Marmara, il piccolo mare
Il Mar di Marmara è un piccolo mare tra due continenti. Ripercorreremo in più tappe le sue onde e le sue coste cercando nelle memorie e nelle opere dell’uomo – che a volte ne hanno anche stravolto la natura – la stratificazione complessa del passato, l’essenza del presente, il tiepido germe del futuro. Prima puntata
Che cosa c’è tra Istanbul e Troia? Tra due città che più diverse non potrebbero essere? L’una un romantico e disabitato coacervo di rovine sui Dardanelli; l’altra una foresta di nuovissimi grattacieli, di quartieri e di infrastrutture che sembrano crescere a vista d’occhio lungo il Bosforo, visitate da viaggiatori di tutto il globo e rese celebri dalla storia, dalla politica, dalla letteratura? C’è uno dei mari più piccoli del pianeta, il Mar di Marmara, poco più esteso di una regione come l’Abruzzo, o, per fare un altro paragone, appena metà della superficie della Sardegna.
Ma se un territorio è rilevante per quello che contiene, l’importanza di un mare è data dalle coste che lo circondano. E, a dispetto della sua modesta superficie (11.300 km.² ), il Mar di Marmara ha pur sempre attorno a sé mille chilometri di coste che hanno visto fiorire nei millenni tre capitali imperiali – la bizantina Costantinopoli, l’ottomana Bursa e la romana Nicomedia (oggi İzmit). Inoltre è contornato da due continenti, Europa ed Asia, e da altri due mari, il Mediterraneo e il Mar Nero, tanto che eserciti, flotte e conquistatori di tutti i tempi – da Agamennone a Churchill, da Maometto II a Venizelos, da Serse ad Alcibiade, da Alessandro il Macedone ai suoi omonimi zar di tutte le Russie- se lo sono conteso con interminabili guerre.
Se da un lato questa centralità ne spiega l’importanza strategica, dall’altro proprio le sue ridotte dimensioni hanno fatto sì che le forze delle potenze rivali, o dei popoli che premevano verso le sue coste, si concentrassero e si intensificassero allo spasimo scontrandosi senza soluzione di continuità in quel poco spazio disponibile. E grande è stata la mia meraviglia, quando, al Museo della Guerra di Çanakkalè, sorto in memoria della cruenta battaglia del 1915-16 che le forze alleate anglo-franco-australiane e neozelandesi combatterono invano contro l’Impero ottomano all’imbocco occidentale del Mar di Marmara (la penisola di Gallipoli) – mi è capitato di leggere più o meno la seguente osservazione: ‘Sì, è vero, nella guerra di Troia, noi turchi abbiamo perso, la città è stata conquistata e abbattuta; ma poi, a Gallipoli ci siamo presi la rivincita…’.
In realtà succede qui ai movimenti degli uomini quanto succede ai moti dei venti: provenendo dalle immense pianure sarmatiche, attratti verso sud ovest dalle più calde terre mediterranee, si riversano dapprima sulle distese del Mar Nero, inostacolati. Ma urtano poi a meridione con la lunga catena anatolica delle Alpi Pontiche, e a Occidente con le alte catene balcaniche: convogliati quindi dove questi due possenti contrafforti montuosi quasi si toccano, nella stretta fessura del Bosforo, vi si concentrano come in un gigantesco imbuto. Presa ancor più forza e vigore, attraversano indenni il Mar di Marmara e si riannodano nello stretto passaggio tra la Troade e la Tracia meridionale, i Dardanelli. Giunti finalmente in un mare caldo e aperto, l’Egeo, lo rinfrescano nei mesi d’estate con raffiche tese e continue, anche per più giorni: è il famoso ‘meltemi’, ben noto agli appassionati delle isole greche.
Dei due mari che lo circondano, e che sono molto diversi tra loro, il Mar di Marmara mescola in modo alterno, non omogeneo, le principali caratteristiche.
Una mattina salpo con un piccolo traghetto-passeggeri dalla penisola di Kapıdaĝ, sulla sua costa meridionale, per una breve crociera che mi porterà in visita nel minuscolo arcipelago delle isole di Marmara; e allora il vento fresco e leggero che attraversa il ponte dell’imbarcazione, la presenza di numerose, piccole terre all’orizzonte, l’orchestrina che si mette a suonare una allegra danza turca per avere qualche soldo dai passeggeri divertiti, mi fa pensare alle navigazioni sicure e svagate dell’Egeo.
Un altro giorno, invece, mi affaccio verso il crepuscolo dall’alta rupe che vide sorgere la greca Selymbria, oggi Silivri, sulla sua costa settentrionale (quella europea), e contemplando quella distesa di mare nella sua interezza, fino alla sponda opposta (il Mar di Marmara ha una larghezza massima di 74 km.), noto che la superficie apparentemente tranquilla è come percorsa da un immenso brivido: un vento freddo la increspa, disegnandovi come su una morbida lavagna dei vortici concentrici che richiamano, per chi le abbia conosciute, le plumbee acque del Mar Nero.
Selymbria, Silivri: un nome greco, e uno turco. Così come Kapıdaĝ, che fu già Arktoneso. E come Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul, del resto. Più nomi, più tempi, più popoli, più civiltà. Ecco, il Mar di Marmara è piccolo per estensione, ma articolatissimo in profondità. Esistono infatti due tipi di viaggi: quelli che si sviluppano in estensione, e che sono oggi resi sempre più facili dalla velocità e dai bassi costi dei mezzi di trasporto e dei sistemi di comunicazione; e quelli che si sviluppano in profondità: il cui obiettivo è quello di radicarsi, in tempi più rilassati e lunghi, entro una piccola estensione di territorio, e di iniziare, metaforicamente, a scavare: aggirandovisi a volte senza meta, parlando con persone incontrate casualmente, e cercando nelle memorie e nelle opere dell’uomo, a volte anche nella natura modificata e stravolta, la stratificazione complessa del passato, l’essenza del presente, il tiepido germe del futuro.
Fino a dieci anni fa, non avevo mai conosciuto nessuno che mi avesse raccontato di aver passato le vacanze sulle spiagge del Mar di Marmara, né di averlo navigato, né di averne visitato le isole o le coste. Forse per questo mi ha sempre fortemente incuriosito. E dopo di allora gli ho dedicato cinque, lunghi viaggi.