Marmara, il piccolo mare: tra rovine e rimpianti

Viaggio tra le rovine della antica Cizico, polis che fu prima greca e poi romana. Una città che ora non esiste più ma che ha segnato la storia di questo territorio

08/10/2019, Fabrizio Polacco -

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Auriga greco arcaico, sec. VI a.C., da Cizico, museo archeologico di Istanbul Zzvet © Shutterstock

Secondo una legge quasi fisica che da sempre apparenta la storia alla geografia, ogni luogo che la natura ha reso centrale, prominente, o in qualche modo singolare rispetto al territorio circostante, ne ha tratto lustro e benessere, sì, ma anche vicissitudini e talvolta distruzione. È quanto è capitato ad una città che ora non esiste più, ma che è stata, almeno finché non fu fondata Costantinopoli, la più importante del Mar di Marmara.

Il promontorio di Kapıdağ o Arktoneso, visto da settentrione, ha veramente l’aspetto di un’isola
Foto di F. Polacco

Chi, dopo il giro delle isole, approda sulla terraferma nell’attuale porto di Erdek, sicuramente non ha potuto fare a meno di notare che tutta la navigazione si è svolta attorno ad un imponente e cupo promontorio, che con un forte pendio s’innalza sul mare fino all’altezza di circa 800 metri: è l’odierno Kapıdağ (in greco, Arktonesos). 

Mai si penserebbe che anche quel monte sia, o meglio sia stato, un’isola. Più importante della pur rinomata Isola di Marmara, ospitava una città che secondo i geografi antichi rivaleggiava con le maggiori dell’Asia Minore per dimensioni e bellezza, ma anche per il suo ‘buongoverno’. Ben altro, insomma, della pur deliziosa ma piccola Erdek, con il suo gradevole lungomare e il mercatino del lunedì.

 

Inoltre Cizico (tale era il nome dell’antica città) non aveva un porto solo, ma due. Infatti, il sottile istmo pianeggiante che oggi collega il promontorio alla terraferma era nell’antichità uno stretto canale marino: talmente stretto che i tre architetti (oggi diremmo ‘urbanisti’) che istituzionalmente provvedevano alla cura degli edifici pubblici lo vollero scavalcato da due ponti lignei; e tuttavia sufficientemente largo perché sotto quei ponti (che molto probabilmente potevano anche essere sollevati) passassero agevolmente le duecento navi che il duplice bacino poteva accogliere.

Ci si rende conto appieno di quella che doveva essere l’antica, invidiabile collocazione di Cizico quando si risalgono le stradine che, traversato l’istmo procedendo in direzione di Erdek, portano alle pendici meridionali del monte, quello che fu già isola. Svettanti tra campi coltivati, lambiti da una boscaglia selvatica, si levano tuttora gli imponenti ruderi di quella polis che fu prima greca e poi romana.

Rivolgendo lo sguardo verso l’istmo, si vede ancora benissimo, rilevato sul suolo, il profilo lunato di uno dei porti; ch’erano rivolti uno ad est, l’altro ad ovest: strategici perché collocati come la città presso il cuore del piccolo mare, a due passi dalla terraferma e quindi prossimi alle vie terrestri; e però, allo stesso tempo, facilmente difendibili da un eventuale assedio.
I Ciziceni, oltre che potenti e ben governati, erano ricchissimi, tanto che lo ‘statere ciziceno’ una bella moneta d’elettro (una lega d’oro e argento) circolò per alcuni secoli come valuta di scambio internazionale.

Le imponenti rovine della Cizico greco-romana
Foto di F. Polacco

Insomma, tutti coloro che navigavano nel Mar di Marmara – specie in un’epoca in cui ci si muoveva preferibilmente a poca distanza della costa -, anziché compiere il periglioso circuito del grande promontorio/isola, pagavano agli abitanti il pedaggio richiesto per attraversare il canale. Potenza della geografia sui nomi: l’odierno, turco Kapıdağ significa qualcosa come ‘monte del varco’.  Ma anche perenne irrequietezza degli uomini: ora che il varco si è interrato, divenendo un piccolo istmo, dall’alto delle rovine individuo con chiarezza i segni di un taglio intrapreso in tempi moderni per ricreare l’antico passaggio, taglio poi subito di nuovo abbandonato: due linee rette e parallele che segnano la vegetazione con tonalità di colore diversa. Due porti però, in qualche modo, ci sono ancora, seppur poco più lontani dall’istmo. Uno è appunto quello di Erdek, volto a occidente; l’altro, che guarda ad oriente, è Bandirma. Insomma, benché la splendida Cizico non esista più, la sua strategica centralità permane oggi come allora. 

L’istmo dell’antica Ciziko. Sulla sinistra, delimitata dalla vegetazione boscosa, la baia dell’antico porto interrato.
Dalla spiaggia, si diparte il tracciato del tentativo di scavo del canale. Foto di F. Polacco

Non poche guerre sono state combattute per il suo controllo. A Bandirma faceva capolinea, fin dagli inizi del Novecento, una linea ferroviaria ottomana che dalla principale città sulle coste egee, Smirne (Izmir), sbucava sul Mar di Marmara. E Bandirma era tanto importante che, quando i greci dopo la Prima guerra mondiale cercarono di realizzare la ‘Grande Idea’ della riconquista dell’Asia Minore, posero proprio in questa città il limite settentrionale della loro ideale zona di influenza (quello a sud era Kastellorizo, o Meghisti, l’isoletta resa celebre dal film ‘Mediterraneo’): si trattava di una porzione di Anatolia più grande della Grecia dell’epoca! Ed effettivamente fin quassù essi arrivarono, nel 1920, riunendo per qualche anno alla madrepatria anche quel promontorio costiero che, ‘appena’ duemilasettecento anni prima, altri greci provenienti da Mileto avevano per la prima volta colonizzato.

Pare che Erdek negli anni Venti del Novecento contasse, su 12.000 abitanti, 9.000 cristiani (quasi tutti greci) e 3.000 turchi. Altri 4.000 greci vivevano a Bandirma: da qui, le truppe greche momentaneamente vittoriose salparono per la sponda opposta, verso Tekirdag (la greca Raidestos); e, attraversando quella che è oggi la Turchia europea, ma geograficamente è Tracia orientale, conquistarono la magnifica Edirne (Adrianopoli). Appena due anni dopo, a causa della disfatta dell’esercito greco sotto l’avanzare del nemico riorganizzato da Mustafa Kemal (Atatürk), Bandirma, la Tracia orientale e tutto il Mar di Marmara furono precipitosamente evacuati. Un milione, forse un milione e mezzo di greci fuggirono. I pochi rimasti furono forzati a trasferirsi in Grecia a seguito dello scambio di popolazioni sancito dal Trattato di Losanna nel 1923

Mentre mi aggiro nel mercatino di Erdek, mi capita di contrattare per acquistare del miele con una donna che, con mia sorpresa, da dietro la bancarella mi sorride e si illumina quando le racconto che venendo in Turchia avevo fatto tappa a Creta. ‘Creta!’ esclama, ‘Creta! Mia nonna veniva da lì: ho imparato da lei alcune parole greche!’. Avevo di fronte a me una discendente dei greci che, sulla base di un dato esclusivamente religioso – cioè, l’essersi convertiti all’Islam al tempo del dominio ottomano – furono forzati anch’essi ad abbandonare terre e case per prendere il posto, nel Mar di Marmara, dei greci di fede diversa da qui allontanati.

Tutto il senso profondo dei doppi nomi di questi luoghi, ma anche il fascino sottilmente incrinato di questo piccolo mare, paiono per un momento incarnarsi nel sorriso melanconico di quella donna.

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