dittatura burocratica in Unione Sovietica?), notiamo che ci sono delle somiglianze. Entrambi pongono una grossa enfasi sull’uguaglianza. L’Islam afferma che tutte le persone sono uguali davanti a Dio, così come il marxismo sostiene che tutte le persone sono uguali in quanto esseri umani.
Da dove proviene l’accento posto sull’uguaglianza nell’Islam? Guardiamo cosa fece il Profeta alla Mecca e a Medina: liberò gli schiavi, prese dai ricchi per dare ai poveri, vale a dire assicurò l’uguaglianza tra le persone. Parliamo dell’Islam del VII secolo e, pertanto, si utilizza un linguaggio di stampo religioso perché si trattava del metodo più semplice per arrivare al maggior numero di persone. Il linguaggio del marxismo, al contrario, è più raffinato. Das Kapital è una critica "mondiale/universale" del capitalismo: ci racconta in cosa consiste la disuguaglianza e come viene sfruttata da una classe a discapito di un’altra, scendendo nei minimi dettagli. Ma entrambi rappresentano un tentativo di affrontare il problema della diseguaglianza universale, sebbene da punti di vista differenti. In questo senso, io penso che la tensione verso l’uguaglianza sia una costante nella storia umana e considero fenomeni come l’Illuminismo o eventi come la Rivoluzione Francese una sorta di “continuazione secolare” dell’Islam. Considero l’Islam e il marxismo come due parti dello stesso “urlo” che invoca uguaglianza. Entrambi hanno fallito nella storia, ma condividono un medesimo destino che deve ancora realizzarsi.
Nelle prime fasi della nascita dell’Unione Sovietica ci fu chi pose la questione della sintesi fra Islam e marxismo, come Mirsaid Sultan-Galiev. In generale, quali sono le sue influenze teoriche?
Sultan-Galiev non è un teorico musulmano. Era solo musulmano dal punto di vista dell’identità, non della fede, e affermava infatti di essere ateo. Al contrario, io professo la fede islamica e sento di appartenere alla cultura musulmana. Ho studiato la teologia islamica, conosco la teoria, il Corano, il pensiero dell’Islam. Quindi l’attività che porto avanti si discosta dalla parabola di figure come Sultan-Galiev. A questo proposito posso dire di essere stato maggiormente influenzato dall’iraniano Ali Shariati, uno degli artefici della sinistra musulmana in Iran. Ho letto molti dei suoi libri. Ali Shariati è sciita, io sono sunnita. Shariati ha praticamente unito l’Islam, la sinistra e il marxismo. Pertanto, ha avuto grandi effetti sulla rivoluzione iraniana, benché nel 1979 sia stato ucciso. Oppure c’è il professore di filosofia islamica Hasan Hanafi in Egitto, che ha scritto diversi libri.
A ogni modo, ciò che Sultan-Galiev fece notare nei primi anni della rivoluzione bolscevica era che nei territori influenzati dall’Islam una politica di tipo ateo non avrebbe funzionato. Disse, al contrario, che era necessario sviluppare una politica di marxismo islamico e invitava insegnanti, maestri e teorici a sviluppare questo discorso e a costruire una simile sintesi. Ecco, io forse posso essere idealmente considerato una di queste persone a cui Sultan-Galiev (che venne ucciso durante le purghe staliniane) si appellò.
In Turchia lei è una figura pubblica ed esiste un collettivo con cui porta avanti lavoro teorico e attività politica. Le sembra dunque che il suo discorso venga recepito?
Nel 2002 mi sono trasferito a Istanbul e ho iniziato a pubblicare libri e a scrivere articoli per alcune riviste. Qualche anno più tardi ho attirato l’attenzione perché mi ero messo a criticare molti leader politici della Turchia, facendo notare come attraverso lo stato stessero perseguendo il proprio interesse privato e non quello pubblico. Ma, soprattutto, gli anni che vanno dal 2011 al 2013 sono stati cruciali per noi. Nel 2011, abbiamo organizzato una serie di proteste davanti ad alcuni dei tavoli più lussuosi in cui le persone più ricche celebravano l’iftar [la cena con cui si interrompe il digiuno ogni sera durante il Ramadan, ndr]: per contrasto, noi abbiamo messo a terra del formaggio e del pane e abbiamo aperto l’iftar a modo nostro. Le persone ci guardavano con gli occhi curiosi e un po’ scioccati. Nel 2012 ci siamo riuniti in moschea per recitare una preghiera funebre per i lavoratori che avevano perso la vita e in seguito ci siamo uniti alle manifestazioni per il Primo Maggio. Più di mille persone hanno partecipato al nostro corteo. Nel 2013 infine abbiamo preso parte alla resistenza di Gezi Park. Guidavo la preghiera del venerdì che si svolgeva in Piazza Taksim. Il nostro modo di intendere l’Islam rappresentava uno scandalo per molti.
Ma per molti altri, si è trattato di occasioni per scoprirsi “musulmani anticapitalisti”. Abbiamo davvero incontrato tante persone che percepiscono l’Islam come noi, che hanno a cuore sia la fede islamica che i principi d’uguaglianza. Ma non si tratta di qualcosa che abbiamo creato: era solo qualcosa di sotterraneo che doveva venire a galla. Ora tutti insieme partecipiamo alle marce del Primo Maggio, organizziamo attività culturali, portiamo avanti letture condivise del Corano in chiave anticapitalista. Non sempre è ben visto: si tratta comunque di un fenomeno inedito per il contesto turco.
Immagino che la vostra visione si discosti da quella del partito in carica (Akp) che comunque si presenta come “islamico” o “filo-islamico”…
Come dicevo, una delle caratteristiche principali del nostro pensiero è l’anticapitalismo. La visione dell’Akp è totalmente all’opposto: si tratta di una forza politica che non muove alcuna obiezione o critica al sistema capitalistico, anzi lo incoraggia. Quello di Erdoğan e dell’Akp è “capitalismo con wudu (il rito musulmano dell’abluzione)”: lo sfruttamento viene ripulito e legittimato attraverso una copertura religiosa. Se poi guardiamo alle azioni che hanno portato avanti in oltre vent’anni di gestione del potere, vediamo che si sono arricchiti attraverso lo stato, rubando risorse pubbliche, e che arricchiscono i propri sostenitori. Io mi considero un musulmano anticapitalista per la mia consapevolezza religiosa e un democratico radicale come posizionamento politico. Sostengo il pluralismo, e non la dittatura della maggioranza, così come l’uguaglianza formale e sostanziale di tutte le persone: religiose e non religiose, uomini e donne, ecc.
In generale, come valuta i diversi esempi di Islam politico che si sono generati nell’area?
Sono contrario all’idea che l’Islam debba diventare uno "stato". Trovo ingiuste le forme di stato islamico o di repubblica islamica controllate dall’ISIS o dai talebani, o messe in atto in Arabia Saudita o Iran, perché sottomettono alle leggi dell’Islam sia musulmani che non musulmani. Al contrario l’insegnamento dell’Islam è realizzato per davvero se viene assicurata la giustizia, se si evitano uccisioni, furti, calunnie, vessazioni, stupri e corruzione – e questo anche se la parola “Islam” non è menzionata nel nome di quello stato. Il problema di molte comunità religiose nei diversi contesti è che non presentano un’alternativa e non si oppongono al capitalismo, sistema che attualmente domina il mondo intero. Ecco perché poniamo particolare enfasi su questo. Per questo, pensiamo anche che modelli come quello iraniano, saudita, egiziano o anche turco siano sostanzialmente "falliti".
Penso al mondo islamico nel futuro. La Rivoluzione francese ha affermato i valori di uguaglianza, libertà, fraternità. La Rivoluzione russa ha posto il lavoro come valore supremo. Le rivoluzioni repubblicane in Turchia hanno parlato della democrazia e della Repubblica, abolendo il sultanato e il potere dinastico. Anche le comunità islamiche di tutto il mondo devono essere in grado di raggiungere queste idee; devono andare contro le nuove forme di sultanato. Devono poter parlare di diritti umani, democrazia, uguaglianza, libertà, lavoro. Il marxismo si oppone al capitalismo ma manca di una dimensione religiosa, mentre l’Islam soddisfa un forte senso di religiosità ma non sviluppa critiche al capitalismo. Forse, entrambi hanno fallito per questa loro complementare mancanza: è il momento per provare a integrarli.