Mani, in Grecia sulle tracce di un libro
Un viaggio lungo i sentieri della storia bizantina e del romanzo che li raccoglie, tra rocce impervie e gole deserte, lungo lo stesso itinerario seguito dal suo autore, Patrick Leigh Fermor negli anni ’50
“Sa dove abita il Signor Patrick Leigh Fermor?” Chiesi in inglese al proprietario di un piccolo negozio di souvenir e giornali lungo la strada principale di Kardamyli, un piccolo paese sulla costa della Messenia, la regione che occupa il “dito” centrale del Peloponneso, la parte più meridionale della Grecia. Ero appena arrivato in paese dopo tre giorni di cammino e di bivacchi sotto le stelle, dopo aver lasciato Sparta e le rovine di Mystras, e avevo ormai alle spalle anche la catena del Taigeto e il suo picco più alto, il Profitis Ilias, che potevo intravedere anche ora, con il suo piccolo cappuccio di neve, nonostante fosse la metà di maggio. “Il nostro scrittore? … Abita nella baia al di là di questa collina.” Mi rispose con gentilezza il proprietario, quasi vantandosi di poter dare un’informazione importante e prestigiosa. E così mi incammino sulla strada asfaltata, la prima dopo chilometri di sentieri spesso sassosi e giungo in prossimità della baia indicata, un piccolo angolo di “arcadia” deturpato solo in parte da un residence moderno che per fortuna hanno costruito con gusto e ben intonato all’ambiente. Della casa di Patrick però nessuna traccia, se non un boschetto di cipressi più fitti che potrebbe nascondere qualcosa. Mi inoltro per un oliveto, in parte terrazzato con muretti a secco, lungo un sentiero che passa tra l’erba alta, papaveri, ingrassabue, sileni e borragine, fino ad arrivare ad un muro di cinta e ad un portone con una targhetta con su scritto “privat”.
Il portone si apre facilmente ed entro timidamente, ma con un emozione che sta montando sempre di più, cercando con lo sguardo qualcuno a cui chiedere permesso e mi inoltro in un piccolo portico che da su un giardino di olivi e siepi di lavanda delimitato da un pavimento, decorato da ciottoli bianchi e neri come avevo visto già a Lindos nell’isola di Rodi. Costeggio i muri di una casa in stile rustico ad un piano e mi affaccio ad una porta socchiusa che dà su una piccola cucina dove è indaffarata una giovane greca.
Una vita, un’avventura
“Kalimera”, esordisco con cautela e poi proseguo in inglese: “E’ qui che abita il signor Patrick?”. “Si.” E al suo sì, incredulo di così tanta fortuna, dopo che avevo passato in rassegna tutte le possibili probabilità che potevano impedire di poterlo incontrare, non tanto in casa, ma ancora in vita, dico tutto di un botto: “Senta, sono tre giorni che cammino… vengo da Sparta e ho fatto tutto il percorso che il Signor Patrick ha fatto 50 anni fa… è possibile parlare con lui?”
E così ho la possibilità di incontrare e di parlare a quella persona che da quando avevo comprato il suo libro “Mani, viaggio nel Peloponneso”, era diventata una sorta di mito.
Leggendo la sua biografia si scopre che a 18 anni parte da Londra e, a piedi, attraversa tutta l’Europa centrale e balcanica fino ad arrivare a Costantinopoli. Studioso della cultura bizantina, studia il greco, il rumeno e compie altri viaggi nel mondo. Durante la Seconda guerra mondiale è paracadutato nell’isola di Creta occupata dai tedeschi, organizza la resistenza partigiana e cattura il comandante della guarnigione nazista dell’isola. Nel dopoguerra si trasferisce definitivamente in questo angolo della sua amata Grecia e con l’aiuto della moglie progettano e costruiscono la loro casa. Sono tra gli ultimi amici di Bruce Chatwin e saranno proprio loro a seppellire le ceneri dello scrittore sotto un olivo nei pressi di una chiesetta a pochi chilometri di distanza da Kardamyli.
Ora ero lì, davanti a lui, ancora in gamba nonostante i suoi novanta anni e il recente lutto della moglie, e mentre mi faceva una dedica sulla copia del libro che avevo portato dall’Italia, confrontavo la sua signorile immagine nella foto in bianco e nero stampata sulla copertina del libro, con la figura che avevo davanti, che manteneva la stessa fierezza di portamento.
Seguendo il suo cammino
“Farà bene a stare attento se va su ad Anavriti”, con questa frase così poco promettente Patrick iniziò il suo viaggio attraverso il Mani. Io invece, dopo aver bivaccato presso una sorgente vicino a Mystras, incontro, presso un gruppo di case isolate, un uomo alle prese con una grossa tavola di legno e mi offro di dargli una mano. Il lavoro è breve, la tavola serve per fare ombra alla capra, e per compenso mi invita a casa e mi offre una colazione a base di dolcetti tipici e formaggio fresco. Il mio inizio sembra più promettente!
Anavriti, il paese più grosso alle pendici del Taigeto sul versante di Sparta, è ormai un villaggio di vacanze estive, popolato da qualche anziano che non sale più sui sentieri da capre del monte, ma una buona base per gli escursionisti che vogliono esplorare le sue montagne. Sul libro invece si parla persino di un paese popolato di ebrei, ma solo per invidia degli abitanti limitrofi per il loro talento nel commercio dei prodotti locali, e forse perché in queste montagne si annidarono gli ultimi popoli a cedere al cristianesimo, i melig, slavi provenienti dalla Bulgaria. Da qui Patrick, con l’aiuto di Jorgo, una guida locale, salì fino al crinale della montagna, a più di duemila metri, per arrivare ad un passo presso una piccola fonte nella quale ammorbidisce del pane secco, lo paximadia, cibo primario dei pastori e degli antichi eremiti, per un pranzo a base di pomodori e cetrioli. Anch’io mi fermo per il pranzo sul crinale indicato, ma della fonte nessuna traccia, il pendio sull’altro versante appare troppo ripido, e così, pur seguendo con lo sguardo la selvaggia gola di Koskarakas che Patrick aveva percorso, io mi trovo a dover costeggiare il Taigeto sul versante orientale. Il sentiero passa tra grandi pini e grandi silenzi, interrotti solo dal vento e dal rumore di molte sorgenti, spesso circondate da grandi platani, senza incontrare nessuno per ore.
Mi fermo presso l’unico rifugio alpino del Peloponneso, chiuso, bivaccando sopra un morbido letto di aghi di pino. Sopra di me troneggia la cima più alta del Taigeto, il Profitis Ilias, alto 2400 metri, il cui nome, comunissimo sui monti della Grecia, non ha niente a che vedere con il famoso profeta Elia, ma è una reminescenza di un passato pagano non del tutto cancellato: Ilias si trasforma facilmente in Ilios, il sole.
La gola
Il giorno dopo, sconfitto nel tentativo di salire sulla cima dalla troppa neve, continuo a girare intorno alla montagna fino a scendere nelle gole di Viros, del tutto simili a quelle che aveva percorso Patrick e solo di qualche chilometro più a sud. Il sentiero, una volta percorso da carovane di muli che portavano sale e pesce secco all’interno e pelli conciate e formaggio sulla costa, e dai pastori transumanti, oggi è quasi impercorribile e difficilmente potrò incontrare una famiglia di pecorai intenti a cuocere in grandi paioli il latte lungo la gola, come ci racconta nel libro. E’ solo nel tardo pomeriggio che la gola si allarga, vicino a un piccolo abitato e una chiesa, quasi nascoste da una macchia che ha ripreso i campi strappati con tanta fatica dai contadini greci nel corso di secoli, per poi restringersi di nuovo poco prima di arrivare al villaggio di Chora, finalmente abitato, dove si svolge la stessa scena descritta da Patrick al termine della sua traversata; “da dove vieni?”, mi domandano ad un alberghetto in cui stanno facendo una festa locale, vedendomi con un grosso zaino sulle spalle, “da Mystras!” , gli rispondo con soddisfazione, “da Mystras?” mi rispondono con incredulità, “Sarai morto, quelle rocce da capre ammazzerebbero chiunque. Sono una disperazione, ti fanno sputare l’anima!”
Il cammino nella storia
E così con due giorni pieni di cammino alle spalle sono arrivato a Kardamyli, la porta di accesso all’alto Mani, una regione così diversa da ogni altro luogo della Grecia che immediatamente suggerisce ad ogni abitante del resto della nazione quattro cose: l’usanza della faida, i lamenti funebri, Petrobey Mavromichalis, uno dei principali capi al tempo dell’indipendenza greca e il fatto che il Mani fu una delle poche zone che strappò la propria indipendenza ai turchi e riuscì a mantenerla.
La sera vado alla ricerca della taverna di Stratis Mourtzinos, un oscuro oste, che nel libro Patrick ipotizza come l’ultimo discendente della famiglia dei Paleologhi. Ormai Stratis è morto da tempo, ma sul semplice tavolo di legno affacciato sul golfo di Messenia, davanti ad un bicchiere di retsina mi rileggo volentieri il suo volo d’immaginazione che ipotizza che la Turchia ceda di nuovo Istanbul ai greci e che loro instaurano una nuova monarchia illuminata con l’ultimo discendente, appena ritrovato, dei loro antichi imperatori.
“ ..nella grande basilica risuona l’inno dei cherubini, e mentre l’imperatore sta a destra del katholikon e il patriarca a sinistra, dalla cupola, come dalla bocca di un arcangelo, viene una voce seguita dalla fanfara di diecine di trombe dal lungo tubo, mentre in tutta Bisanzio gli araldi proclamano l’Imperatore Eustrazio, Servo di Dio, Re dei Re, Augustissimo Cesare e Basileus e Autocrate di Costantinopoli e della nuovo Roma. Tutta la città è scossa da un interminabile grido assordante e lacrime di felicità scorrono per le guance del mosaico della Vergine…”
Un tuffo nella storia e nello splendore della corte bizantina. Sono solo al terzo capitolo di un libro che ne conta venti, il Mani è appena iniziato: ho ancora molto da leggere e da camminare.